È in corso a Belem, in Brasile, la XXX Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, più conosciuta con l’acronimo di COP30.
Le principali sfide del summit riguardano la necessità di colmare il divario tra gli impegni e le azioni concrete sul clima, accelerando la decarbonizzazione globale e la transizione energetica, aumentando i finanziamenti climatici, e rafforzando le politiche di adattamento. Temi centrali anche per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, che abbiamo approfondito con Enrico Giovannini, co-fondatore e direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), professore ordinario di Statistica economica e Sviluppo sostenibile all’Università di Roma “Tor Vergata”, già ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili del Governo Draghi (febbraio 2021 – ottobre 2022) e del Lavoro e delle Politiche sociali del Governo Letta (aprile 2013 – febbraio 2014).
COP30, che partita sta giocando l’Unione europea?
Key4Biz. Riguardo alla COP30 ultimamente ha scritto: “non è una partita da osservare stando a casa, ma una partita da giocare”. Secondo lei, che partita sta giocando l’Unione europea?
Enrico Giovannini. “Se prendiamo in considerazione i documenti ufficiali approvati dal Consiglio e dalla Commissione europea, sembra una partita analoga a quella che si è già giocata nel passato, in cui l’Europa gioca un ruolo di leadership. Basti pensare a quando, nel 2019, con la nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen, si lanciò il Green Deal, che è un insieme complesso di iniziative per uno sviluppo sostenibile da tutti i punti di vista, con l’obiettivo di diventare neutrali dal punto di vista carbonico entro il 2050, il che non vuol dire che non emetteremo più gas climalteranti, ma che li compenseremo. Quando questo obiettivo fu annunciato, in molti sorrisero, ma successivamente il Giappone, la Corea del Sud, il Sudafrica e altri paesi hanno dichiarato obiettivi analoghi. La Cina, invece, ha preferito posticipare, annunciando il target entro i 2060, l’India ancora dopo, entro il 2070. Ma complessivamente, grazie alla leadership europea, il mondo intero o quasi si è mosso nella direzione della decarbonizzazione, su cui l’Europa ha fatto molti passi avanti, tant’è vero che, secondo le previsioni, entro il 2030 taglieremo le emissioni rispetto al 1990 del 55%, raggiungendo l’obiettivo che ci eravamo prefissati”.
“Nel secondo tempo della partita, però, il vento è cambiato. Ora, una parte dei Paesi dell’Unione europea dice che gli obiettivi fissati al 2040 sono troppo ambiziosi. E anche per il 2050 si è detto: vedremo. In previsione della COP30, i ministri dell’Ambiente dei Paesi dell’Unione, quindi i Governi, hanno detto, va bene, tagliamo le emissioni del 90%, però con un 5% di flessibilità. Ma soprattutto hanno detto che questi obiettivi verranno rivisti ogni due anni in funzione dell’andamento della tecnologia, dei mercati e altre variabili chiave. E questo è un passo indietro enorme, perché lascia libero chiunque, tra due anni, quattro anni, sei anni e oltre, di fare retromarcia sugli impregni presi. Tant’è vero che le imprese stesse stanno dicendo: così introducete un elemento di forte incertezza.
Nel frattempo – ha proseguito Giovannini – altre parti del mondo hanno deciso di accelerare, come Cina, India e Africa, mentre gli Stati Uniti, come sappiamo, hanno cambiato strada. Quindi, se dovessimo giudicare l’Europa dagli impegni assunti, non prenderemmo certo dieci, forse sette e mezzo, e soprattutto non è chiaro se la delegazione europea giocherà alla COP di Belém per vincere o per pareggiare. Al momento non sappiamo nulla, perché le vere negoziazioni sono partite questa settimana”.
Key4Biz. La COP30 mira ad accelerare l’azione climatica, in particolare la decarbonizzazione, attraverso la finanza climatica e il sostegno ai Paesi più vulnerabili. Che effetti avranno le decisioni prese in questi giorni in Brasile sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030?
Enrico Giovannini. Un grande conferenza internazionale si è svolta nello scorso luglio a Siviglia sui temi della finanza sostenibile. Gli Stati Uniti non hanno partecipato, ma ciononostante, sono state raggiunte conclusioni interessanti. Ma quando queste ultime sono andate all’Assemblea Generale dell’ONU, chi ha votato contro? Gli Stati Uniti, ovviamente, ma anche Israele e Argentina, guarda caso due Paesi strettamente legati a Washington.
