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Data breach, in Italia nel 2020 danni per 3,03 milioni di euro. Lo studio di IBM security

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Nel 2020 in Italia il costo complessivo delle violazioni di dati è salito a 3,03 milioni di euro e il costo per ogni informazione rubata a 135 euro, valore quasi raddoppiato nell’ultimo decennio.

I data breach costano alle aziende 4,24 milioni di dollari in media per ogni incidente: questa la principale evidenza dell’ultimo Cost of a Data Breach Report”, lo studio condotto da Ponemon Institute e promosso da IBM Security.

L’escalation della violazione dei dati, spiega IBM, è dovuto in gran parte ai rapidi mutamenti dettati dalla pandemia, come la riorganizzazione del lavoro da remoto e la rapida migrazione dei business verso un approccio “cloud-based” per garantire continuità delle attività.

Data breach: in Italia costo delle violazioni è salito a 3,03 milioni di euro

Nel 2020 in Italia, spiega l’indagine di IBM Security, il costo complessivo delle violazioni di dati è salito a 3,03 milioni di euro e il costo per ogni informazione rubata a 135 euro, valore quasi raddoppiato nell’ultimo decennio.

I settori più colpiti da attacchi informatici sono stati i servizi finanziari (171 euro per informazione rubata), il settore energetico (165 euro) e quello farmaceutico (164 euro). I giorni per identificare e contenere una minaccia informatica, spiega lo studio, sfiorano ancora la soglia dei 250, anche se il trend è in leggera discesa.

La pandemia da COVID-19 ha messo in luce le evidenti difficoltà delle aziende in ritardo nella trasformazione digitale. Le aziende che non hanno nemmeno cominciato il processo di digitalizzazione o lo hanno incominciato da poco (magari in seguito alla pandemia), sono le più esposte ad attacchi informatici e quelle che ne pagano le conseguenze, anche economiche, più care (3,75 milioni di euro vs. 2,72 milioni di euro rispetto a chi è già in una fase matura del processo).

I trend a livello mondiale: dal remote working, alla sanità passando per le credenziali compromesse

Nel 2020, le aziende sono state costrette a modificare rapidamente il proprio approccio alla tecnologia, incoraggiando o obbligando i dipendenti a ricorrere al lavoro da remoto durante la pandemia e il 60% delle imprese si è spostato verso un approccio cloud-based per condurre le proprie attività.  I dati pubblicati oggi evidenziano, però, che la security potrebbe non essersi adeguata altrettanto velocemente, ponendo un freno alla capacità delle organizzazioni di rispondere alle violazioni dei dati. La prima causa è da attribuire al rapido passaggio delle attività lavorative verso lo smart-working sembrerebbe aver causato data breach più costosi: oltre 1 milione di dollari in più in media quando il lavoro remoto è stato indicato come causa dell’evento dalle aziende analizzate, rispetto alle violazioni con altri vettori (4,96 dollari contro 3,89 milioni di dollari per ogni violazione).

Per lo studio i settori che hanno affrontato enormi cambiamenti operativi durante la pandemia hanno anche sperimentato un crescente aumento della spesa per i data breach. Il settore sanitario è quello che paga il prezzo di gran lunga più caro, con 9,23 milioni di dollari per incidente – un aumento di 2 milioni di dollari rispetto all’anno precedente.

Le credenziali utente rubate sono state la causa principale delle violazioni. Allo stesso tempo, i dati personali degli utenti (come nome, e-mail, password) sono stati tra le informazioni più comunemente esposte, presenti nel 44% delle violazioni analizzate. La combinazione tra questi fattori potrebbe causare un effetto a spirale in futuro, con username e password rubate che diventano potenziali agganci per portare a termine ulteriori aggressioni.

