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Crowd4Fund. ‘Il social lending deve uscire dalla nicchia’. Intervista a Angelo Rindone (FolkFunding)

Angelo Rindone

L’ultimo rapporto di Massolution ha messo in evidenza come il social lending, con i suoi 11,08 miliardi di dollari annui, domini il mercato del crowdfunding realizzando il 70% della raccolta totale.

Mentre molti si sforzano di capire il crowdfunding reward, che in America fa numeri importanti e sforna oggetti di design, o si interrogano per cercare di strutturare un settore come quello dell’equity, regolamentato in modo frettoloso e con armi ancora troppo spuntate per generare casi interessanti, in Italia praticamente non si parla di social lending se non tra addetti ai lavori o per la recente notizia della significativa valorizzazione ottenuta da Prestiamoci.

Crowd4Fund è una rubrica in collaborazione con Crowdfunding Buzz e a cura di Fabio Allegreni. Novità e approfondimenti sul Crowdfunding nelle sue diverse forme. Il focus principale è sull’Italia, senza dimenticare i trend internazionali più significativi. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Anche se rientra nella grande famiglia del crowdfunding, il social lending non ha nulla a che vedere con Kickstarter e company.

 

Il social lending è un prestito “disintermediato”; in pratica è lo strumento che mette in contatto persone (o aziende, nei Paesi che lo prevedono) che cercano un prestito ad un tasso vantaggioso con persone che vogliono prestare i loro soldi per avere un ritorno vantaggioso; sostanzialmente è quell’operazione che una volta facevano le banche ma che si vede sempre più raramente.

Una grande differenza con il concetto “tradizionale” del crowdfunding è che non ci sono “progetti” o “idee da finanziare”.

Il più delle volte si chiede un prestito per motivi banali ed esigenze quotidiane; quello che conta è il rating di chi chiede il prestito, il c.d. merito creditizio: la possibilità che il prestito venga rimborsato in termini probabilistici e di valutazione del rischio. Purtroppo in questo tipo di valutazione, gli strumenti sono ancora vecchio stile, come quelli delle banche o delle finanziarie che consentono, ad esempio, l’acquisto di un motorino: si tratta di valutazioni basate sulle risultanze della centrale rischi, della busta paga (per chi ce l’ha), delle possibili garanzie, e che si traducono in un punteggio che pronostica la capacità di restituire il prestito.

Per chi presta denaro, invece, si tratta di aprire dei conti e impostare gli importi e i parametri relativi agli investimenti che si vogliono effettuare. Questo è un profilo sul quale le piattaforme spesso si differenziano: alcune preferiscono una certa rigidità mentre altre hanno sviluppato delle vere e proprie consolle che cercano di coniugare la finanza e il gioco.

Abbiamo parlato di social lending con Angelo Rindone, AD della startup FolkFunding, ed uno dei padri storici del crowdfunding italiano. Oltre ad aver fondato la piattaforma di reward crowdfunding Produzioni dal Basso, con la sua società sta sviluppando piattaforme di equity crowdfunding e di crowd-economy.

Fabio Allegreni. Gira voce che stiate sviluppando una nuova piattaforma di social lending. Potete anticiparci qualcosa?

 

Angelo Rindone. Il nostro punto di osservazione è particolare: in effetti stiamo costruendo una piattaforma di social lending che speriamo possa essere inaugurata già nel 2015 e questo sta permettendo a me ed al mio team di comprendere appieno le potenzialità e le criticità di questo strumento.

Fabio Allegreni. Qual’è la differenza tra una piattaforma di equity ed una di social lending?

 

 

Angelo Rindone. Avendo fatto anche piattaforme di equity, la prima cosa che salta all’occhio è la mancanza di una normativa dedicata. Con tutti i suoi limiti la norma CONSOB sull’equity mette dei paletti e detta delle regole che rendono più semplice lo sviluppo di un applicativo perché i ruoli sono pre-definiti e i flussi (per quanto migliorabili) hanno una loro logica. Nel lending non c’è nulla di tutto questo e bisogna affidarsi a flussi e norme che sono diretta espressione del mondo delle banche, cosa che rischia di depotenziare molto il social lending come strumento di disintermedizione (o reintermediazione). Il lavoro è soprattutto algoritmico, la capacità di una piattaforma è fare matching tra domanda e offerta.

Fabio Allegreni. Per chi volesse aprire una piattaforma di social lending qual’è la strada?

Angelo Rindone. Chi voglia aprire una piattaforma di Social Lending in Italia deve giustamente passare dalla Banca d’Italia, deve essere un istituto di pagamento o avere una licenza di tipo bancario. Insomma non è una attività aperta a tutti e non vedremo, come stiamo vedendo con il reward crowdfunding, fenomeni di polverizzazione con decine di piattaforme ed un offerta superiore alla domanda.

L’unica strada razionalmente perseguibile ad oggi è quella di studiare i modelli approvati da Banca d’Italia (Smartika e Prestiamoci) cercando di restare nel solco tracciato, anche se la vera sfida è andare oltre quei modelli; penso in particolare al P2B (peer to business) che in Italia non fa ancora nessuno.

Fabio Allegreni. Pur trattandosi di alcuni milioni di euro, in Italia il fenomeno è ancora piccolissimo e trascurabile. Perché?

 

Angelo Rindone. A parte tutti i paletti culturali e le solite cose che ci diciamo da anni, credo che il lending in Italia non abbia ancora trovato i giusti canali di comunicazione e il linguaggio corretto, le piattaforme sono chiuse su se stesse un po’ come delle intranet aziendali difficili da capire e da utilizzare.

Per questo stiamo lavorando in modo coordinato con un’agenzia di comunicazione e i designer perché vogliamo arrivare ad un prodotto stabile e serio ma anche bello, comprensibile ed utilizzabile da tutti.

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