l'analisi

Cultura nell’era digitale, 6 giovani su 10 si fidano più del web e dei social che del passaparola

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Quali canali informativi vengono privilegiati dai giovani per relazionarsi con contenuti di natura culturale? Secondo i dati dell'11° rapporto di ricerca dell’Associazione Civita 'Millennials e Cultura nell’era digitale', oltre 6 intervistati su 10 prediligono web e social, seguiti dal 'passaparola' (33 %), in linea con l’attuale pratica dello 'sharing'.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Ieri pomeriggio a Roma, nella bella sede della Galleria Nazionale d’Arte Moderna (Gnam), sala affollata (oltre duecento persone, soprattutto da giovani) per la presentazione dell’11° rapporto di ricerca dell’Associazione Civita, intitolatoMillennials e Cultura nell’era digitale. Consumi e progettualità culturale tra presente e futuro”, volto a contribuire alla conoscenza delle giovani generazioni, per favorire il loro coinvolgimento attivo nel mondo della cultura, migliorando così la loro vita e costruendo una società più attiva e consapevole.

La ricerca è stata condotta dal Centro Studi “Gianfranco Imperatori” dell’Associazione Civita (diretto da Alfredo Valeri), in collaborazione con Baba Consulting (presieduta da Giulia Ceriani). I risultati sono pubblicati in un bel tomo, a più mani, con ricco “layout” infografico, pubblicato per i tipi di Marsilio Editore, intitolato “Millennials e Cultura nell’era digitale. Consumi e progettualità culturale tra presente e futuro” (171 pagine).

La ricerca – basata prevalentemente su un’indagine demoscopica (il solito “campione” di mille intervistati, che dovrebbe essere “rappresentativo” dell’intera popolazione di riferimento…) – fornisce un contributo di conoscenza senza dubbio utile, anche se riteniamo che si tratti di una tematica che merita assolutamente ulteriori e più approfondite esplorazioni.

Quella del rapporto tra “giovani” e “cultura” è peraltro una tematica sulla quale dovrebbe concentrare la propria attenzione anche la Rai, che sempre più sembra paradossalmente “sganciata” da questi due mondi: “i giovani” e “la cultura”. Viale Mazzini perde infatti share nelle classi giovanili della popolazione, e, rispetto alla cultura, non riesce a mettere a fuoco la propria “mission” istituzionale.

Secondo lo studio promosso da Civita, i giovani nati fra la metà degli anni Ottanta ed i primi del Duemila – appartenenti alle categorie dei cosiddetti “Millennials” e dei “Centennials” – rappresentano una “risorsa-chiave” per il futuro del nostro Paese, sia sotto il profilo della fruizione culturale, che della produzione creativa.

Sebbene oggi si parli spesso di “Generazioni Y” e “Z” o “nativi digitali”, le loro caratteristiche in termini di abitudini e stili di vita sono ancora assai poco conosciute ai decisori pubblici, al contrario di quanto avviene per le imprese, che considerano i giovani target di mercato centrali e oggetto di mirate campagne di marketing: questo ennesimo “deficit di conoscenza” finisce per limitare l’efficacia delle politiche a loro destinate, escludendoli da una significativa quota di offerta culturale ed artistica.

Il problema di questo “deficit cognitivo” riguarda indifferentemente sia il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac) sia la Radiotelevisione Italiana spa (Rai), sia altri “player” istituzionali ancora, tra i quali lo stesso Ministero dell’Istruzione, della Ricerca e dell’Università (Miur).

Qualche giorno fa, abbiamo avuto chance di segnalare la questione direttamente al Ministro Alberto Bonisoli, in occasione di un incontro focalizzato sulla riforma del Mibac: abbiamo rimarcato quanto debole sia il “sistema informativo” del Ministero, se è vero che non dispone di indagini minimamente accurate che possano tracciare il profilo dei visitatori museali o degli spettatori cinematografici (vedi “Key4biz” del 25 marzo 2019, “Mibac, previste 2mila assunzioni entro 2 anni. In anteprima le linee guida del ministero”).

