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Copia privata (che non è l’equo compenso), strumento di lotta alla pirateria o balzello anacronistico?

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In queste settimane, si è riacceso – per ora timidamente – il dibattito sulla “copia privata”, ovvero su quel meccanismo normativo in base al quale chiunque acquisti un qualunque dispositivo, fisso o mobile, dotato di spazio di memoria (come smartphone, computer, tablet, schede di memoria, chiavette usb, hard disk, computer) deve versare un compenso alla Società Italiana Autori Editori (Siae) come forma di copyright d’autore, e che questa “gira” a tutti coloro che esercitino un diritto d’autore.

È una questione molto complessa ed al contempo molto delicata, una vera cartina di tornasole dello stato di salute di un sistema culturale, perché mette in campo diversi attori ed interessi in conflitto tra loro: i produttori e venditori di hardware, da un lato; gli autori e gli editori, dall’altro; e, in mezzo, il consumatore (o fruitore o finanche cittadino che dir si voglia).

Questo obbligo di legge dovrebbe rientrare nel prezzo del dispositivo, e dovrebbe quindi essere a carico dei produttori, ma, come spesso accade, l’incremento del prelievo fiscale – anche nel caso di “compensi obbligati” – determina una sorta di traslazione d’imposta, ed il produttore finisce per “scaricare” l’imposta direttamente sul consumatore (ed il prezzo aumenta…).

Il provvedimento viene interpretato come strumento di lotta alla pirateria e come meccanismo per compensare l’asimmetria che si è venuta a determinare tra autori/editori e imprese dell’hardware, nell’economia digitale, il cosiddetto “value gap”.

Secondo gli avversari del meccanismo, si tratterebbe però di un balzello ingiustificato, superato dall’evoluzione tecnologica, che determina soltanto irrigidimenti del mercato e che frena l’innovazione. Alcuni, in particolare, ritengono che sia assurdo imporre questa tassa agli “smartwatch”, prodotto che verrebbe… “vessato” dalle nuove norme.

In effetti, ormai qualsiasi merce può essere acquistata tranquillamente in altri Paesi europei, ed il commercio elettronico consente al consumatore di cercare “the best price”, al di là delle normative dei singoli Stati. L’acquisizione di contenuti creativi può, peraltro, ormai avvenire anche senza utilizzare supporti fisici di memoria (in senso stretto), avvalendosi per esempio di servizi “in cloud”, oppure acquisendoli in modalità “streaming”…

Le industrie creative e culturali, le più colpite dalla “disruption”

Ci sono varie ragioni a favore di coloro che contestano questa imposta, ma ci sono non meno ragioni a favore di coloro che ne sono invece fautori: senza dubbio, le industrie creative e culturali sono tra i soggetti più colpiti dalla “disruption”, e sono state prodotte varie ricerche che evidenziano come i lavoratori della cultura – ovvero “della conoscenza” – stanno vivendo (anche in Italia) processi di continuo depauperamento.

Gli artisti, i creativi, gli intellettuali sono sempre più poveri (ci riferiamo ovviamente alla “media”, non ai picchi positivi di una schiera di privilegiati), in Italia come in Europa e nel resto del mondo.

L’annunciata “rivoluzione digitale” ha determinato una ricchezza di accesso ai prodotti della creatività per l’umanità tutta, ma non ha certo rafforzato il tessuto economico della creatività. Per ogni… “youtuber” di successo, ci sono milioni di… neo-proletari della cultura.

La “copia privata” è quindi un tentativo di correzione di una sorta di distorsione del mercato, e l’intervento dello Stato ha una sua precisa giustificazione (ovviamente gli integralisti iper-liberisti contestano questa tesi).

Nella normativa italiana, con “copia privata” si intende convenzionalmente il compenso che si applica a supporti e apparecchi idonei alla registrazione audio/video, in cambio della possibilità di effettuare copie a uso personale di opere protette dal diritto d’autore.

