Letture

Consigli di lettura (o di ri-lettura) per l’estate. ‘Il Quinto Esilio’

di Diana Daneluz |

Tempo d’estate, tempo per letture e ri-letture, ma anche temp(i) di migrazioni. Un romanzo del 2006 di Boris Biancheri, concepito nel segno dell’esilio, rivela ancora oggi la sua straordinaria attualità.

“Avrei voluto scriverlo io”. Non c’è forse complimento più grande di questo, quando è reso da uno scrittore ad un altro a proposito del suo ultimo libro. È quello che ebbe modo di dire Predag Matvejevic – docente di letterature slave, autore di libri egli stesso, la sua propria segnata dall’esilio – a Boris Biancheri, a proposito di uno dei suoi libri, “Il Quinto Esilio”. L’”Ambasciatore”, e non solo, Boris Biancheri, purtroppo, non c’è più. Ci resta un suo libro prezioso, però, il cui titolo nasceva dalla coda del libro stesso, dal suo epilogo. Nel romanzo, Biancheri trasfigurava un caso di cui era stato personalmente testimone, quello del volontario esilio di parte di qualcuno che, non sapendo dove e soprattutto a cosa ritornare, sceglierà una vita “dentro” il carcere, piuttosto che “fuori”, tra i liberi, ma privo ormai di una sua propria identità. Finisce così, infatti, con l’inaudito riscatto del proprio passato dall’ultima nata Grabhau – poi “von Grabhau, una volta divenuti baroni – questo romanzo, incentrato sulle vicende di una aristocratica famiglia di esiliati. Destini, al plurale, perché ad essere raccontate sono le vicissitudini che nel lunghissimo arco di tempo coperto dalla storia (secoli) capitano ai diversi componenti della famiglia, dal capostipite Konrad al rassegnato Eduard. Un solo, però, il singolare “marchio” di tutte queste vite: quello dell’esilio. In movimento dalla Pomeriana al Baltico Orientale, dai paesaggi di Marienscvhloss nei pressi di Riga a quelli tedeschi e poi russi, dall’Italia agli Stati Unitii Romanzo storico, rivendica tuttavia – anche non forse già nell’incipit, ma più via via, mano a mano che ci si addentra nelle sue pagine – un modo tutto personale di re-interpretare quel genere. Intanto la Storia (europea e, poi, mondiale) qui non è cornice, talvolta noiosa, di un’invenzione, ma decisamente permea di sé, modella e muove le vicende personale dei personaggi. Essi la subiscono, invariabilmente tutti, alcuni doppiamente vinti perché non la comprendono neppure. Non così Sophie, che anziché rinnegare il proprio passato per ottenere la grazia e salvarsi dalla reclusione, vi si aggrapperà, per negare piuttosto l’esilio più profondo, quello da se stessi. ”Non sono in grado di cambiare il passato. Quello che appartiene al passato è immutabile; i miei pensieri di allora sono immutabili. Non posso né cambiarli, né distruggerli, né far finta di non averli avuti”. Altrimenti, sembra dire, “chi mai sono io?”. Ci sono, infatti, diversi tipi di esilio: quello di chi potrà un giorno tornare indietro, quello di chi lo spera e in quella nostalgia vive, o meglio sopravvive, quello di chi non rivedrà mai la propria patria e che farà finanche fatica a riconoscerla, alla fine, per sé. “Ero baltico, ora, in America, sono russo”, dice infatti di sé, ad un certo punto, Eduard. E c’è l’esilio come universale condizione di ogni uomo che si fermi a riflettere su se stesso, il quale non potrà che sentirsi spesse volte esiliato rispetto agli altri, o diverso rispetto a ciò che egli stesso avrebbe voluto fare di sé. E questo libro li contiene tutti. L’esilio vissuto “con foga”, da “furiosi”, e quello vissuto pacatamente, da “melanconici”. Un libro, questo, che deve molto non sola alla Storia, ma anche alla Geografia. Bistrattata nelle nostre scuole, poco presente nella narrativa italiana, è favorita qui dagli sterminati spazi lungo i quali si muovono, fisicamente, i protagonisti. Anche in questo caso l’Autore, così come per gli avvenimenti storici, vi allude più che descriverli. Nel patto che stringe con il suo lettore dà per scontato che questi conosca e gli uni e gli altri. Tuttavia, le parole stesse appartengono alla geografia: confini e strade, fiumi e rive, colline e campagne, terre e mare, nord e sud. Tra i soggetti delle vicende, sono invece le donne ad occupare saldamente la scena dei vari quadri di questa che è anche una complicata saga familiare, di una famiglia solo apparentemente patriarcale. E alle donne sono dedicate le pagine più toccanti, quelle riservate ai sogni, ora impossibili (l’amore per il fratello), ora infranti (la fuga a Parigi con un suo pavido amore) di Marie-Dagmar e della sua capacità di ricacciarli indietro quando si tratterà di rivendicare per sé e i suoi il meglio dal destino a loro riservato. E sempre alle donne rivolge le descrizioni più vivaci: la cameriera Cleo, che sola sembra con la sua immediatezza e il suo spontaneo calore scuotere dal torpore l’ancora giovane Eduard, una volta approdato a Roma, dopo aver combattuto tra i Bianchi contro i rivoluzionari russi ed aver provato tutta la disillusione possibile, i suoi ideali contro la brutale realtà della guerra. Sottilmente psicologiche altre descrizioni, come quelle della madre di Eduard ad esempio, nella dicotomia tra come è e come il figlio avrebbe voluto che fosse. Anche il malcelato imbarazzo sotteso al racconto dei loro incontri dice di più di quanto Biancheri fa dire esplicitamente ad Eduard. E quanto c’era, c’è, di autobiografico, in questo romanzo? La madre di Biancheri era russa, la nonna italiana, ma vissuta lungamente nei paesi baltici. La sua stessa vita, non da esiliato certo, ma è tuttavia trascorsa per grande parte lontano da casa, a ragione dei suoi incarichi diplomatici. Ricordi suoi o dei suoi familiari, sensazioni provate e situazioni vissute che fanno da sfondo credibile ad altre inventate di sana pianta, paesaggi ben noti ed altri solo immaginati. Tutto questo confluisce in un libro che si legge d’un fiato e il cui tema, lungi dall’essere scontato, eppure così tanto attuale, è grave, ma è tratteggiato sì con serietà – e a tratti con accenni di autentica commozione – ma anche con la leggerezza e l’ironia di un uomo che chi ha avuto la fortuna di incontrarlo gli riconosceva e non mancherà di ritrovare. Tra le righe.

Boris Biancheri – “Il quinto esilio” – “I Narratori”/Feltrinelli, pp. 208, maggio 2006.