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Data center spaziali, Bezos: “Possibili tra 10 e 20 anni grazie a raffreddamento naturale e all’energia solare”

JEFF BEZOS FONDATORE AMAZON

Jeff Bezos ha delineato una visione futuristica in cui, nell’arco dei prossimi 10-20 anni, enormi data center verranno costruiti in orbita terrestre.

Durante un colloquio con John Elkann all’Italian Tech Week a Torino, il fondatore di Amazon e Blue Origin ha spiegato come queste infrastrutture spaziali potrebbero beneficiare di un raffreddamento naturale e di un accesso continuo all’energia solare, risultando potenzialmente più efficienti e meno costose delle controparti terrestri.

Dal punto di vista tecnico, è teoricamente possibile generare circa 1 gigawatt di energia elettrica continua nell’orbita terrestre utilizzando pannelli solari ad alta efficienza.

Tuttavia, ciò richiederebbe superfici fotovoltaiche tra i 2,4 e i 3,3 milioni di metri quadrati, con un peso stimato tra 9.000 e 11.250 tonnellate solo per il materiale solare, esclusi supporti strutturali e sistemi di controllo.

Le sfide logistiche ed economiche sono enormi: trasportare tale massa nello spazio, anche con vettori avanzati come il Falcon Heavy di SpaceX, comporterebbe costi tra i 13 e i 25 miliardi di dollari, richiedendo oltre 150 lanci per i soli pannelli.

A questi si aggiunge la necessità di dissipare il calore prodotto — praticamente tutto l’input energetico — con radiatori su scala altrettanto massiva.

Inoltre, l’hardware dei server AI, che già sulla Terra pesa decine di migliaia di tonnellate e costa miliardi, rappresenta un’ulteriore barriera tecnica ed economica.

Nonostante le difficoltà, il progetto offre uno sguardo avveniristico sul futuro dell’infrastruttura AI e sull’espansione delle attività umane oltre l’atmosfera terrestre.

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I data center AI stanno esaurendo la memoria e lo storage globali, aprendo la strada a una crisi dei prezzi che potrebbe durare un decennio

Una convergenza tra domanda crescente e offerta limitata sta innescando un’impennata dei prezzi per memorie e unità di archiviazione, con prospettive di scarsità che potrebbero estendersi per dieci anni.

La causa principale è l’esplosione della domanda proveniente dai data center AI, che consumano risorse a un ritmo senza precedenti. La produzione di NAND, DRAM, SSD e HDD sta incontrando vincoli strutturali, mentre i grandi operatori del settore — come OpenAI, Samsung, SK hynix e i principali hyperscaler — stanno assicurandosi forniture con contratti a lungo termine, lasciando poco spazio agli altri attori del mercato.

L’attuale crisi deriva in parte da una precedente fase di sovrapproduzione, che aveva portato i prezzi a livelli insostenibili per i produttori. Di conseguenza, molte aziende hanno tagliato la produzione nel 2023 per ridurre le perdite.

Ora, però, con la ripresa della domanda — trainata dai carichi di lavoro AI che richiedono enormi quantità di DRAM e storage flash — l’offerta non riesce più a tenere il passo. Il risultato è un’impennata nei prezzi: SSD da 2TB hanno visto aumenti del 40-60%, mentre i moduli DDR4 e GDDR6 sono saliti fino al 43% in pochi trimestri.

Anche gli HDD di fascia alta, utilizzati nei data center, sono diventati difficili da reperire, spingendo molti a sostituirli con flash QLC più costosi. I produttori, cauti per le ciclicità passate, preferiscono mantenere la produzione limitata per massimizzare i margini, piuttosto che rischiare un’altra caduta dei prezzi. Inoltre, la costruzione di nuovi impianti richiede anni e decine di miliardi di investimenti, ostacolati da tensioni geopolitiche e scarsità di materiali critici come le terre rare.

Nel frattempo, i consumatori si troveranno a fronteggiare un mercato dove l’aggiornamento del PC diventa più oneroso, e le imprese dovranno ridefinire i budget infrastrutturali per sostenere il crescente fabbisogno di memoria nel contesto AI.

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