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‘Data retention a 6 anni, Corte di Giustizia Ue potrebbe annullarla’. Intervista a Filippo Benelli (Università di Macerata)

Dopo l’approvazione in Senato, lo scorso ottobre, arriva la luce verde per la nuova normativa sulla “data retention”.

Il decreto obbliga i fornitori di servizi di telecomunicazione a conservare per un periodo di sei anni tutti i metadati relativi alle comunicazioni che avvengono su territorio italiano.

Si tratta, di fatto, di un primato negativo per l’Italia; unico paese dell’Unione con un tempo così lungo di conservazione dei dati che, nelle altre nazioni d’Europa, arriva ad un massimo a 24 mesi.

Inoltre, si prospetta uno scontro con Bruxelles che probabilmente aprirà una procedura contro l’Italia accusandola di contravvenire alle norme comunitarie.

Ne abbiamo parlato con il professor Filippo Benelli, associato di Diritto Costituzionale presso l’Università di Macerata e presidente di Democratici e Socialisti, area socialista del Partito Democratico.

K4B. Professor Benelli, in Italia viene innalzato a sei anni il periodo di conservazione dei metadati su tutte le comunicazioni. Un caso unico in Europa…

 

Filippo Benelli. Prima di entrare nel merito dell’utilità o meno della norma, credo sia importante inquadrare il problema da un punto di vista giuridico. Esiste un diritto alla riservatezza che viene significativamente limitato da questo intervento del legislatore in virtù di ragioni di sicurezza che riguardano, in particolare, la possibilità di indagare su fenomeni criminali particolarmente gravi come il terrorismo.

Il punto, dunque, è stabilire se questa ipotetica utilità per le indagini giustifichi o meno un sacrificio al diritto della riservatezza, cioè se la limitazione del diritto è ammissibile o inammissibile.

K4B. Secondo lei è ammissibile?

 

Filippo Benelli. Io credo di no, innanzitutto perché, a distanza di sei anni, avviare delle indagini partendo dai metadati mi sembra un’attività inutile, anzi fuorviante: sicuramente il metadato non dice nulla sul contenuto delle conversazioni, ma riguarda data e ora di una chiamata, indirizzo IP di una connessione, le chiamate perse, la localizzazione di una chiamata. Che valore hanno questi dati dopo sei anni? Mi sembra molto poco, comunque non abbastanza da giustificare il punto partenza della norma, cioè che la detenzione dei dati è utile per le indagini.

K4B. Ma, in fondo, cosa hanno da perdere gli utenti?

Filippo Benelli. Una cosa molto semplice, il diritto alla riservatezza che nasce nel momento in cui inizia una telefonata.

K4B. La vulgata, a questo punto, propone la solita domanda: se non si ha nulla da nascondere perché tanti problemi? Lei ha qualcosa da nascondere?

Filippo Benelli. Nulla da nascondere e molto da perdere. Innanzitutto vengono messe in giacenza delle informazioni nelle mani degli operatori telefonici, esponendo i miei diritti, i miei dati e le informazioni relative alle mie comunicazioni anche ad una gestione commerciale. C’è poi problema di garantire la sicurezza dei dati; una cosa è garantirne la sicurezza per un anno una cosa è garantirla per 6 anni. Un terzo ulteriore elemento; ovvero che gli operatori sono soggetti che, giustamente, stanno sul mercato e la detention per 6 anni ha un costo. I costi sostenuti dagli operatori verranno dunque scaricati sulle tariffe, quindi sui consumatori.

K4B. Come verrà accolta questa norma dall’Europa?

 

Filippo Benelli. La riservatezza è diritto garantito anche dal diritto dell’UE. Alla luce di quanto detto, il nuovo limite mi sembra assolutamente eccedente rispetto a quanto previsto dalle normative comunitarie. Un’ulteriore prova giuridica dell’aggravamento illegittimo; si tratta di una legge che, tra le altre cose, rischia seriamente di essere annullata anche dalla Corte di Giustizia.

K4B. Gli ultimi gravi atti di terrorismo compiuti su suolo Europeo sono stati tutti compiuti da soggetti già noti ai servizi di sicurezza. Sembra sia mancata l’analisi e il coordinamento, più che le informazioni…

Filippo Benelli. Certo, quello dell’overwhelming informativo è un altro aspetto. Mi viene in mente il Dialogo sul Potere di Carl Schmitt, quando si dice che il problema della democrazia non è la quantità di informazioni, ma la loro correttezza.

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