In altri termini, la “copia privata” è il compenso che si applica sui supporti “vergini”, apparecchi di registrazione e memorie di massa, cellulari inclusi, in cambio della possibilità di effettuare registrazioni, esclusivamente a uso privato, di opere protette dal diritto d’autore: per questo utilizzo, l’ordinamento italiano riconosce agli aventi diritto un “equo compenso”. La Società Italiana Autori Editori riscuote per legge questo compenso, e lo ripartisce ad autori, produttori, artisti e interpreti.

I fautori della liberalizzazione totale del mercato dei diritti d’autore contestano anche che la raccolta e la ripartizione dell’equo compenso per copia privata sia attribuita alla Siae in via esclusiva, ma questo è un discorso che, qui ed ora, ci porterebbe troppo lontano.

“Copia privata” ed “equo compenso”: due facce della stessa medaglia

La fonte principale della norma va individuata nel concetto di “diritto di riproduzione” dell’opera, previsto all’articolo 13 della Legge sul Diritto d’Autore (legge n. 633 del 1941 e successive modifiche, in materia di “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”), e più nello specifico nella definizione di “copia privata” e di “equo compenso”, previsti rispettivamente all’Articolo 71 sexies e all’Art. 71 septies della legge.

Mentre il “diritto di riproduzione” rientra fra i diritti esclusivi dell’autore dell’opera, il “diritto di copia privata” e l’“equo compenso” rientrano fra le eccezioni e limitazioni dei diritti esclusivi, nella casistica dedicata, nella norma, alla “riproduzione per uso personale”.

I due concetti (“copia privata” e “equo compenso”) sono intimamente intrecciati tra loro:

Il compenso per “copia privata” è dovuto da chi fabbrica o importa nel territorio dello Stato, allo scopo di trarne profitto, gli apparecchi di registrazione e i supporti vergini.

Periodicamente, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo è chiamato a determinare, attraverso un decreto ministeriale, i cosiddetti “livelli tariffari”, ovvero l’ammontare dell’imposta.

L’ultimo decreto in materia è datato 20 giugno 2014, e reca la firma dell’allora (ed ancora oggi, in altro Governo) titolare del dicastero, Dario Franceschini. Fu oggetto di scontri aggressivi tra contrapposte fazioni ovvero lobby: da una parte autori ed editori, dall’altra i produttori di hardware. Memorabili alcuni scontri infuocati tra Apple e Siae, in particolare.

Nell’arco di un decennio, la raccolta Siae da “copia privata” è raddoppiata, passando dai 62 milioni dell’anno 2008 ai 125 milioni del 2018: il salto significativo è stato registrato nel 2015, anno primo di attuazione del nuovo decreto di ri-tariffazione (la raccolta era stata di 88 milioni nel 2014 ed è infatti salita a 130 milioni nel 2015).

Il compenso per gli apparecchi e i supporti di registrazione video è corrisposto alla Siae, la quale provvede a ripartirlo (al netto delle spese), anche tramite le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, per il 30 per cento agli autori, per il restante 70 per cento, in parti uguali, tra i produttori originari di opere audiovisive, i produttori di videogrammi e gli artisti interpreti o esecutori. La quota spettante agli artisti interpreti o esecutori è destinata per il 50 per cento alle attività e finalità di cui all’articolo 7, comma 2, della Legge 5 febbraio 1992, n. 93, ovvero per attività di studio e di ricerca nonché per fini di promozione, di formazione e di sostegno professionale degli artisti interpreti o esecutori.

Il nuovo decreto ministeriale di tariffazione: audizione Mibact il 19 marzo 2020

Da più parti, si lamenta, giustamente, un qual certo complessivo deficit di trasparenza nei processi di ripartizione della “copia privata”, e sarebbe auspicabile che il Ministero intervenisse per imporre processi di rendicontazione accurati ed accessibili a tutta la comunità culturale nazionale. Si sente l’esigenza di una sorta di “bilancio sociale” di tutta la “filiera” della “copia privata”.

