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Confindustria Digitale lancia il Piano straordinario per l’Italia 4.0

Investire nella trasformazione digitale del Paese: raddoppiando le risorse finanziarie e umane per accelerare l’attuazione del Piano Triennale per la digitalizzazione della Pa, rendendo strutturali gli incentivi per l’innovazione delle imprese, varando un programma nazionale ad ampio raggio per la formazione delle nuove competenze per il lavoro che cambia, assicurando sostenibilità allo sviluppo delle infrastrutture 5G e banda ultra fissa con un quadro regolatorio favorevole. Accelerare con una governance del digitale chiara e autorevole, incardinando la regia in un Dipartimento permanente della Presidenza del Consiglio in grado di favorire il dialogo e la collaborazione dei vari soggetti interessati, dai ministeri agli enti locali. Crescere utilizzando la trasformazione digitale per migliorare il rapporto debito/Pil, quale strumento strategico capace di agire tanto sul numeratore, razionalizzando e rendendo più efficiente la spesa pubblica, che sul denominatore, utilizzando il digitale come fattore moltiplicatore della crescita economica. Ecco il senso e i termini della nostra proposta di Piano straordinario per il digitale: una misura strutturale da inserire sin dalla prossima manovra finanziaria, necessaria per colmare il ritardo d’innovazione italiano e ridare nuovo slancio all’economia. Perché accelerare la trasformazione digitale del Paese è la via maestra per dare sostenibilità al processo di riduzione del debito pubblico e liberare risorse per lo sviluppo”. È quanto affermato da Cesare Avenia, presidente di Confindustria Digitale, questa mattina nell’illustrare la proposta di Piano straordinario per il digitale in occasione del convegno “Investire, Accelerare, Crescere”, iniziativa realizzata in collaborazione con Luiss Business School.

Ha aperto i lavori Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School: “Sviluppare infrastrutture e puntare sul digitale è cruciale per un Paese che ambisca ad essere competitivo a livello locale e globale: incentivarli è la più importante manovra economica che potrebbe fare il nostro Paese. È fondamentale diffondere la cultura del digitale, fare formazione a tutti i livelli, creare figure con nuove competenze e cittadini digitali del futuro. L’Italia oggi non ha una strategia complessiva per le competenze digitali che invece sarebbe fondamentale per ridurre il divario digitale e ampliare l’inclusione sociale“, ha aggiunto Boccardelli, che ha evidenziato come nell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) della Commissione Europea per il 2019, l’Italia si collochi al 26esimo fra i 28 Stati membri dell’UE nella categoria “Capitale umano” con oltre metà della popolazione che non possiede competenze digitali di base.
“Tale carenza si riflette anche in un minore utilizzo dei servizi online, dove si registrano ben pochi progressi, sia da parte dei cittadini che delle PMI che rappresentano l’ossatura del nostro capitalismo”.

All’incontro, concluso con l’intervento del ministro dell’Economia e Finanze, Giovanni Tria, hanno inoltre partecipato Marco Bellezza consigliere giuridico del Ministero dello Sviluppo Economico, Enrico Cereda, presidente Steering Committee Piattaforme digitali PA di Confindustria Digitale e ad Ibm, Filippo Contino responsabile Relazioni industriali Enel, Laura Di Raimondo direttore Asstel, Stefano Antonio Donnarumma ad ACEA, Massimiliano Fedriga presidente Regione Friuli Venezia Giulia, Marco Gay presidente Anitec-Assinform, Pietro Guindani presidente Asstel Victor Massiah ad Ubi Banca, Roberto Viola direttore Generale DG Connect della Commissione Europea.

La fotografia data dal Desi, che da un quinquennio colloca il nostro Paese agli ultimi posti in classifica Ue, (nel 2014 eravamo al 25° posto su 28 paesi Ue, nel 2019 ci ritroviamo al 24° posto), porterebbe a concludere che dal lancio dell’Agenda Digitale a oggi siamo stati quasi fermi. Ma non è così: sono tantissime le iniziative, progetti e piani nazionali e locali, le misure di legge, le best practice, che in questi anni l’Italia ha messo sul tappeto nel segno del digitale. Tuttavia, nel tempo la sua attuazione si è frammentata in tanti singoli sforzi, con basso grado collaborativo e di sussidiarietà fra i tanti attori, dispersione di risorse, incertezze e fluttuazioni del quadro regolatorio.

