Un precedente inquietante nella giustizia penale internazionale
Il diritto internazionale penale, che ambisce a garantire responsabilità individuale per crimini gravi come genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, si trova oggi ad affrontare un attacco senza precedenti alla sua legittimità e operatività. Secondo quanto riportato dall’Associated Press, al centro di questa crisi vi è Karim Khan, procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), che si è trovato bersaglio diretto delle sanzioni imposte dall’amministrazione Trump a seguito dell’emissione di mandati d’arresto nei confronti di alti rappresentanti dello Stato di Israele.
Sanzioni mirate e impatto sull’indipendenza della Corte
Le sanzioni statunitensi, entrate in vigore nel febbraio scorso, hanno avuto conseguenze drastiche. Karim Khan ha perso l’accesso al proprio indirizzo email ufficiale e i suoi conti bancari sono stati congelati.
Il personale americano impiegato presso la sede dell’Aia è stato messo in guardia: qualsiasi ingresso sul territorio degli Stati Uniti potrebbe portare all’arresto. A ciò si aggiunge l’effetto dissuasivo sulle organizzazioni non governative che tradizionalmente collaboravano con la Corte: alcune hanno cessato ogni cooperazione, altre si rifiutano persino di rispondere alle comunicazioni ufficiali dell’ufficio del procuratore.
Queste misure configurano un attacco sistemico all’indipendenza della Corte e rappresentano una forma di intimidazione senza precedenti, soprattutto perché provengono da un attore statale democratico e da sempre sostenitore del diritto internazionale.
Nei giorni scorsi, indagato per presunte molestie sessuali da novembre, Khan si è temporaneamente dimesso.
“Il procuratore ha annunciato la sua decisione di prendersi un congedo in attesa della conclusione del procedimento” condotto dagli inquirenti delle Nazioni Unite, ha affermato l’ufficio del procuratore in una nota, in seguito a diverse notizie di stampa riguardanti accuse di comportamenti sessuali inappropriati nei suoi confronti.
Il contesto giuridico: i mandati d’arresto contro Netanyahu e Gallant
Le sanzioni arrivano come reazione diretta ai mandati di arresto emessi nel novembre scorso contro il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant.
La camera preliminare della CPI ha ritenuto vi fossero “fondati motivi” per credere che i due leader possano aver commesso crimini di guerra nel contesto dell’offensiva israeliana contro Hamas a Gaza.
In particolare, le accuse riguardano restrizioni all’ingresso di aiuti umanitari e attacchi deliberati contro la popolazione civile – violazioni gravi del diritto internazionale umanitario, che rientrano pienamente nella giurisdizione della Corte.
Israele ha respinto con forza le accuse, definendole “infondate” e “politicamente motivate”, una linea sostenuta pienamente dagli Stati Uniti.
Le implicazioni per la giustizia internazionale
Secondo Liz Evenson, direttrice per la giustizia internazionale di Human Rights Watch, le sanzioni “impediscono alle vittime di ottenere giustizia”.
In effetti, il messaggio politico è chiaro: la Corte Penale Internazionale può essere oggetto di ritorsione quando i suoi procedimenti coinvolgono Stati potenti o alleati strategici.
Ciò mina l’universalità e l’imparzialità della giustizia penale internazionale, rischiando di rafforzare la percezione che la CPI applichi “due pesi e due misure”.
Conclusione: un bivio per la Corte e la comunità internazionale
Il caso Khan non è solo una questione di sanzioni individuali: è un banco di prova per l’autonomia e la credibilità della Corte Penale Internazionale.
Se la comunità internazionale non reagisce con fermezza, si rischia di compromettere decenni di avanzamenti nella costruzione di un ordine giuridico globale fondato sul principio che nessuno è al di sopra della legge.
Per i giuristi e gli operatori del diritto internazionale, la posta in gioco è altissima: difendere la CPI oggi significa proteggere le fondamenta stesse della giustizia globale.