E se il Ministero stesso non ha un “identikit” del suo “target” – ovvero della potenziale “audience” del proprio intervento, ovvero della collettività tutta – come può la “mano pubblica” sapere se sta intervenendo efficacemente (al di là delle inesistenti valutazioni di impatto)?!

Queste osservazioni possono apparire banali – e retoriche simili domande – ma così non è, perché si rinnovano i risultati ovvero le conseguenze della “ignoranza” dello Stato italiano.

La mano pubblica continua – fatte salve rarissime eccezioni – ad ignorare la lezione einaudiana del “conoscere per governare”.

E quindi prevale quasi sempre la nasometria, ovvero la sensibilità soggettiva del ministro “pro tempore”, l’opportunità politica (talvolta elettorale), la mediazione tra gli interessi dei “poteri forti”: le politiche pubbliche sono dominate da vischiosità, inerzia e conservazione.

Vocazione al rischio, capacità di innovare, volontà di sperimentare?! Tendenti a zero.

Ce ne vorrebbero di ricerche come quella promossa da Civita, e dovrebbero essere molti i soggetti istituzionali interessati ad approfondire la tematica del rapporto tra “giovani” e “cultura”. In argomento, va lamentato anche un discreto disinteresse, negli ultimi anni, anche da parte dell’accademia: perché la questione è stata trascurata, fatte salve encomiabili eccezioni come quelle rappresentate dallo Iard e dall’Istituto Giuseppe Toniolo?!

Chi sono i giovani? Quali valori dominano la loro esistenza? Qual è il ruolo della cultura nella loro vita? Questi alcuni degli interrogativi che l’Associazione Civita si è posta. Una ricerca di questo tipo non può fornire risposte esaurienti, ma certamente proporre qualche stimolo per ulteriori opportuni approfondimenti.

La ricerca ha “tentato di mettere a fuoco un’entità sfuocata, sfaccettata e in continua trasformazione”.

Dall’indagine demoscopica di Civita, emergono alcune tendenze in materia di gusti, aspirazioni, attitudini di consumo culturale, propensione alla produzione creativa, e di ambiti di criticità: un bagaglio informativo mirato, una prima esplorazione utile agli operatori culturali e, più in generale, alle agenzie formative (scuola e università), per ottimizzare le strategie di “audience development” a favore dei giovani, rendendole inclusive, e massimizzandone gli impatti.

Le giovani generazioni, attualmente prevalentemente utenti potenziali, rappresentano, in realtà, il grande bacino dei consumatori e produttori di cultura di domani.

Uno dei dati preoccupanti che emergono dalla ricerca: l’“appeal” esercitato sui giovani dalle offerte culturali dei territori appare decisamente limitato, se è vero che 4 su 10 dichiarano di apprezzare l’offerta della propria città, ma la metà non ne fruisce appieno, sia per scarsa conoscenza sia per disinteresse.

Con la tipica fantasia di questo tipo di indagini, sono stati identificati degli “insiemi” sociologici, attraverso una logica di “segmentazione” ovvero di definizione del perimetro identitario.

La ricerca ha voluto rilevare le modalità con cui la “generazione Y” (18-32 anni) e la “generazione Z” (15-17 anni) si rapportano in Italia con la cultura, cercando di delineare un quadro di “autorappresentazione”, attraverso valori, aspettative ed interessi.

Sulla base di specifiche caratteristiche distintive, emergerebbero 4 gruppi (“cluster”), per i quali la “cultura” ha diverse accezioni: di stampo conservativo-tradizionalista (i “Custodi”); come esplorazione di proposte originali (gli “Artefici”); risorsa per la propria affermazione sociale e potenziale leva di crescita (i “Cercatori”); complesso di conoscenze aperto e dinamico in equilibrio fra tradizione e sperimentazione innovativa (i “Funamboli”).

