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Cyberbullismo e gaming, quali rischi per bambini e adolescenti

Non è più un mistero per nessuno che il gaming, quelli che un tempo si chiamavano videogiochi, sia il vero business delle app per smartphone e dispositivi digitali. È una questione legata non solo all’ampia platea a cui questi prodotti, spesso pensati per un consumo “mordi-e-fuggi”, si rivolgono – dai più giovani agli adulti che vogliono distrarsi o ammazzare l’attesa per qualche minuto – ma proprio al modello di business.

Invece di chiedere cifre cospicue per l’acquisto una tantum, i giochi quasi sempre permettono il download gratuito; gli acquisti entrano in gioco quando si vuole avere qualche vantaggio aggiuntivo, qualche probabilità in più di vincere, qualche vestito od oggetto in più per il proprio personaggio.

Questo meccanismo, in mano a una persona adulta, dovrebbe – non sempre è così, in realtà – essere moderato da un certo grado di maturità che fa capire quando è il caso di dire basta e di non mettere a rischio il budget familiare per farsi una partita in più al proprio gioco preferito; tutt’altro discorso per giovani e giovanissimi, che hanno lo smartphone in mano per la prima volta a un’età sempre più precoce e sono, ovviamente, meno propensi a posarlo e a dedicarsi ad altro. L’ammontare esiguo delle microtransazioni, per la maggior parte con un valore di un euro o poco più, fa sottovalutare facilmente il problema, perché è facilissimo perdere il conto.

Gli adolescenti e il telefono, un rapporto privilegiato

Le cronache, a intervalli regolari, riportano notizie di famiglie che si sono visti arrivare conti salatissimi perché avevano lasciato il cellulare al figlio preadolescente, ma al di là dell’aneddotica il problema per i minori è serio. Non a caso la sezione sui “mondi del gaming” soprattutto attraverso lo smartphone occupa diverse pagine nell’ultimo rapporto curato da Telefono Azzurro e Doxa Kids, presentato per l’ultimo Safer Internet Day, dal titolo Tra realtà e metaverso. Adolescenti e genitori nel mondo digitale.

Lo smartphone, come dimostra il report, è di gran lunga il dispositivo più scelto dai ragazzi per collegarsi alla rete, con il 96% di media (96% di maschi e 95% di femmine; 94% della fascia 12-14 anni e 98% di quella 15-18). Molto spesso sono device di proprietà e non chiesti in prestito ai genitori: se qualche anno fa, infatti, in tanti erano restii a regalare un telefonino ai propri figli per motivi meramente economici – non esistevano ancora le offerte con minuti illimitati che oggi sono la norma della telefonia mobile, come mostra il comparatore di SOStariffe.it – oggi le tariffe flat sembrano annullare questo rischio. In realtà sono proprio gli acquisti in-app che, ben più di una telefonata troppo lunga, possono costare molto cari, e il danno non è esclusivamente monetario, tenendo conto di quanto ormai i ragazzi possono stare davanti allo schermo del cellulare, con possibilità di controllo molto ridotte.

I giochi possono educare, ma attenzione a cyberbullismo e gaming a tarda notte

Il report di Telefono Azzurro, dopo aver riconosciuto ai videogiochi, sempre più sofisticati, anche un ruolo educativo – migliorando ad esempio le abilità visivo-spaziali, l’attenzione e la memoria, oltre alla possibilità di accrescere la «capacità di comunicare in modo chiaro, di relazionarsi in maniera efficace e stimolare i processi empatici» – ricorda anche quali sono i rischi legati a questo settore. Una parte di questi pericoli deriva dall’elemento comunitario sempre più forte dei giochi preferiti dai più giovani: non più esperienze solitarie ma attività di gruppo, anche con giocatori che arrivano da ogni parte del mondo (come accade per i MOBA e per i MMORPG). Un’esperienza che può aiutare ad aprire la mente e a mettersi a confronto con culture diverse da quella d’origine, ma che allo stesso tempo aumenta le possibilità che i giovani giocatori vengano a contatto con minacce e insulti, derivandone un senso di incapacità e inadeguatezza soprattutto nei giochi competitivi, senza contare la possibilità di venire a contatto con contenuti non adatti. Il cyberbullismo trova spesso proprio nel gaming online attraverso lo smartphone uno dei suoi veicoli più pericolosi e diffusi.

Da non sottovalutare poi è l’abitudine al gaming notturno, visto che il 29% degli intervistati dichiara di giocare fino a tarda notte almeno a una volta alla settimana, e il 4% lo fa addirittura tutti i giorni, con conseguenze prevedibili per quanto riguarda le performance di studio e di sport nel giorno successivo.

Il rischio delle loot boxes

Un’altra parte di questi problemi è invece legata a uno dei meccanismi più diffusi per la vendita di aiuti digitali ai giochi: le loot boxes, ovvero “casse” di beni virtuali di diversa rarità (e quindi di diverso valore intrinseco all’interno del gioco) il cui contenuto è casuale e che hanno un costo che va da pochi centesimi a decine, se non centinaia, di euro per quelle più grosse. Parte di queste loot boxes possono essere guadagnate direttamente progredendo nel gioco, ma il modo più semplice e rapido è quello di spendere soldi con le microtransazioni per acquistarle, con tutti i possibili abusi del caso.

Secondo il report, il 63% dei ragazzi non ha mai sentito parlare di loot boxes e il 24%, anche se ne ha sentito parlare, non ne ha mai incontrate all’interno di un gioco: il fenomeno da noi sembrerebbe quindi minoritario. Diversa però la situazione in altri Paesi, come il Giappone e in generale le nazioni asiatiche, che conoscono molto bene il fenomeno dei gacha, termine che dall’utilizzo originario (i distributori di “palline” con all’interno un gioco casuale, conosciuti anche da noi ma diffusissimi nell’estremo Oriente) è passato a indicare la modalità di monetizzazione più diffusa per molti giochi free to play, ovvero teoricamente gratuiti, ma risolvibili con molta più facilità spendendo qualcosa.

Per chi in Italia conosce le loot boxes, nel 35% dei casi la presenza di tale strumento all’interno del gioco non fa differenza, e il 25% invece non le gradisce (ritenendo che sia, in un certo senso, come “barare” scegliendo scorciatoie). Ma c’è un 31% di utenti tra i 12 e i 14 anni e un 23% di quelli tra i 15 e i 18 anni che dicono di apprezzarle o di apprezzarle molto: c’è da sperare che questo molto, con la complicità di qualche genitore troppo assente, non diventi troppo.

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