Il 12 febbraio 2020, il Capo di Gabinetto del Mibact, l’avvocato Lorenzo Casini, ha invitato una ampia pluralità di soggetti ad una audizione, che dovrà registrare l’opinione delle varie parti rispetto ad uno “schema di decreto ministeriale” che aggiorna le tariffe del Decreto Ministeriale del 20 giugno 2014 (così come modificato dal Dm del 18 giugno 2019, che ha previsto una serie di esenzioni al versamento della “copia privata”). La riunione era stata convocata per il 20 febbraio, ma è stata rimandata in modalità “last minute” al 19 marzo.

L’elenco degli audiendi è veramente lungo assai (da notare che Confindustria viene ascolta addirittura in sue 4 differenti… anime): Agcom, Siae (che rappresenta anche associazioni come i 100autori, Anac, Writer Guild Italia, ed altre di altri settori), Lea (alias Soundreef), Afi, Artisti 7607, Audiocoop, Evolution srl, Federintermecdia, Getsound srl, Itsright srl, Videorights srl, Nuovo Imaie, Rasi, Scf, Anica, Apa, Confindustria Cultura Italia, Confindustria Digitale, Confindustria Radio Tv, Confindustria Federvarie, Rna, Cgil-Slc, Fimi, Pmi, Univideo, Asmi, Anitec-Assinform, Asstel, Aires, Andec, Confcommercio, Aesvi, Adissmo, Idda, Sky Italia, Codacons, Altroconsumo, Federconsumatori, Assoutenti

In sostanza, sono state invitate tutte (o quasi) le associazioni “di categoria maggiormente rappresentative”, istituzioni ed enti, imprese attive nel business del diritto d’autore, sindacati ed associazioni di consumatori…

Sono quindi state chiamate a corte molte voci, e ci si augura che il dibattito sia pubblico (basta chiedere a Radio Radicale), in base a quella richiamata trasparenza che riteniamo debba caratterizzare il “decision making” in materie così delicate e strategiche per lo sviluppo socio-culturale (ed economico) del Paese.

Sul fronte Ministeriale, l’interlocutore principale è rappresentato da una specifica direzione, la Direzione Generale Biblioteche e Diritto d’Autore, guidata da Paola Passarelli, che si avvale della collaborazione del “Comitato Consultivo Permanente per il Diritto d’Autore” (Ccpda), presieduto dall’avvocato Marco Ricolfi.

Esiste anche un “Tavolo di Lavoro Tecnico” per il monitoraggio delle dinamiche degli apparecchi e dei supporti interessati dal prelievo da “copia privata”, istituito con un Decreto del Presidente della Repubblica dell’8 gennaio 2015, composto da varie istituzioni, associazioni di categoria, enti interessati (la composizione di questo Tavolo viene considerata da vari osservatori non particolarmente aperta e rappresentativa, non essendo state coinvolte alcune categorie). Nell’economia di questo lavoro, è stata prodotta una ricerca, che il Mibact ha affidato all’Istat che dimostrerebbe – secondo il Ministero – “che i prezzi non hanno subito variazioni attribuibili all’equo compenso”. La ricerca è datata aprile 2018, fotografa una situazione maggio-luglio 2017, e si sente quindi l’esigenza, a distanza di oltre due anni, di una rinnovata versione aggiornata (la tecnologia corre…), e magari di una estensione del set di quesiti posti al campione.

Deficit di trasparenza dell’intera “filiera” della “copia privata”

Molti dei soggetti che sono stati invitati all’audizione richiedono che tutta la materia “copia privata” sia oggetto di studi più approfonditi e di ricerche più accurate (ed aggiornate), non soltanto sulle dinamiche di “pricing”, ma sul senso stesso del balzello, e finanche sulla sua funzione nell’economia complessiva del sistema culturale nazionale.

L’esigenza di indagini accurate è certamente condivisibile, così come l’esigenza di una massima trasparenza intorno a tutta la complessa materia. Per esempio, non risulta che i verbali del Comitato Consultivo permanente per il Diritto d’Autore siano pubblici, e ci si domanda le ragioni di questa “riservatezza”, trattandosi di un organismo di studio.