Come prima cosa, bisognerà quindi capire, e questo ce lo diranno i negoziatori quando saranno arrivati alla fine dei lavori, in che modo gli Stati Uniti avranno operato, o disinteressandosi del tema o spingendo, da fuori, i Paesi storicamente alleati a bloccare le conclusioni più ambiziose e poter dire che la COP30 è ormai morta e che quindi è inutile andare avanti per questa strada. Gli esperti della materia sanno bene che gli accordi, non solo della COP30, ma anche di altre conferenze internazionali, risentono molto dei blocchi tra Paesi alleati, non solo dell’azione dei singoli Stati.
Da questo punto di vista, sarà interessante vedere cosa farà la Cina, anche dietro le quinte, perché Pechino, su una serie di tematiche, tra cui quella climatica, è ormai alla guida del cosiddetto Sud globale, non solo dei paesi BRICS (ricordiamoci che alle Nazioni Unite c’è storicamente il “gruppo dei 77, più la Cina”, cioè una coalizione in grado di bloccare le decisioni dell’Assemblea Generale). Dobbiamo ormai renderci conto che questa, come molte altre, è una partita tra colossi dall’esito incerto.
Quello che però è evidente è che molti guarderanno al ruolo dell’Unione europea. Il fatto che Ursula von der Leyen sia voluta andare a Belem, presentando l’accordo sul 90% di tagli delle emissioni climalteranti, è un segnale positivo, ma poi bisognerà vedere quanto l’Unione europea vorrà far valere il suo peso complessivo nei negoziati. L’Ungheria, che recentemente ha cercato una sponda con gli Stati Uniti su vari temi, come si comporterà? Gli altri 9 Paesi, guidati da Polonia e sempre Ungheria, che hanno comunque votato contro il taglio al 90% nel Consiglio europeo, come si comporteranno? L’Unione europea farà rispettare il difficile compromesso raggiunto, o ogni paese andrà per conto suo? Questo è un aspetto politico molto importante e l’esito delle prossime decisioni determinerà come l’Europa sarà vista da fuori. Ovviamente, se 9 Paesi su 27 giocano una partita diversa da quella coerente con la posizione del Consiglio, la credibilità dell’Unione subirà un duro colpo”.
La digitalizzazione alla base dello sviluppo sostenibile
Key4Biz. La Conferenza sul clima in Brasile ha visto il lancio di iniziative come il Green Digital Action Hub, orientate a integrare innovazione tecnologica e sostenibilità. Come valuta l’impatto delle tecnologie verdi nel promuovere uno sviluppo equo e inclusivo?
Enrico Giovannini. “Come scrivevo nel mio libro del 2018, ‘L’utopia sostenibile’, per raggiungere entro il 2030 gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’ONU, servono tre elementi chiave: le tecnologie, la governance dei processi e il cambiamento delle scelte degli individui. Se manca anche uno di questi tre elementi non c’è modo di seguire la strada dello sviluppo sostenibile. In quel libro parlavo soprattutto di tecnologie digitali e di tecnologie per l’energia, ma anche di economia circolare, che a sua volta richiede l’uso di tecnologie digitali, compresi i sensori per recuperare gli scarti e i rifiuti. Parlavo, quindi, di economia ‘digi-circolare’, proprio perché questi due elementi sono inscindibili.
Da allora, grazie alle analisi dell’ISTAT e di altri istituti di ricerca, sappiamo che le imprese italiane che hanno investito simultaneamente su digitale e sostenibilità hanno ottenuto ottimi risultati in termini di sostenibilità, ma anche di profitti, di competitività e di produttività. D’altra parte, pensando alle ultime soluzioni per il risparmio energetico, ma anche per l’agricoltura di precisione e per l’economia circolare, tutte richiedono una forte componente di digitalizzazione”.
L’AI si sta diffondendo rapidamente, in un mondo in larga parte ancora analogico
Key4Biz. Anche l’intelligenza artificiale che è stata chiamata in causa alla COP30. Il problema è che questa tecnologia ha un forte impatto in termini di consumi energetici ed idrici e di emissioni nocive. Come si inserisce questo fattore così critico nella COP30 e nella stessa Agenda 2030?
Enrico Giovannini. “Anche qui c’è preoccupazione per la velocità con cui l’intelligenza artificiale si sta diffondendo, in un mondo che in gran parte è ancora analogico. Ferma restando la preoccupazione per la privacy e per la concentrazione di poteri crescenti in poche mani, ci sono varie considerazioni da fare. Come per tutte le altre tecnologie, la velocità con cui nuovi sistemi di raffreddamento, di efficientamento energetico, etc. si stanno applicando anche ai datacenter per l’intelligenza artificiale è straordinaria. I primi datacenter non erano progettati per essere efficienti sul piano energetico.
