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Data center green “by design” grazie a fonti rinnovabili, nanotecnologie, nuovi materiali e IoT. I progetti

Data center, quanto consumi?

Ci sono 2.751 data center operativi solo negli Stati Uniti, altri 900 tra Germania e Regno Unito, 447 in Cina, circa 130 in Italia, secondo stime Statista relative a gennaio 2022.

Ci sono 123 Paesi che ospitano almeno un data center cloud. In tutto dovrebbero essere 4.563 le nuvole attivate, di cui 1.771 negli Stati Uniti, 268 in Gran Bretagna, 207 in Germania e 148 in Francia. Più indietro l’Italia, con soli 74.

Questo lo scenario utile per comprendere il livello di consumi energetici di una rete così estesa di macchine e reti e la loro impronta di carbonio.

Secondo un articolo pubblicato su Nature, i data center dovrebbero consumare l’8% dell’energia elettrica mondiale entro il 2030, raggiungendo un livello che sarà 15 volte superiore a quello del 2018. Attualmente i consumi mondiali si attestano sui 200 TWh all’anno.

L’innovazione green che parte dalla progettazione

Negli ultimi tempi l’innovazione tecnologica ha fatto passi da gigante nel miglioramento dell’efficienza energetica delle infrastrutture, ma bisognerà accelerare la transizione ecologica di questo settore, che secondo Grand View Research manterrà un tasso di crescita medio annuo del +13,3% fino al 2028.

In un articolo sul magazine dell’Association for Computing Machinery, Samuel Greengard ha illustrato le ultime novità in termini di decarbonizzazione dei data center, soprattutto a partire dalla progettazione, come ha spiegato Matteo Manganelli della nostra Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile: “Un modello che richiede nuove e migliori tecnologie“.

Le risposte verranno probabilmente da un mix di tecnologie e approcci“, ha affermato invece Alessandro Soldati, ricercatore nel campo dell’elettronica di potenza all’Università di Parma in Italia, riferendosi a sistemi che operano sott’acqua, o che impiegano celle a idrogeno, oppure che sono realizzati a partire da mattoni fatti con alghe e altri materiali ecologici di ultima generazione.

L’articolo riporta alcuni validi esempi relativamente alla progettazione e sviluppo di data center a zero/basse emissioni.

Il progetto Natick per data center sotto l’oceano

C’è il Project Natick di Microsft, che ha creato un prototipo di data center sottomarino posizionato a 120 piedi sotto la superficie dell’oceano Atlantico alle Orcadi, nel Regno Unito. L’idea si basa su un tubo sigillato lungo 40 piedi, riempito con azoto secco (da cui è stata rimossa tutta l’umidità), progettato per far lavorare 12 rack contenenti un totale di 864 server, insieme all’infrastruttura del sistema di raffreddamento ad acqua.

Il sistema funziona con turbine marine alimentate via cavo da energia solare e eolica, con alti tassi di efficienza energetica ed operativa (il tasso di criticità è pari a un ottavo rispetto ai data center terrestri convenzionali, mentre i server lavorano meglio immersi in un’atmosfera di azoto secco che quelle esposte all’ossigeno).

I data center del progetto Natick, collocati parallelamente a fonti di energia rinnovabile offshore di prossimità, potrebbero essere davvero a emissioni zero e senza prodotti di scarto“, ha precisato Rhoades Clark, portavoce di Microsoft.

La strada dell’idrogeno

C’è poi la soluzione green che impiega cella a combustibile (fuel cell), che possiamo descrivere come un dispositivo elettrochimico che permette di ottenere energia elettrica direttamente da idrogeno ed ossigeno, senza che avvenga alcun processo di combustione termica.

Questa tecnologia potrebbe eliminare la necessità di sistemi UPS e generatori di backup. Un progetto proof-of-concept sviluppato sempre da Microsoft nel 2021 ha dimostrato che l’idrogeno potrebbe finalmente ricoprire un ruolo nei data center, arrivando a sostituire un generatore diesel con alimentazione a idrogeno per più di 48 ore.

La società Equinix invece è impegnata in un progetto di celle a basse emissioni di CO2 che potrebbe portare ad un 100% di decarbonizzazione del data center attraverso l’impiego di gas naturale ed eventualmente di idrogeno.

Nanotecnologie e soluzioni per data center che prevedono IA e IoT

C’è chi pensa a materiali di raffreddamento progettati a livello molecolare, come quelli a cui lavora il professore di scienze dei materiali dell’Università di Singapore, Seeram Ramakrishna, in cui sono impiegate speciali nanotecnologie a livello di sistemi di deumidificazione con scambi di calore a contatto diretto e membrane in nanofibra che fungono da elettrodi per le celle a combustibile di nuova concezione.

Altre idee hanno coinvolto l’uso di mattoni di alghe, canapa e fibre di funghi che catturano il carbonio e i circuiti stampati con materiali rinnovabili , inclusa la plastica biodegradabile. Anche l’intelligenza artificiale, la robotical’energia circolare, in cui rientrano la ridistribuzione del calore e l’uso di prodotti di scarto per la fornitura di energia, potrebbero introdurre vantaggi significativi, ha elencato Ramakrishna.

In questa lista c’è anche Google, che ha ridotto del 40% i costi di raffreddamento del data center grazie all’uso di sensori Internet of Things (IoT), robotica, apprendimento automatico e altri strumenti analitici. 

Metà di tutta l’energia consumata dai data center è utilizzata dai server per l’elaborazione, l’altra metà viene utilizzata per il raffreddamento. È importante concentrarsi su entrambi gli aspetti“, ha infine aggiunto Manganelli.

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