Da ricercatori quali siamo, non intendiamo tediare il lettore su questioncelle metodologiche, né criticare in questa sede i colleghi del Centro Studi “Gianfranco Imperatori” dell’Associazione Civita o i colleghi di Baba Consulting: ci limitiamo a ribadire che si tratta di una tematica sociologica e politica fondamentale, delicata e strategica, che dovrebbe stimolare ricerche molto più ampie (a partire dalle dimensioni e dalla struttura del campione…), con tecniche di rilevazione più accurate (interviste in profondità…), di approccio anche qualitativo (questo di Civita è invece prevalentemente quantitativa…), da “incrociare” con i dati disponibili provenienti da altre rilevazioni (da Auditel ad Audicinema, passando per quelle poche ricerche disponibili in materia di fruizione libraria, musicale, teatrale, museale…). A proposito di ricerche e dati, secondo il collega Giampaolo Di Mizio (vedi “il Foglio” di oggi, “Ecco come la Rai arretrata sta bloccando la riforma di Auditel”), Viale Mazzini starebbe paradossalmente ostacolando la diffusione dei dati della nuova Auditel, ovvero del “super panel” che rileva le audience anche su pc, smartphone e tablet: i numeri Rai non sarebbero esattamente esaltanti, e qualcuno frena la loro diffusione…

E se l’Istat si destasse da suo torpore, forse potrebbe fornire un qualche contributo per superare l’attuale deserto di conoscenze (tra i contributori del rapporto Civita, vi è anche Annalisa Cicerchia, prima ricercatrice Istat, che propone analisi interessanti, ma a partire da un dataset che resta incompleto e non aggiornato). E che dire dello scandaloso ritardo di un’altra istituzione pubblica, questa addirittura europea, qual è Eurostat, se è vero che l’ultimo approfondimento dedicato alla cultura (intesa come partecipazione e accesso) da “Eurobarometro” risale al 2013?!

Quali canali informativi vengono privilegiati dai giovani, per relazionarsi con contenuti di natura culturale? Secondo i dati di Civita, oltre 6 intervistati su 10 prediligono web e “social network” seguiti dal “passaparola” (33 %), in linea con l’attuale pratica dello “sharing”.

Rispetto alle offerte culturali, i consumi privilegiano quelle legate alle dimensioni della spettacolarizzazione e dell’intrattenimento: film e web series. Il confine tra “cultura” ed “entertainment” è ormai spesso assai labile, in una crescente sovrapposizione concettuale, anche se riteniamo che “la spettacolarizzazione della cultura” sia una dinamica da affrontare con grande prudenza (soprattutto in termini di “policy” pubbliche).

Dalla ricerca Civita, emerge una connotazione culturale maggiore fra coloro che hanno una formazione superiore umanistica.

Le offerte culturali “alte” (teatro, opera, ecc.) sono minoritarie per la “Gen Z”, che percepisce la musica come momento di condivisione con gli amici attraverso gruppi e “communities” (mentre la “Gen Y” preferisce un consumo privato), prediligendo generi attuali e commerciali. La fruizione mediale passa, in prevalenza, dalle piattaforme di streaming online (Spotify e Youtube per la musica e Netflix per film e serie).

La televisione occupa un ruolo marginale ed andare al cinema non risulta particolarmente interessante, anche per i costi ritenuti troppo elevati.

Quella del “costo” di accesso alla cultura è una variabile che emerge in modo netto.

Quali elementi risultano maggiormente disincentivanti la fruizione culturale giovanile?

In primis, i costi (6 su 10 soprattutto “Gen Y”) e, a seguire, l’offerta scarsa (soprattutto per i residenti in centri minori) o inadeguata.

