Quando si parla di satelliti e spazio, il dibattito ruota attorno a Starlink, Elon Musk e le megacostellazioni americane. Eppure, pochi ricordano che l’Italia ha un passato (e un presente) da autentica potenza spaziale. È stata il terzo Paese al mondo, dopo USA e URSS, a mettere un satellite in orbita con mezzi propri.
Era il 15 dicembre 1964 e il San Marco 1, costruito a Roma e lanciato da una piattaforma al largo di Malindi (Kenya), inaugurava l’epoca spaziale italiana. Un progetto nato dall’intuizione del fisico Luigi Broglio, considerato il “Von Braun italiano”, che concepì e realizzò, in collaborazione con la NASA, il primo sistema orbitale autonomo italiano. L’intera operazione fu gestita da personale e tecnologie nazionali, con l’uso del vettore Scout fornito dagli americani ma adattato per le esigenze italiane.
La piattaforma galleggiante di lancio, la San Marco Base, resterà per anni un unicum mondiale: l’unica base spaziale offshore mai realizzata. Broglio, pioniere e stratega, anticipò già negli anni ’70 la necessità di costruire una costellazione nazionale di satelliti per l’osservazione e le comunicazioni. Visione che solo oggi si sta concretizzando appieno.
Dopo San Marco, l’Italia prosegue il cammino con Sirio (1977), il primo satellite nazionale per telecomunicazioni, progettato dal CNR con una visione già duale, e Italsat (anni ’90), precursore delle comunicazioni satellitari civili italiane. Ma è con la costituzione dell’ASI – Agenzia Spaziale Italiana nel 1988 che il settore decolla a pieno titolo. Negli anni 2000 l’Italia è co-protagonista di programmi europei chiave come Galileo (GPS europeo), Copernicus (osservazione ambientale) e EGNOS, sistema di correzione per il posizionamento satellitare.
Parallelamente, nascono partnership strategiche come Telespazio (Leonardo+Thales), Thales Alenia Space Italia, Avio (propulsione), Sitael (microsatelliti), e si consolida la capacità industriale di realizzare payload avanzati, sistemi radar e segmenti di terra ad altissima affidabilità.
Oggi l’Italia è l’unico Paese in Europa con una catena completa dell’industria spaziale: satelliti, razzi, centri di controllo, competenze ingegneristiche, sicurezza cibernetica, accesso autonomo allo spazio (grazie al lanciatore VEGA, operativo dal 2012 e gestito da Avio per ESA). La costellazione COSMO-SkyMed, in funzione dal 2007, è uno dei fiori all’occhiello del settore radar ad apertura sintetica (SAR): capace di “vedere” attraverso le nuvole e di notte, fornisce dati strategici alla Difesa, alla Protezione Civile, all’ENEA, e a partner internazionali come gli Stati Uniti.
Oggi è attiva la seconda generazione (COSMO-SkyMed 2G), ancora più precisa e veloce. Accanto a questo sistema, il progetto SICRAL garantisce comunicazioni militari criptate e resilienti per l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica, nonché interoperabilità con le forze NATO. Anche in questo caso si tratta di tecnologie italiane, gestite da Leonardo in stretta cooperazione con lo Stato Maggiore della Difesa.
Il programma più ambizioso attuale è IRIDE, una costellazione nazionale promossa dall’ASI e dal Dipartimento per la trasformazione digitale, finanziata con il PNRR per oltre un miliardo di euro. IRIDE sarà una rete di 30 satelliti in orbita bassa (LEO), multispettrali e radar, con capacità di osservazione della Terra in tempo reale, utile per il monitoraggio ambientale, la sicurezza idrogeologica, la gestione del suolo, la tutela delle coste e delle infrastrutture critiche.
Ma IRIDE, come COSMO, sarà anche dual use: integrabile in scenari militari, per la sorveglianza di aree di crisi, rotte navali sensibili, movimenti anomali di truppe o armamenti. Si tratta a tutti gli effetti di uno strumento di sovranità orbitale, che andrà a coprire esigenze oggi servite da costellazioni straniere, come quelle statunitensi (Starlink, OneWeb) o cinesi.
A livello di accesso autonomo allo spazio, l’Italia è titolare di uno dei pochi razzi operativi europei: il VEGA (e la sua futura evoluzione VEGA-C), lanciato da Kourou (Guyana Francese). Avio, azienda di Colleferro, è tra i leader europei nella propulsione solida e nei sistemi di separazione satellitare. Questo significa che l’Italia non dipende da razzi cinesi, indiani o americani per portare in orbita i propri strumenti. A completare il quadro ci sono i centri di controllo a Fucino e Matera, il sistema di gestione dati EO da parte di e-GEOS, e le sperimentazioni in ambito Quantum Key Distribution per rendere inviolabili le comunicazioni satellitari.
Mentre l’Europa cerca di costruire IRIS² come alternativa a Starlink, con forti spinte centralizzatrici da parte di Parigi e Berlino, l’Italia si trova di fronte a un bivio. Può scegliere di restare subfornitore in una logica consortile che la penalizza, oppure rivendicare un ruolo da architetto del sistema orbitale europeo. Abbiamo le tecnologie, le imprese, le università, il know-how, e anche la credibilità internazionale (basti pensare alla leadership italiana nelle missioni ESA sulla Luna e su Marte, ai moduli abitativi della ISS, o alla partecipazione al programma Artemis della NASA). Ciò che manca è una chiara strategia politica industriale che metta lo spazio al centro della difesa, della diplomazia e dell’economia.
In conclusione, l’Italia nello spazio non è comparsa all’improvviso. Ci è entrata per merito, per visione, per capacità. Ha anticipato epoche e tecnologie, da San Marco a COSMO. Oggi può tornare a contare. Ma servono scelte chiare: investire nella resilienza orbitale, proteggere le costellazioni nazionali, formare ingegneri, trattenere startup e puntare a una vera sovranità orbitale italiana, perché — nel XXI secolo — chi non ha testa nello spazio rischia di perdere anche i piedi per terra.