Lo studio

Data democracy, nel 2019 il 50% dei cittadini condividerà volontariamente dati personali

di |

Tutti connessi in città e tutti a condividere dati: secondo un nuovo studio Gartner, la metà della popolazione urbana nel 2019 sarà impegnata nel personal data sharing utile allo sviluppo dei progetti smart city.

Più del 46% della popolazione mondiale è connessa a internet. Circa 3,4 miliardi di utilizzatori della rete si collegano ad essa con il pc o lo smartphone. Ovviamente, quando parliamo di rete, la prima cosa che ci viene in mente sono i social network e al mondo gli utenti di queste piattaforme sono più di 2,3 miliardi secondo i dati di Statista.

Una gigantesca mole di dati (big data), che solo su Facebook e Twitter sono rappresentati da 3,1 milioni condivisioni/tweet di contenuti “al minuto”. Contemporaneamente, in quel minuto, vengono eseguite circa 4 milioni di ricerche su Google.

Quanto vale tutto questo?

Secondo IDC, l’anno scorso, in termini di applicazioni di business analytics si è arrivati ad un giro di affari di 122 miliardi di dollari e per il 2019 si stima che il mercato big data potrebbe generare più di 187 miliardi di dollari.

Ma i dati non sono solamente numeri, trend e stime sul ricavato, perché prima di tutto sono il risultato dell’utilizzo delle nuove tecnologie da parte delle persone. Tornando al volume globale di utilizzatori di internet, prendendo la Cina ad esempio, scopriamo che il 72% delle connessioni avvengono in contesti urbani. Negli Stati Uniti tale dato sale all’85%, in Europa più o meno siamo all’80%.

Secondo un nuovo studio Gartner, il 50% della popolazione urbana mondiale nel 2019 condividerà volontariamente dati personali per il miglioramento dei servizi, sia pubblici, sia privati, relativi a programmi smart city.

Ormai sappiamo tutti che entro il 2050 più di 6,4 miliardi di persone vivranno in grandi e medi centri urbani, circa l’80% dell’umanità. Un panorama umano, sociale, commerciale, culturale e ambientale che può essere esaminato sotto diversi punti di vista.

In termini meramente economici, Gartner stima che almeno il 20% delle amministrazioni pubbliche inizieranno a generare ricavi dai big data, soprattutto in termini di open data, i dati aperti che potranno essere utilizzati da enti pubblici e privati per estrarre informazioni di qualità utili poi allo sviluppo di servizi di nuova generazione.

All’interno del paradigma smart city, d’altronde, i dati sono immaginati come accessibili liberamente su piattaforme aperte. Piattaforme che dovranno guidare l’innovazione e favorire la nascita delle tanto attese smart communities.

Accesso ai dati che in alcuni casi sarà gratuito, in altri a pagamento. Ma è chiaro che gli attori principali di tale processo di trasformazione della Pubblica Amministrazione sono proprio i cittadini e il “personal data sharing”.

Come ha spiegato Bettina Tratz-Ryan, research vice president di Gartner: “Le città saranno intelligenti quando i dati saranno raccolti, organizzati ed elaborati in tempo reale e non solamente impacchettati in statistiche e/o report a posteriori”.

In molte città europee questo sta già accadendo o quasi. Tra tutte vale la pena citare l’esperienza della piattaforma big data di Copenhagen, un vero e proprio marketplace dei dati: il “City data exchange.

Possiamo solo aggiungere che le città saranno intelligenti solo quando i cittadini saranno in grado ed avranno modo di partecipare alla governance dell’innovazione, e cioè quando l’innovazione sarà davvero condivisa e inclusiva.