In generale, i giovani sono disposti a spendere soprattutto in ambito musicale, e per i concerti dal vivo. Sono molto apprezzate le iniziative incentivanti l’accesso come le aperture gratuite dei siti o gli abbonamenti agevolati…

Da segnalare, in argomento “pricing” della cultura, quanto dichiarato oggi dal Ministro grillino Alberto Bonisoli: i risultati di consuntivo della controversa campagna a favore del cinema “CinemaDays”, col prezzo del biglietto delle sale ridotto a 3 euro dal 1° al 4 aprile, sarebbero stati eccellenti: si attende conferma da parte degli analisti più attenti, ricordando che una parte degli esercenti cinematografici non è del tutto convinta (e noi con loro) dell’efficacia di questo strumento di marketing, se occasionale e soprattutto se sganciato da un sistema integrato di promozione (che è questione “culturale”, oltre che di marketing). E sarà interessante analizzare quanto questo intervento “spot” abbia arricchito ulteriormente il “box office” di film come “Dumbo” ed altri “blockbuster” americani, piuttosto che titoli italiani…

Il Segretario Generale di Civita, Nicola Maccanico (è anche Vice President di Sky Italia nonché Ceo di Vision Distribution), che ha presentato i dati insieme al Presidente Gianni Letta (da sempre sensibile alla “materia culturale”), ha sostenuto che lo studio “dimostra che c’è un difetto di corrispondenza tra le potenzialità della cultura e questa generazione… per colmare il gap, per parlare ai giovani, dobbiamo essere nel perimetro digitale… bisogna innanzitutto cambiare linguaggio e utilizzare il digitale, che può davvero essere territorio comune tra cultura e giovani… bisogna poi agire sui luoghi e sui prezzi”, che la ricerca – come abbiamo segnalato – rivela spesso essere ostacolo ad un avvicinamento.

Il Presidente di Civita Gianni Letta ha sostenuto che “investire oggi nell’avvicinare i giovani al mondo culturale e artistico consente non solo di garantire loro una migliore qualità di vita, generando opportunità preziose a livello personale e professionale, ma, in definitiva, significa rendere la società di domani più coesa e attrezzata per affrontare le sfide future”. Ci vuole coraggio – culturale e politico – per auspicare una società “più coesa”, a fronte di uno scenario attuale del nostro Paese nel quale ci sono partiti di governo che teorizzano e praticano logiche assai – per usare un eufemismo – divisive…

Alla luce dello studio, l’Associazione Civita ha anche elaborato 4 proposte concrete, per stimolare il rapporto tra giovani e cultura:

(1.) Ampliamento dell’offerta culturale

Incrementare a livello locale l’offerta di prodotti e attività culturali personalizzati sulle esigenze dei segmenti di (non)pubblico in cerca di motivazione, integrando maggiormente la dimensione dell’intrattenimento con quella culturale.

(2.) Creazione di contesti idonei e strumenti ad hoc

Predisporre idonei contesti per la fruizione culturale e la sperimentazione creativa, facendo uso di strumenti calibrati sugli interessi di questi giovani “iperconnessi”, affinché la cultura venga percepita come un’opzione rilevante fra le alternative nell’impiego del proprio tempo libero (favorendo, ad esempio, anche la dimensione ludico-esperienziale).

(3.) Facilitare l’accesso alla cultura

Adottare misure per abbattere, o rendere meno vincolante, la barriera economica all’accesso (gratuità selettive e forme di “membership” che favoriscano la fidelizzazione), senza trascurare altre dimensioni di accessibilità (raggiungibilità con mezzi pubblici; orari di apertura ampliati; infrastrutturazione digitale dei luoghi culturali; presenza di servizi ricreativi, ecc.). Ancora più della mancanza di interesse o tempo libero, il fattore economico costituisce la prima barriera sia al consumo culturale che alla produzione creativa dei giovani.

(4.) Favorire tutorial e supporti finanziari per favorire iniziative culturali e creative

Incentivare mediante tutorship e supporti finanziari le iniziative creative e culturali ideate e proposte dai giovani stessi.

