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Cosa raccontano i dati su AI e realtà aziendali italiane

Negli ultimi mesi si è parlato molto di intelligenza artificiale nelle imprese italiane e di quanto queste siano, di fatto, molto interessate a investire ma ancora parzialmente in grado di usare i dati seguendo una strategia sistemica, malgrado l’uso quasi quotidiano da parte dei dipendenti.

Altre conferme arrivano dalla nuova ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics del PoliMI, secondo la quale il mercato del Data Management & Analytics continua a correre e nel 2025 supererà i 4 miliardi di euro.

La spesa di aziende e Pubblica Amministrazione per tecnologie e servizi legati alla gestione e all’analisi dei dati salirà del 20% rispetto all’anno precedente; un ritmo che conferma quanto la capacità di “leggere” i dati sia ormai percepita come leva concreta di competitività.

La componente più in movimento è quella delle soluzioni che permettono alle organizzazioni di interpretare e utilizzare meglio le proprie informazioni, con una crescita del 27%.

Qui rientrano progetti che integrano forme avanzate di intelligenza artificiale e applicazioni di Generative AI pronte all’uso, utili per attività come lo sviluppo di software o le analisi quotidiane. Questa sola categoria vale intorno al 5% del settore e ha ampliato la platea delle persone che possono sfruttare l’IA senza bisogno di competenze specialistiche.

La Pubblica Amministrazione rappresenta il 6% del mercato e cresce del 17%. Tra le imprese private, il passo più rapido è nei servizi, che registrano un +27%; seguono banche (+22%), assicurazioni e manifattura (entrambe al +21%). Grande distribuzione, telecomunicazioni e media, e utility avanzano del 16%.

Quanto alla destinazione del budget, circa un quinto della spesa complessiva è riservato alle infrastrutture tecnologiche; il resto si divide tra soluzioni di analisi e attività di gestione dei dati, con queste ultime in aumento del 13%.

Nelle realtà con oltre mille addetti la crescita prevista si ferma al 12%, mentre nelle imprese “grandi ma non grandissime” tocca il 27%, con priorità differenti: le prime investono soprattutto in potenza di calcolo e GenAI, le seconde puntano a rendere i dati più accessibili e sfruttabili nelle attività quotidiane.

Strategie e governance, il nodo non è la tecnologia ma la direzione

L’interesse e gli investimenti crescono, ma la capacità di usare i dati in modo davvero strategico procede con più cautela. La ricerca mostra che nelle grandi aziende italiane la maturità non è omogenea.

Meno di quattro realtà su dieci hanno definito una strategia chiara per valorizzare il proprio patrimonio informativo, con obiettivi, ruoli e responsabilità ben fissati. Solo un’azienda su cinque ha inserito in organigramma una figura di vertice dedicata, come un Chief Data Officer o un Chief Data & Analytics Officer, incaricato di guidare il percorso e di raccordare funzioni e processi.

Nel frattempo il tema dell’integrazione tra dati e intelligenza artificiale è diventato centrale. Anche l’organizzazione interna richiede un ripensamento. In molte aziende gli strumenti di visualizzazione e analisi sono diventati più semplici e diffusi, spingendo funzioni diverse a usare direttamente i dati. Ciò ha ampliato la platea degli utenti, ma ha reso più importante stabilire criteri comuni, processi condivisi e un linguaggio univoco.

Nelle PMI cresce l’analisi dei dati, ma resta un approccio “a isole”

Quando si guarda oltre le grandi imprese e si entra nel mondo delle piccole e medie aziende italiane, la fotografia cambia. La ricerca del Politecnico di Milano segnala un evidente passo avanti: quasi tutte le PMI effettuano ormai qualche attività di analisi dei dati e la quota è in aumento rispetto all’anno precedente. Il salto, però, è più quantitativo che qualitativo. In molti casi l’analisi nasce da esigenze contingenti, si appoggia a fogli elettronici e rimane circoscritta ai singoli reparti; mancano figure interne dedicate e investimenti strutturali.

L’utilizzo dei dati è più maturo nelle medie imprese, che iniziano a introdurre profili almeno parzialmente dedicati e a integrare le fonti informative con strumenti più evoluti. Qui l’analisi viene svolta con maggiore regolarità e spesso si concentra sul controllo di gestione, dalla previsione dei flussi di cassa alla pianificazione del budget. Nelle realtà più piccole, invece, l’attività rimane spesso manuale e slegata da una visione comune. È un approccio “a isole”, utile per risolvere problemi puntuali, ma che limita l’impatto complessivo dei dati sulle decisioni aziendali.

Le PMI si trovano spesso senza un quadro chiaro di priorità e faticano a orientarsi tra le molte soluzioni disponibili. In questo senso, strumenti pensati per confrontare in modo trasparente offerte e servizi risultano familiari: un esempio è SOSTariffe.it, indispensabile anche in ambito business per valutare alternative in settori come la connessione Internet per far funzionare al meglio i sistemi. Per trasformare le iniziative sporadiche in un vero patrimonio informativo servirà continuità, un minimo di specializzazione interna e la capacità di collegare gli sforzi dei singoli uffici in una visione comune.

Dati non strutturati e nuovi spazi di condivisione

Guardando ai prossimi anni, lo studio evidenzia un cambio di passo nella qualità dei dati utilizzati dalle imprese. Finora il lavoro si è concentrato soprattutto su numeri e tabelle; ora cominciano a prendere piede analisi più avanzate basate su contenuti non strutturati, dai documenti ai testi generati in azienda. Si tratta di informazioni che richiedono strumenti più evoluti per essere interpretate, ma che possono rivelare connessioni e trend difficili da cogliere con le sole metriche tradizionali.

Sempre più aziende stanno cercando di misurare il valore delle attività legate ai dati, con metodologie che consentono di capire quali progetti generano un impatto reale su efficienza, servizio al cliente o nuovi ricavi. Quasi la metà delle grandi imprese ha già iniziato questo percorso, un passaggio importante perché aiuta a selezionare le iniziative da portare avanti e quelle da riconsiderare, evitando dispersioni.

Accanto a ciò, emerge un tassello ancora poco esplorato: la condivisione dei dati oltre i confini aziendali. Si parla di “Data Spaces”, ambienti in cui più organizzazioni possono mettere a fattor comune informazioni in modo sicuro e regolato per creare servizi o prodotti nuovi. Per ora è un terreno quasi inesplorato; la grande maggioranza delle imprese italiane non ne conosce il funzionamento o non ne percepisce una chiara opportunità. Potrebbe però diventare un elemento decisivo per settori in cui la collaborazione porta benefici collettivi, dalla mobilità alla salute.

Sul fronte dei consumatori, la consapevolezza sui meccanismi dell’intelligenza artificiale è ancora limitata e rappresenta un possibile freno allo sviluppo di servizi basati sui dati. Serve più trasparenza e informazione perché gli utenti possano capire in che modo i loro dati vengono utilizzati e quali vantaggi ottengono in cambio; senza questo equilibrio, la fiducia rischia di rimanere un anello debole nella catena dell’innovazione.

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