L'analisi

Crediti deteriorati: cosa potrebbe fare il governo per una gestione industriale degli NPL

di Maurizio Baravelli, Università di Roma “Sapienza” e Riccardo Cappellin, Università di Roma “Tor Vergata” |

In un periodo di crisi come quello attuale spetta alle imprese sane assieme alle banche favorire le acquisizioni e fusioni tra imprese della stessa filiera

Il tradizionale modello di gestione finanziaria delle “bad bank” non è grado di valorizzare al meglio i NPL per tutti gli attori coinvolti. Occorre guardare anche ad altre soluzioni e strategie. L’approccio industriale costituisce un’alternativa da considerare in una logica di sviluppo dell’economia nazionale e del territorio.

 

Il fenomeno dei crediti deteriorati (NPL- Non performing loans) è strettamente legato alla crisi economica e alle situazioni di difficoltà che hanno colpito numerosi settori industriali, intere filiere e migliaia di imprese soprattutto piccole e medie, che dipendono strettamente dal credito bancario.

In Italia queste imprese non dispongono di canali di finanziamento diversi dalle banche e quindi quando si trovano con problemi di liquidità non dispongono di alternative, e se le banche non aumentano i fidi, anzi li tagliano, queste imprese rischiano il default anche se la loro situazione economica non è sempre particolarmente grave.

La cessione avviene a prezzi stracciati quando le banche si vedono costrette a rispondere rapidamente alle richieste della Vigilanza e a ripristinare gli equilibri aziendali. Chi acquista i crediti tende a fare cassa liquidando le garanzie patrimoniali immobiliari, facendo scorpori e vendendo i singoli asset invece di cercare soluzioni alternative come le aggregazioni con imprese sane, fusioni, ristrutturazioni e riposizionamenti di settore e di filiera.

Ma questa gestione “cinica” della banca non è priva di conseguenze perverse anche per la stessa banca che si trova a subire perdite che non dipendono tanto dalle imprese quanto dalla propria incapacità di gestire le relazioni di clientela.

Come indicato dai termini “ripresa” o “ricostruzione” che sono compresi nel nome del fondo americano (TARP- Troubled Asset Relief Program) e di quello tedesco (KwF- Kreditanstalt für Wiederaufbau), l’obiettivo dovrebbe essere quello di creare o una “Development corporation” nell’ipotesi più ambiziosa o almeno una Asset Management Company e non una “bad bank”. Il problema non è quello di conferire i crediti deteriorati con il compito di gestire le procedure concorsuali, utile solo per coprire in parte le perdite finanziarie delle banche, ma quello di promuovere lo sviluppo e alla luce di questo obiettivo, una “gestione industriale” delle imprese in crisi.

 

La soluzione indicata in questa proposta è il risultato di un lavoro del Gruppo di Discussione Crescita, Investimenti e Territorio e consiste nella costituzione appunto di società di gestione dei NPL nella forma di una Sgr o di un altro veicolo ad hoc (Spv – special purpose vehicle) ma, a differenza delle tradizionali bad bank, con il fine di trovare delle soluzioni industriali, di settore e di filiera, tramite processi di aggregazione e concentrazione anche con l’intervento di imprese sane interessate alle acquisizioni.

In tal modo si avrebbero vantaggi sia per le imprese in crisi sia per le banche e i finanziatori delle società veicolo. Questo modello offre migliori possibilità di valorizzare i crediti in sofferenza e allo stesso tempo di sostenere le economie territoriali, dove le imprese in crisi sono presenti. Non solo ma possono accorciarsi i tempi del rientro dei crediti che sono molto lunghi nel caso delle procedure concorsuali.

Questa strategia di tipo industriale è diversa e relativamente nuova nel dibattito economico attuale, nel quale sembra essere presente solo la prospettiva della vendita sul mercato finanziario dei crediti deteriorati e di una liquidazione delle imprese, di fatto dimenticando che la dimensione del problema dei NPL, che ammontano a più di 300 miliardi, rende necessario impostare il problema in termini economici/industriali a livello di sistema economico complessivo e non solo in termini finanziari/normativi con riferimento al singolo credito deteriorato.

Piuttosto che sottoscrivere un contratto di cessione pro soluto di un portafoglio di crediti in sofferenza a veicoli di cartolarizzazione finanziati da altre società finanziarie italiane e estere, converrebbe alle banche italiane unire le loro forze e procedere alla “valorizzazione” dei crediti in sofferenza o problematici tramite strategie di tipo industriale, come il consolidamento o la cessione delle imprese indebitate.