L’impatto del lavoro a distanza e della migrazione al cloud sui data breach

Con l’aumento delle interazioni digitali portato dalla pandemia, le organizzazioni hanno adottato il lavoro da remoto e il cloud per soddisfare la crescente domanda di attività online. Lo studio ha rilevato che tali fattori hanno avuto un impatto significativo sulle violazioni di dati: quasi il 20% delle organizzazioni analizzate dallo studio ha riferito che lo smart working è stato un fattore chiave nelle violazioni dei dati e che le violazioni causate da smart-working sono costate alle aziende 4,96 milioni di dollari, il 15% in più rispetto al costo medio.

Inoltre, le aziende intervistate che hanno subito una violazione durante un progetto di migrazione al cloud hanno affrontato un costo superiore del 18,8% rispetto alla media. Tuttavia, l’indagine ha anche rilevato che le organizzazioni più “mature” nella strategia di modernizzazione del cloud sono state in grado di identificare e rispondere più efficacemente agli incidenti, impiegando circa 77 giorni in meno rispetto alle imprese in fase iniziale di adozione. Infine, per le violazioni di dati avvenute sul cloud, le organizzazioni che hanno adottato un approccio hybrid cloud hanno dovuto affrontare una spesa più contenuta (3,61 milioni di dollari) rispetto alle imprese che avevano adottato un approccio principalmente di cloud pubblico (4,80 dollari) o privato (4,55 milioni di dollari).

Credenziali compromesse: un rischio crescente

Il rapporto ha anche fatto luce su un problema crescente: i dati dei consumatori, incluse le credenziali, compromessi durante un data breach possono poi diventare leva per propagare ulteriori attacchi. Se si considera che l’82% delle persone intervistate ammette di riutilizzare le password tra gli account, le credenziali compromesse sono sia la causa che l’effetto principale delle violazioni, un problema che rappresenta un rischio crescente per le aziende.

  • Dati personali esposti: quasi la metà (44%) delle violazioni analizzate ha esposto i dati personali dei clienti, come nome, e-mail, password, o anche dati sanitari, rappresentando dunque il tipo più comune di informazione rubata.
  • Le informazioni personali costano di più: la perdita di PII (Personal Identifiable Information) dei clienti è stata anche il tipo di violazione più costosa (180 dollari per record perso o rubato contro 161 dollari di media).
  • Metodo di attacco più comune: le credenziali utente compromesse sono state il metodo più comune utilizzato come punto d’ingresso dagli aggressori (20% delle violazioni studiate).
  • Più lunghi da rilevare e contenere: le violazioni frutto di credenziali compromesse sono state quelle che hanno richiesto più tempo per essere rilevate, 250 giorni contro i 212 di media.

AI, security analytics e crittografia per mitigare gli attacchi

“L’aumento dei costi di data breach è un’altra spesa che si aggiunge a quelle che le aziende hanno dovuto affrontare, sulla scia dei rapidi cambiamenti causati dalla pandemia”, ha affermato Chris McCurdy, Vice President e General Manager, IBM Security. “Tuttavia, sebbene i costi delle violazioni abbiano raggiunto un livello record nell’ultimo anno, lo studio ha anche mostrato segnali positivi rispetto all’adozione di tecnologie e approcci innovativi di cybersecurity, come l’AI, l’automation e l’approccio ‘Zero Trust’, che possono contribuire a ridurre il costo degli incidenti con ritorni anche per il futuro.”

AI, security analytics e crittografia, per IBM security, sono stati i primi tre fattori di mitigazione delle violazioni, dimostrando come queste tecnologie possano ridurre i costi per singolo attacco. Le aziende che si sono dotate preventivamente di questi strumenti hanno risparmiato tra 1,25 e 1,49 milioni di dollari rispetto alle organizzazioni che non ne hanno fatto un uso significativo.

Per quanto riguarda i data breach basati sul cloud, le imprese con una strategia hybrid cloud hanno dovuto affrontare una spesa inferiore (3,61 milioni di dollari) rispetto alle organizzazioni che avevano adottato un approccio principalmente di cloud pubblico (4,80 milioni di dollari) o privato (4,55 milioni di dollari).