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Crisi climatica, perché i media fanno pubblicità alle aziende più inquinanti? Italia primo Paese in Europa per finanziamenti alle industrie fossili

Crisi climatica raccontata sui media

Siamo ormai pienamente immersi nella transizione energetica ed ecologica, sia a livello nazionale, sia di Unione europea. Grandi obiettivi, traguardi sfidanti e tanto bisogno di guidare un percorso di trasformazione che certamente non è facile, ma allo stesso tempo è drammaticamente necessario per affrontare la crisi climatica in corso e che ci attenderà nei prossimi decenni. Sui media però il tema è controverso.

Le ultime pubblicazioni dei Report dell’IPCC d’altronde non lasciano spazio a dubbi e tanto meno a ripensamenti o ridimensionamento degli interventi: sale la temperatura media del pianeta, il global warming è in piena azione, la concentrazione di gas serra in atmosfera va aumentando, i livelli di inquinamento di acqua, terra e aria sono ai massimi storici. Bisogna intervenire ora, subito, non domani o più avanti.

Viene da chiedersi, allora, come il sistema mediatico dell’informazione sta gestendo questo momento storico così gravido di paure e preoccupazioni per il futuro dell’umanità e di tutti gli altri esseri viventi su questo pianeta.

Ci si aspetterebbe la massima attenzione ai temi sopra riportati, con le voci dei diretti interessati, cioè degli esperti, della comunità scientifica, nonché delle vittime dirette delle economie più inquinanti. Ma non è così.

Secondo una ricerca di Greenpeace Italia, sui giornali e in televisione la crisi climatica non trova molto spazio, al contrario si rileva un aumento diffuso della pubblicità per le aziende maggiormente responsabili delle emissioni inquinanti e quindi del riscaldamento globale.

Come l’industria del fossile influenza i media

L’industria dei combustibili fossili continua di fatto ad essere molto forte e il suo potere di influenzare i mezzi di informazione è ancora grande.

Lo studio ha esaminato, nel periodo fra settembre e dicembre 2022, come la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e da un campione di programmi televisivi di approfondimento.

Sulla stampa alla crisi climatica sono dedicati non più di 2,5 articoli al giorno.

Nel contempo aumenta lo spazio dedicato all’industria dei combustibili fossili, con oltre sei pubblicità a settimana in media.

L’influenza del mondo economico sulla stampa emerge anche dall’analisi dei soggetti che hanno più voce nel racconto della crisi climatica: le istituzioni internazionali (21%), anche in virtù della COP27, poi le aziende (15%), che superano associazioni ambientaliste (14%), esperti (10%), politici e istituzioni nazionali (10%).

Nei programmi televisivi di approfondimento si è infine dato spazio alla crisi climatica in 116 delle 450 puntate monitorate, pari al 26% del totale, in leggero calo rispetto al quadrimestre precedente.

Italia al sesto posto nel mondo (prima nell’UE) per finanziamenti all’industria che inquina

Rimanendo nel nostro Paese, in termini di finanziamenti all’industria dei combustibili fossili siamo ai primi posti nel mondo, sul podio più alto in Europa.

Secondo uno studio pubblicato da Oil Change International e Friends of the Earth US, a cui hanno collaborato Legambiente e ReCommon, tra il 2019 e il 2021 l’Italia ha fornito 2,8 miliardi di dollari all’anno in finanza pubblica per i combustibili fossili.

Questo dato ci classifica come il sesto maggior fornitore di finanza pubblica internazionale per combustibili fossili a livello globale (dopo Giappone, Canada, Corea, Cina e Stati Uniti), e primo in Europa (di un soffio davanti alla Germania, molto al di sopra di Gran Bretagna e Francia).

Come spiegato da Legambiente: “I finanziamenti italiani per le fonti più inquinanti sono fluiti in gran parte attraverso l’agenzia italiana di credito all’esportazione, Servizi Assicurativi del Commercio Estero (SACE). Questo tipo di finanziamento preferenziale alle fossili aiuta a sfruttare ulteriori investimenti per i progetti proposti e rende più probabile che vengano portati a termine”.

Nel suo ultimo rapporto, l’IPCC ha evidenziato che la finanza pubblica per i combustibili fossili è “gravemente disallineata” rispetto al raggiungimento degli obiettivi di Parigi, ma potrebbe essere riorientata a favore di progetti altamente green. Facile a dirsi, difficile a farsi.

E infatti, tra il 2019 e il 2021 i paesi del G20 e le principali banche multilaterali di sviluppo hanno finanziato una media annua di 56 miliardi di dollari per progetti di petrolio, gas e carbone, superando di parecchio il sostegno alle energie rinnovabili, che hanno ricevuto una media annua di 29 miliardi di dollari nel periodo 2019-2021.

La Corte internazionale contro le ingiustizie climatiche

Interessante la notizia infine che nei giorni scorsi è trapelata sui media un po’ in sordina: le Nazioni Unite hanno chiesto alla Corte internazionale di giustizia (Cig) di emettere un parere consultivo sugli obblighi degli Stati in materia di cambiamento climatico.

Il lavoro della Corte potrà fornire i necessari chiarimenti sugli obblighi giuridici internazionali esistenti, e in questo caso potrebbero aiutare le Nazioni Unite e i Paesi membri a intraprendere un’azione piu’ forte per il clima.

I pareri consultivi della Corte – il principale organo giudiziario dell’Onu – hanno un’enorme importanza e possono avere un impatto duraturo sull’ ordinamento giuridico internazionale“, ha dichiarato segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.

In questo caso potrebbero aiutare le Nazioni Unite e i Paesi membri a intraprendere un’azione piu’ forte per il clima. Rimaniamo fiduciosi, ma il lavoro da fare è davvero impegnativo.

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