Una società di gestione comune dei NPL dovrebbe mirare alla gestione comune a scala territoriale (per regione o provincia) di pacchetti di NPL e delle relative garanzie immobiliari, che resterebbero di proprietà delle diverse banche e che verrebbero solo affidati alla società di gestione per una valorizzazione, intesa come ricavo finale superiore a quello di un’immediata cessione dei NPL sul mercato.

Questa soluzione può anche essere integrata con quella della creazione di una o più bad bank create su base volontaria da gruppi di banche, dato che consentirebbe di recuperare quanto più possibile dai crediti in sofferenza.

Un periodo di crisi come quello attuale rappresenta un’occasione unica per sviluppare processi di consolidamento o di aggregazione delle imprese nella loro filiera produttiva. Spetta alle imprese sane assieme alle banche favorire le acquisizioni e fusioni tra imprese della stessa filiera.

La possibilità di integrazione dell’impresa in crisi con altre imprese sane della stessa filiera e del sistema produttivo locale consente sicuramente un aumento della redditività dell’impresa in crisi e quindi del suo valore, rispetto al valore di liquidazione individuale dell’impresa stessa.

Le economie esterne e di integrazione produttiva tra le imprese riguardano la complementarietà dei rispettivi mercati di vendita, delle tecnologie produttive, delle competenze del management, oltre ad un apporto di capitale delle imprese acquirenti, e determinano un miglioramento delle prospettive di reddito delle imprese in crisi e quindi un aumento notevole del prezzo di mercato dei NPL rispetto a quello nel caso della mera liquidazione delle singole imprese e vendita delle loro singole immobilizzazioni o attività.

Preliminare è la definizione di un valido piano industriale delle newco che continuano l’attività delle imprese in crisi, e l’individuazione, anche con il contributo dei centri di ricerca, degli incubatori e delle università, di nuove specializzazioni “intelligenti” di diversificazione produttiva, dei nuovi bisogni emergenti dei clienti e degli utilizzatori e quindi di nuovi mercati.

I nuovi capitali richiesti da parte delle newco possono essere forniti dalle imprese sane e di dimensioni maggiori che acquisiscono quelle in crisi. Pertanto, la società di gestione dei NPL deve operare in stretto coordinamento, da un lato, con le banche che l’hanno costituita e che hanno in carico gli stessi NPL.

Dall’altro lato, deve collaborare con operatori del Private Equity o di consulenza nel M&A che possono proporre imprese nazionali e internazionali interessate a acquisire le imprese in crisi ai fini di un turnaround o della creazione di joint ventures su nuovi progetti di produzioni innovative.

 

maurizio.baravelli@uniroma1.it, cappellin@economia.uniroma2.it

 

Maurizio BaravelliMaurizio Baravelli è professore ordinario di Economia e Gestione della Banca alla Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Management, dove insegna Corporate e Investment Banking nel Corso di Laurea magistrale in “Intermediari, Finanza Internazionale e Risk Management”. Ha insegnato anche presso l’Università L. Bocconi, dove è stato professore associato, e la Scuola di Direzione Aziendale della stessa Università, l’Università di Messina, la Luiss – Guido Carli. Le sue pubblicazioni  riguardano principalmente le strategie e i modelli organizzativi, le condotte manageriali e i modelli di governance nell’industria bancaria, le dinamiche competitive dei mercati dei servizi bancari e finanziari, il finanziamento dell’innovazione, le relazioni fra la morfologia dei sistemi finanziari e la crescita economica.

 

Riccardo CappellinRiccardo Cappellin è stato tra i fondatori nel 1980 e il primo segretario dell’Associazione Italiana di Scienze Regionali. Dal 2010 al 2013 è stato Presidente dell’AISRe. E’ il coordinatore del Gruppo di Discussione “Crescita, Investimenti e Territorio”, creato nell’ottobre 2013. Ha studiato all’University of Pennsylvania con Walter Isard, fondatore della Regional Science Association, e con Lawrence R. Klein, premio Nobel dell’Economia. E’ stato professore associato all’Università L. Bocconi, professore straordinario all’Università della Calabria ed è professore ordinario all’Università di Roma Tor Vergata. Insegna Economia dell’Innovazione e Economia Regionale e nelle sue pubblicazioni recenti (https://uniroma2.academia.edu/RiccardoCappellin) si focalizza sul ruolo della conoscenza nelle attività industriali e dei servizi nelle città e sul modello della governance nei processi di decisione collettiva.