Il dibattito

Con la Web tax Google e Facebook verserebbero fino a 188 milioni in più al Fisco

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Audizione dell’Ufficio parlamentare Bilancio sulla ‘web tax’: se la norma fosse in vigore, nel 2015 Google e Facebook avrebbero versato fino a 190 milioni al Fisco rispetto a 2,4 milioni realmente versati.

Audizione dell’Ufficio parlamentare Bilancio sulla ‘web tax’: Goolge e Facebook verserebbero 190 milioni di imposte al Fisco rispetto a 2,4 milioni realmente versati.

Introdurre un regime fiscale armonizzato a livello europeo sarebbe la soluzione migliore per contrastare le pratiche diffuse di elusione fiscale connesse all’economia digitale, ma per ora i paesi dell’Unione si muovono in ordine sparso. Muoversi a livello nazionale, come prevede nel nostro paese il DDL 2526 relativo a “Misure in materia fiscale per la concorrenza nell’economia digitale” in discussione al Senato, presentato dal Senatore Massimo Mucchetti, rischia di portare invece risultati che “devono essere letti con molta cautela, in quanto trascurano le reazioni comportamentali che potrebbero rafforzare altre pratiche elusive delle imprese (gli OTT e in particolare Google e Facebook per quanto riguarda il mercato della pubblicità online ndr) al fine di ridurre i profitti imponibili nel nostro Paese”. Ma almeno si comincia a discutere un argomento di cui, fra stop and go, si parla almeno da tre anni (vedi ‘Web Tax, Francesco Boccia: ‘Dall’Italia silenzio imbarazzante dopo la proposta di Londra’) e che ad un certo punto sembrava anche arrivato all’attenzione del Governo (vedi ‘Web Tax, il Governo potrebbe ripensarci’) per tornare poi nel dimenticatoio.

 

Imponibile con l’entrata in vigore della Web Tax

Con questa premessa, l’Ufficio parlamentare di Bilancio (UpB) ha calcolato quanto dovrebbero versare al Fisco in Italia i big della pubblicità online Google e Facebook se entrasse in vigore il DDL in discussione al Senato sulla web tax. Di fatto, i due big della pubblicità online, che nel nostro paese detengono quasi il 50% di questo mercato che vale 1,66 miliardi di euro in base ai dati del 2015, dovrebbero pagare complessivamente 190 milioni di euro, rispetto ai 2,4 milioni realmente versati in Italia, in virtù delle consolidate – e pienamente legali – pratiche di elusione fiscale dal paese d’origine geografica dei ricavi. Misure che pongono in Irlanda la sede europea dei due gruppi, con successive triangolazioni finanziarie che coinvolgono i Paesi Bassi e un paradiso fiscale (le Bermuda per Google, le Isole Cayman per Facebook).

E’ quanto emerge, dall’audizione di Alberto Zanardi, componente del Consiglio dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), ieri in audizione congiunta dagli Uffici di presidenza delle Commissioni Finanze e tesoro e Attività produttive del Senato nell’ambito dell’esame del disegno di legge n. 2526.

webtax

Nel suo intervento Zanardi ha analizzato lo sviluppo dell’economia digitale e il ruolo delle cosiddette imprese Over the Top (OTT), focalizzando l’attenzione sulle problematiche che la digitalizzazione comporta per i regimi di tassazione (qualificazione dei valori da tassare, loro collocazione geografica, modalità effettive di prelievo) e su come il DDL si propone di affrontarle, in assenza di un’auspicabile azione coordinata a livello internazionale. A titolo di esempio, è stato esaminato il caso della pubblicità online.

Introdurre nel nostro paese la “web tax” prevista dal Disegno di legge n. 2526 potrebbe portare Google a pagare al Fisco italiano 19,4 milioni rispetto ai 2,2 milioni versati nel 2015, e lo stesso discorso varrebbe anche per Facebook, che nello stesso anno ha versato 200mila euro e verserebbe invece 6,1 milioni.

Somme che lieviterebbero ulteriormente se fosse applicata l’altra ipotesi del provvedimento, ovvero l’applicazione di una ritenuta alla fonte del 26%, perché in questo caso l’imposta sarebbe di 133 milioni per Google e a 56,6 milioni per Facebook, ossia 188 milioni in più di quanto versato al Fisco due anni fa.

Le misure del DDL 2526

Il DDL 2526 introduce il concetto di “stabile organizzazione occulta”, basato su tre criteri: l’attività nel territorio dello Stato, in via continuativa, di attività digitali pienamente dematerializzate (come la pubblicità online); un numero di transazioni superiore a 500 unità singole in un semestre; realizzazione sempre su base semestrale di un ammontare complessivo non inferiore a un milione di euro.

Alle società che rifiutano di regolarizzarsi è applicata una ritenuta alla fonte pari al 26% degli importi pagati, analoga alla ‘diverted profit tax’ inglese.

Pubblicità online in Italia

 

Il settore della raccolta pubblicitaria online è fortemente concentrato e ha due operatori, Google e Facebook, che detengono quasi il 50% del mercato complessivo.

Sulla base dei dati sulla raccolta pubblicitaria disponibili forniti dall’Agcom, relativi al 2015, i ricavi generati da Google nel nostro Paese (“ricavi geografici”) sono stimati in 570 milioni a fronte di 67 milioni risultati dal bilancio di Google Italia (“Ricavi di Gruppo”).

Per Facebook la differenza è ancora maggiore: rispettivamente 225 milioni i “ricavi geografici” contro 8 milioni dichiarati (“Ricavi di Gruppo”).

Nel caso di Google, i ricavi della pubblicità online che si stima originino in Italia rappresentano il 2,4% del mercato europeo, quelli riportati nel bilancio di Google Italia sono lo 0,3%. Per Facebook la divergenza è anche più importante con il 2,8% di ricavo geografico contro lo 0,1% di ricavo di gruppo.

Nel 2015 il peso delle imposte sugli utili generati in Italia ammonta al 24,6% per Google e al 18,1% per Facebook a fronte di un’aliquota effettiva (Ires e Irap) del 31,4%.