Conclude Civita: “le iniziative di ‘engagement’ dei giovani, oltre a rendere interessante e memorabile l’esperienza culturale, devono, quindi, essere inquadrate in un’ottica più ampia e articolata: quella delle politiche che parlano e ascoltano i pubblici della cultura”.

Ottima osservazione: infatti, sia sul fronte ministeriale sia sul fronte del servizio pubblico televisivo, assistiamo spesso ad una “offerta” dall’alto, che non riesce a “parlare” con il proprio pubblico, anche perché non è in grado – giustappunto – di “ascoltarlo”. Il deficit di retroazione è evidente.

Ed infatti molti giovani si allontanano sia dalla Rai sia dalla cultura tout-court.

Sono fenomeni che si accompagnano alla crescente disaffezione dei giovani verso la “res publica” ed al crescente tasso di astensionismo elettorale: andrebbe studiata seriamente la correlazione tra queste fenomenologie… Tematica di grande rilevanza politica e civile, oltre che di grande interesse scientifico (sociologico, in primis).

Le proposte di Civita sono interessanti e valide, e ci auguriamo possano essere studiate sia dal Ministro Alberto Bonisoli sia dal Presidente della Rai Marcello Foa: una metabolizzazione da parte di questi “decision maker” delle “politiche pubbliche” per la cultura potrebbe determinare effetti benefici per l’intera collettività.

Senza peraltro dimenticare che esiste un’altra parte della popolazione, soprattutto quella anziana, che non ha ancora alcun accesso con la attuale “grande fonte” della cultura, qual è ormai il web ed il digitale: ricordiamo che se i giovani utilizzano internet come mezzo prevalente di informazione (e spesso anche di accesso alla cultura, “alta” o “bassa” che si intenda), un terzo circa degli italiani non ha ancora nemmeno accesso al web (è la parte più povera, e soprattutto più vecchia, della popolazione, anche se – secondo un report Camscore dell’ottobre 2018 – complessivamente un italiano su tre “oltre i 35 anni” non accede ad internet).

Ed anche questo “target” dovrebbe essere oggetto di attenzione estrema da parte di Mibac e Rai, istituzioni entrambe chiamate a contribuire al superamento di questo gravissimo “digital divide”.

In questi giorni, dal “fronte Rai”, poche notizie ed incerte. Il “piano industriale”, approvato dal Consiglio di Amministrazione il 6 marzo 2019, procede con prevedibile lentezza, anche se certamente una accelerazione è stata data dalla nomina di Alberto Matassino (già assistente dell’Ad Fabrizio Salini) a Direttore Generale, il 27 marzo scorso. Un dispaccio Adnkronos di ieri sera ipotizzava la nomina di Luciano Flussi, potente direttore delle risorse umane Rai, alla direzione del “Transformation Office”, ovvero la struttura che nelle prossime settimane dovrà mettere mano ad una radicale riorganizzazione dell’azienda (dalla impostazione “per reti” a quella “per generi”). I sindacati restano per ora in modalità “stand by”, anche perché – almeno secondo quel che dichiaravano ufficialmente in comunicati congiunti del 28 marzo – non hanno ancora ricevuto dai vertici aziendali copia del mitico “segretissimo” (?!) documento, ovvero il “piano industriale”: incredibile (anche perché il “piano” è stato trasmesso da settimane ai quaranta parlamentari della Commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai), ma vero.

E si spera che, in occasione della prossima riunione della Commissione di Vigilanza Rai, convocata per martedì 9 aprile, un qualche parlamentare abbia la forza di aprire finalmente una discussione pubblica sul “piano industriale” e soprattutto sui suoi tanti deficit rispetto alle previsioni del “contratto di servizio”…

E qualcuno avrà finanche il coraggio di affrontare anche il tema del… rapporto tra giovani e cultura?