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Confindustria-Intesa Sanpaolo: 150 miliardi alle imprese per innovazione e sostenibilità

Accordo sull’innovazione

Raggiunto un nuovo accordo tra Confindustria e la Banca Intesa Sanpaolo. Un percorso “congiunto” per l’innovazione, la sostenibilità e la competitività, che metterà a disposizione delle aziende italiane circa 150 miliardi di euro.

Un’azione che secondo il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, “consentirà di attivare investimenti privati, generando un effetto moltiplicatore delle risorse messe a disposizione per gli investimenti pubblici dal PNRR, e creando nuove prospettive di crescita sostenibile per il sistema produttivo italiano e per l’intero Paese”.

La nostra economia sta attraversando trasformazioni epocali. La transizione ambientale, energetica e digitale investirà intere filiere produttive e avrà un impatto forte anche sulle comunità. Serve grande attenzione e responsabilità da parte delle Istituzioni perché agiscano in modo graduale e proporzionale e sostengano i processi di ammodernamento del tessuto industriale”, ha aggiunto Bonomi.

Plafond fondamentale per transizione ecologica e digitale

Nello stesso comunicato, Carlo Messina, consigliere delegato e CEO di Intesa Sanpaolo ha affermato che grazie a questo accordo per la crescita sarà possibile “supportare ulteriormente la valorizzazione delle filiere che, dopo essere stato uno dei principali fattori di resilienza durante la crisi, oggi possono e devono costituire un propulsore decisivo per la ripartenza del tessuto produttivo del Paese”.

Il plafond, attivato per la fase di rilancio e per l’indispensabile transizione ecologica e tecnologica in cui ogni comparto industriale è coinvolto, rientra nell’ambito del nostro impegno complessivo ad attivare, nell’arco del PNRR, erogazioni a medio lungo termine per oltre 410 miliardi da qui al 2026, di cui 270 miliardi per le imprese – ha precisato Messina – al fine di accelerare, attraverso la mobilitazione degli investimenti privati, la digitalizzazione, i progetti infrastrutturali e ambientali, il rafforzamento del sistema sanitario, la ricerca, la coesione sociale che sono anche al centro della nostra collaborazione con Confindustria e delle strategie del Gruppo”.

Dentro anche le nuove competenze

Oltre agli assi tecnologici del documento c’è da considerare anche quelli altrettanto strategici della formazione e delle competenze digitali. L’innovazione e la competitività sono possibili solo se vengono attivati in concomitanza percorsi di formazione per l’acquisizione di nuove competenze che consentano di sostenere l’occupazione, di incentivare l’imprenditoria femminile anche e favorire il modello di smart working.

Innovazione e crescita

Secondo il Centro Studi Confindustria il PIL italiano potrebbe crescere del +6,1% nel 2021, quindi in maniera più decisa rispetto alle attese (di almeno un +2%), mentre nel 2022 la crescita continuerà ma meno forte, attorno ad un +4%.

Dati sostanzialmente simili a quelli OCSE di un mese fa, che prospettavano una crescita economica dell’Italia del +5,9% per l’anno in corso e del +4,1% per il 2022, a seguito di una diminuzione del PIL pari all’8,9% registrata nel 2020. Un secondo trimestre più forte del previsto spiega la revisione al rialzo delle previsioni di crescita pari al 4,4% per il 2021 contenute nelle Prospettive economiche dell’OCSE pubblicate nel maggio scorso.

Punti critici

Tutti numeri che fanno ben sperare, seppur al di sotto dei livelli del 2019, quelli pre-pandemici per intenderci, ma che dovranno fare i conti con altre incognite nei prossimi mesi.

In autunno bisognerà vedere come procede la pandemia di Covid-19, quale impatto avrà sulla popolazione e quindi l’economia, se i vaccini avranno o meno davvero avuto un effetto di contenimento del virus.

Negli stessi mesi si dovranno fare le tanto attese riforme, quindi occhi puntati sul confronto Governo, Confindustria e parti sociali, mentre è ancora sul tavolo la legge sulle delocalizzazioni, che potrebbe risultare uno scoglio non da poco per l’esecutivo a guida Draghi.

Ulteriore criticità, in questo scenario, è rappresentata dal peso della burocrazia sulla crescita e la produttività. Possiamo parlare di innovazione, ma non ci dimentichiamo quanto questa sia limitata dai numerosi e ridondanti passaggi amministrativi a cui devono sottoporsi le aziende.

Se parliamo di lavoro e occupazione, inoltre, non dimentichiamoci che non è solo una questione di formazione. L’Italia è l’unico Paese in Europa, negli ultimi 30 anni, in cui il salario medio è diminuito anziché aumentare, secondo una recente indagine OpenPolis su dati OCSE (tra il 1990 ed il 2020 in Italia il salario medio è diminuito del -2,9%, unico caso tra i 22 Paesi europei presi in esame).

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