Peraltro, in effetti, nelle premesse della bozza di decreto ministeriale, vengono richiamati “ulteriori studi e indagini confluiti nell’istruttoria e volti ad approfondire la normativa che regola la materia del compenso sia in Italia che nei principali Paesi dell’Ue, sui mercati interessati dalla copia privata, sulle tariffe e sulle attitudini dei consumatori alla copia privata”, ma di questa messe di dati non si ha ad oggi alcuna pubblica evidenza. Perché tenerli chiusi nelle “segrete” stanze ministeriali?! La loro disseminazione nella comunità culturale nazionale appare quanto mai opportuna.

Peraltro, va anche ricordato che, al fine di favorire la creatività dei giovani autori, la Legge di Stabilità 2016 ha disposto (all’art. 1, comma 335), che il 10 per cento di tutti i compensi incassati per la “copia privata”, sia destinato dalla Siae, sulla base di apposito “atto di indirizzo” annuale del Mibact, ad attività di promozione culturale nazionale e internazionale dei giovani autori.

Alcuni contestano che si sia venuto a creare un “fondo parallelo”, rispetto a quelli previsti dalla normativa pre-esistente, ovvero lo storico controverso Fondo Unico per lo Spettacolo (creato nel 1985, giustappunto come fondo che doveva essere “unico”) ed il recente Fondo per lo Sviluppo del Cinema e l’Audiovisivo (creato nel 2016 grazie alla legge cinema cosiddetta “Franceschini), ma va osservato che il fondo Mibact da copia privata ha consentito l’accesso ai sostegni dello Stato ad una “platea” veramente ampia di soggetti (soprattutto giovani “under 35”), che spesso si scontrano con le “barriere all’entrata” del Fus… Basti osservare che, nell’arco di tre anni, sono stati coinvolti da Siae ben 8mila giovani artisti e creativi, e, per quanto riguarda l’edizione 2018 (la prima con un bando dedicato esclusivamente alle scuole primarie e secondarie), quasi 27.000 studenti.

Siae ha assegnato risorse per 28 milioni di euro a 927 progetti vincitori (a fronte di 5.250 progetti presentati).

Va anche dato atto che la Siae ha accolto le richieste di trasparenza nella gestione di questo “fondo” del 10 per cento dei flussi da “copia privata”: nel maggio del 2019, ha affidato all’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult) una specifica ricerca di valutazione di impatto, i cui risultati sono stati resi di pubblico dominio il 28 gennaio 2020, con la pubblicazione integrale dello studio sul sito web della Società… Ma questa è “un’altra storia”, e soltanto una parte del “tutto”: ed è necessario fare maggiore trasparenza giustappunto sul tutto, ovvero sul senso della “copia privata” nell’economia culturale del nostro Paese. Si deve cercare di alzare lo sguardo dal “particolare”, in una visione prospettiva di politica culturale intesa nella sua unità strategica e (magari) organicità di interventi.

Conclusivamente: la “copia privata” – tema emblematico della politica culturale nazionale – merita un dossier documentativo più approfondito di quanto non sia stato finora messo a disposizione della comunità.

Clicca qui, per leggere lo schema di Decreto Ministeriale per l’aggiornamento delle tariffe della “copia privata”, inviato il 12 febbraio 2020 ai soggetti invitati alle audizioni in sede Mibact dal Capo di Gabinetto Lorenzo Casini.

Clicca qui, per leggere l’“Atto di indirizzo” Mibact a Siae dell’11 febbraio 2020, a firma del Ministro Dario Franceschini, per la “promozione culturale nazionale e internazionale dei giovani autori”, ovvero il 10 % dei flussi da “copia privata”.

Clicca qui, per leggere l’“Indagine Statistica ‘Musica e video nelle abitudini dei cittadini’”, realizzata da Istat per Mibact, “Report di sintesi sui principali risultati. Anno 2017”, aprile 2018.

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