Un andamento che si dimostra incapace di colmare il gap digitale del Paese e modificare il trend di crescita – ha sottolineato il presidente di Confindustria Digitale – Dobbiamo necessariamente cambiare approccio e fare della trasformazione digitale una misura strutturale per la crescita economica”. Da qui la proposta di Piano straordinario per il digitale che si focalizza su 4 pilastri fondamentali: sviluppo delle competenze per il lavoro che cambia, accelerazione del Piano Triennale per la Pa digitale, trasformazione digitale delle imprese; sviluppo reti 5g e banda ultralarga. “Non dobbiamo ricominciare da zero, ma valorizzare e accelerare i piani e progetti già in atto– ha puntualizzato Avenia – Va data priorità alle azioni che hanno maggior impatto e capacità di effetto leva sull’economia, adottando in una logica di sistema le metodologie di lavoro che sono state alle base dei casi di successo, assicurando stabilità e continuità alla governance dei piani, ai finanziamenti e alla disponibilità di risorse umane qualificate per portarli a compimento”.

In tutti i casi di successo emersi in questi anni in Italia, spicca l’estrema efficacia di un diverso ruolo dello Stato quando esercita la funzione di Stato acceleratore dei processi di innovazione, ma affinché questo ruolo diventi sistema e guida di un processo collaborativo di cambiamento del Paese, secondo Cesare Avenia, è necessario che si realizzino due condizioni: “Da una parte lo Stato deve investire di più e meglio sull’innovazione digitale, facendo da volano agli investimenti privati; dall’altra le sorti dei progetti di trasformazione digitale vanno separate dall’alternanza politica dei governi nazionali e locali” .

Sul primo punto va rilevato che, se la spesa pubblica italiana è allineata alla media europea coprendo il 49% del Pil, è invece assolutamente al di sotto per la parte relativa all’innovazione digitale: appena 85 euro per cittadino, a fronte dei 186 euro della Francia, 323 euro dell’Uk e 207 euro della Germania. Digitalizzare la Pa significa anche razionalizzare e risparmiare sulla spesa corrente per aumentare la quota degli investimenti. Per portarci ai livelli dei nostri partner europei, secondo Avenia, dovremmo almeno raddoppiare gli investimenti pubblici dell’ordine di grandezza dei 10-11 mld di euro l’anno. Investimenti che, come è previsto nel Piano Triennale per la digitalizzazione della Pa, grazie all’effetto combinato di semplificazione dei processi, riqualificazione della spesa, riduzione degli sprechi e delle ridondanze che l’elevata frammentazione ha generato nel corso degli anni, più efficace contrasto all’evasione fiscale, tornano allo Stato come risparmi sulla spesa corrente da indirizzare sui progetti di innovazione. Secondo le stime del Polimi, la Pa digitale a regime può portare fino a 25 miliardi di euro nelle casse pubbliche, nonché benefici anche alle imprese dell’ordine dei 25 miliardi di euro grazie alla semplificazione e snellimento dei rapporti burocratici.

In tema di risorse, un nodo cruciale riguarda la necessità di migliorare la gestione dei fondi europei: oggi progettiamo poco rispetto alle risorse disponibili e portiamo a compimento ancora meno rispetto a quanto abbiamo progettato. Le risorse messe a disposizione dall’Europa per il settennio 2014-2020, che fanno riferimento diretto all’attuazione dell’Agenda Digitale, ammontano a 3,1 miliardi di euro. Secondo gli dati pubblicati dal sito OpenCoesione (febbraio 2019) sono stati presentati 16.855 progetti, di cui conclusi sono solo il 13%, mentre i progetti in corso sono il 75% e quelli non avviati il 12%. Mancano meno di 18 mesi alla fine del 2020 e di quei miliardi stanziati da Bruxelles c’è il rischio di briciarne circa il 50% delle risorse: 1 mld circa di risorse di cui non si conosce ancora la progettualità + 700 mln dei progetti non ancora avviati.

Chiudendo il suo intervento, il presidente di Confindustria Digitale si è soffermato sulla governance: “È il nodo strategico dolente di tutto gli sforzi sinora condotti nel campo dell’innovazione digitale ed è la principale indiziata di quella dinamica distruttiva dello “stop and go” che determina incertezza sulle risorse effettivamente disponibili, sui poteri decisionali, sul completamento dei progetti. Non dovrebbe più accadere che una misura che abbia prodotto benefici concreti venga depotenziata o addirittura interrotta al cambio di governo, perché il danno al Paese è enorme. Per riportare il processo di cambiamento su binari certi, identificabili, percorribili con maggiore velocità, la chiave è, secondo noi, incardinare la digitalizzazione in un Dipartimento permanente della presidenza del Consiglio: l’unica posizione istituzionale che possa far dialogare i vari soggetti interessati, dai ministeri agli enti locali. La trasformazione digitale è un obiettivo dell’intero Paese, trasversale a tutti i settori, e non deve essere sottoposto a interessi di parte e alle variazioni di maggioranze e governi”.

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