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Con le AI del futuro spariranno gli “etichettatori”?

Il paradosso dell’intelligenza artificiale, ovvero di una macchina algoritmica che calcola in modo efficiente e autonomo la risposta migliore a un input, è che per farla funzionare serve, tanta, forza-lavoro umana. Dietro ogni chat di intelligenza artificiale ci sono milioni e milioni di persone che lavorano come “etichettatori” (“annotators”) e il cui compito è fornire all’AI le informazioni necessarie per comprendere contesti umani che gli algoritmi non sono capaci di decifrare da soli: classificare delle immagini dalla più triste alla più allegra, per esempio.

Secondo un articolo pubblicato recentemente dall’Economist, circa l’80% del tempo impiegato nello sviluppo di un’intelligenza artificiale è connesso all’analisi dei dati. A loro volta questi dati sono prodotti in gran parte dagli etichettatori, che spesso vengono reclutati da piattaforme specializzate. La Banca mondiale stima che tra il 4,4 e il 12,4% della forza lavoro globale sia coinvolta in lavori a chiamata, inclusa l’annotazione per l’intelligenza artificiale. Questi lavoratori, il cui salario varia dai 4-8 dollari l’ora nei Paesi a basso reddito, fino ai 10-20 dollari l’ora nei Paesi a capitalismo avanzato, sono spesso considerati un peso per gli sviluppatori, che vorrebbero trovare il modo per farne a meno. Ma, secondo alcuni, questo non sarà mai possibile.

Imparare dai propri errori

La questione, per gli sviluppatori di intelligenza artificiale, è semplice: il passaggio per realizzare la prossima generazione di sistemi di machine learning sarà l’autoapprendimento da parte degli algoritmi. In pratica, l’AI del futuro sarà quella che potrà fare a meno degli etichettatori, riuscendo ad addestrarsi da sola a riconoscere i propri errori. Un vantaggio notevole, visto che questa innovazione renderebbe obsoleta la figura dell’etichettatore.

Esperimenti di successo sono stati condotti su algoritmi che hanno “imparato” da soli a giocare al gioco del Go, riscontrando buoni risultati. Ma secondo Phelim Bradley, co-fondatore dell’azienda di analisi dati Prolific intervistato dall’Economist, riuscire in questo esperimento è semplice, perché l’obiettivo è molto chiaro e definito. Al contrario, i modelli di grandi dimensioni su cui si basa l’intelligenza artificiale sono molto più complessi, e continueranno ad avere bisogno dell’ausilio di lavoratori umani.

Quello che si sta verificando, secondo il settimanale britannico, è un “prosciugamento” delle mansioni basilari che venivano prima richieste agli etichettatori. Le sfide iniziali, e semplici, che si poneva l’AI anche solo qualche anno fa sono ormai state elaborate in gran parte, e ormai si fa affidamento a modelli di analisi che si basano su dati già semi-lavorati.

Verso un’evoluzione del ruolo?

Più che una diminuzione della quantità di etichettatori nel mondo, sta prendendo forma una professionalizzazione di questo ruolo. Secondo l’Economist, l’incremento dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale da parte delle aziende sta portando alla realizzazione di “modelli più piccoli e specializzati che richiedono l’aiuto di etichettatori altamente formati”. Per esempio, alcune vacancy per il posto di etichettatore richiedono ormai dei dottorati di ricerca, oppure la capacità di conoscere molte lingue.

In pratica, gli etichettatori verranno probabilmente rimpiazzati, a poco a poco, nelle mansioni che richiedono capacità umane ormai interiorizzate dalla macchina. Ma con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale serviranno sempre più etichettatori in sempre più settori specifici, e questo porterà, secondo gli esperti, all’espansione di questa figura. Shuvan Das, del progetto di intelligenza artificiale medica iMerit, afferma che “questo mondo è in continua evoluzione. Quindi l’intelligenza artificiale deve essere aggiornata più e più volte”.

Una nuova classe lavoratrice?

Nonostante in questi ultimi cinque anni lo sviluppo dell’intelligenza artificiale stia modificando il rapporto tra gli etichettatori e l’algoritmo, la figura dell’etichettatore come operaio-massa non sembra andare perdendosi. Per esempio in India, secondo i dati riportati da Nasscom, un’associazione dell’industria informatica citata dall’Economist, le attività di annotazione potrebbero impiegare 1 milione di persone entro il 2030, per un incasso di sette miliardi l’anno.

Il problema è la difficoltà a reperire informazioni sugli etichettatori, che vengono tenuti, secondo Krystal Kauffman, esperto in lavoro digitale citato nell’articolo, “nascosti” dalle stesse compagnie tecnologiche. Alcune di queste, come Scale AI, sono anche state messe sotto accusa per le cattive condizioni di lavoro, collegate per esempio alla sorveglianza telematica dei lavoratori.

Chissà se queste prime vertenze sindacali nel mondo degli etichettatori non siano il principio di una presa di coscienza da parte di questa classe di lavoratori digitali di grandissime dimensioni, sparsa in tutto il globo, e in gran parte nei Paesi in via di sviluppo. “Etichettatori di tutto il mondo, unitevi!”, scriveva Simone Pieranni, parafrasando Marx, nel suo libro “Red mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina”, pubblicato nel 2020. Un gioco di parole per descrivere i nuovi lavoratori precari e sottopagati del settore tecnologico, che vista l’impennata dello sviluppo dell’AI nell’economia mondiale, potrebbe anche diventare realtà.

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