Oggi le cose sono molto cambiate e col passare del tempo avremo un grande efficientamento energetico di queste infrastrutture, ma non c’è dubbio che, nel frattempo, lo sviluppo dell’AI provoca un aumento della domanda di energia a livello globale. C’è da chiedersi, è un aumento sostitutivo o integrativo di altre componenti della domanda?
In tutte le curve di innovazione tecnologica si dice che si segue un andamento in cui si parte lentamente, poi c’è un’accelerazione e quindi si giunge ad una fase più stabile. Per l’intelligenza artificiale non è così: siamo già nella fase di straordinaria accelerazione. Molti pensano che anche qui, come è stato nel passato per altre tecnologie digitali, siamo di fronte ad un hype, ad una bolla che forse è destinata a scoppiare, altri ritengono che l’AI pervaderà tutte le dimensioni della nostra società e dell’economia. Quindi l’incertezza è altissima. Ad esempio, se i sistemi di intelligenza artificiale consentiranno di abbattere drasticamente i consumi ottimizzando la gestione della rete elettrica, quale sarà il risultato finale? lo scopriremo solo vivendo, direbbe Baglioni. Così come l’intelligenza artificiale applicata alla gestione della mobilità di una città, che effetti avrà? Di nuovo, lo scopriremo col tempo.
Rimane di fondamentale importanza, però, che l’investimento per far girare i data center non trascuri l’elemento energetico. Va rifiutata la classica logica dei due tempi: intanto lo faccio con energie sporche, poi mi sposterò su energie pulite. No, oggi la tecnologia consente di impiegare sistemi basati su fonti energetiche rinnovabili a prezzi più bassi rispetto a quelli basati sulle energie fossili. Inoltre, gli accumulatori stanno facendo passi avanti rapidissimi, quindi io mi auguro che anche su questo, come sugli altri fronti, le considerazioni ambientali vengano prese in seria considerazione fin dall’inizio e non solo dopo”.
Key4Biz. L’AI offre grandi opportunità e vantaggi, ma ci vuole però del tempo per raggiungere i risultati attesi…
Enrico Giovannini. “In Italia ci sono numerosi datacenter in preparazione. C’è da chiedersi, veramente serviranno tutti questi datacenter? Io non credo. Nei primi anni 2000, io ero il direttore di statistiche dell’OCSE e diffondemmo dati scioccanti sul fatto che all’epoca il commercio elettronico fosse solo lo 0,5% del totale dei consumi. Eppure, tutti parlavano di questo fenomeno come se fosse dominante.
Ovviamente, il fatto che se ne parlasse favorì un enorme investimento in questo settore, i cui frutti arrivarono però 10 anni dopo, quando le vendite online decollarono rapidamente. La caratteristica di questa nuova innovazione tecnologica è la sua pervasività e soprattutto l’impatto sui comportamenti delle imprese, degli individui e della società aumenta a velocità elevatissima”.
Tra COP30 e Agenda 2030, l’Italia da che parte va?
Key4Biz. Quale strada l’Italia deve prendere per dimostrare una maggiore coerenza tra le politiche nazionali e gli impegni internazionali presi a livello COP e dell’Agenda 2030?
Enrico Giovannini. “Dopo la spinta fortissima data dal PNRR alla transizione a fonti energetiche rinnovabili, non è chiaro cosa succederà da qui in avanti. Gli atti assunti dal governo, dal blocco del fotovoltaico a terra agricolo ai decreti che addirittura il TAR ha criticato perché davano troppo potere alle Regioni e dunque impedivano l’accelerazione dell’installazione delle rinnovabili, con il conseguente non rispetto degli impegni assunti a livello europeo, non stanno spingendo nella direzione e con la velocità necessarie.
D’altra parte, il PNIEC, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, è decisamente inadeguato; il Piano strutturale di bilancio, che disegna la finanza pubblica nei prossimi anni, non prevede uno stimolo all’installazione delle rinnovabili, nonostante i costi altissimi dell’energia.
Quando il PSB, il piano strutturale di bilancio è stato pubblicato a settembre del 2024, come ASVIS facemmo notare che mancavano fondi anche per attuare i regolamenti approvati a livello europeo, per esempio quello sulla Nature Restoration. Sulla Direttiva “Case Green” vedremo cosa sarà inserito nella nuova legge di bilancio, ma al momento c’è pochissimo. E potrei continuare. Quindi, purtroppo, non ci siamo e lo dicono tante imprese, i sindacati e le associazioni scientifiche e di ricerca. Insomma, dobbiamo cambiare marcia e velocità”.
