Comunità Energetiche, dati positivi dal GSE, ma la burocrazia frena. Il Digital Twin italiano fa scuola in Europa. Bussone “ora la sfida è realizzare nuovi impianti”
Valentina Barretta
Tra nucleare, nuovi rigassificatori e l’aumento delle importazioni di energia fossile dagli Stati Uniti, sembrava che l’Italia avesse messo in secondo piano le Comunità Energetiche Rinnovabili e la stessa transizione energetica. Quelle che erano state presentate come uno degli strumenti chiave della lotta al cambiamento climatico – le CER, un modello giuridico innovativo che porta l’energia rinnovabile “a km zero” permettendo a cittadini, imprese ed enti locali di beneficiare di vantaggi economici e fiscali dall’autoproduzione – negli ultimi mesi parevano finite nel dimenticatoio.
I nuovi dati del GSE
Ma a sorpresa, il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ribalta la percezione con nuovi dati. Gli ultimi numeri riportati confermano, infatti, una crescita in forte accelerazione, con oltre 2.000 configurazioni già attive o in fase di attivazione in tutta Italia. A guidare il cambiamento sono Piemonte, Lombardia, Sicilia e Veneto, seguiti a ruota dal resto del Paese, dove si registra una vera e propria impennata.
“Come riportato dalla Piattaforma di monitoraggio del PNIEC abbiamo superato la soglia delle 2.000 richieste di qualifica CACER, tra Comunità Energetiche Rinnovabili, Gruppi di Autoconsumo Collettivo e Autoconsumatori Individuali a Distanza. Sono quasi 18.000 le utenze coinvolte in tutto il territorio nazionale e il significativo incremento di iniziative che abbiamo registrato dimostra come nel Paese sia cresciuta la consapevolezza dei benefici generati dall’autoconsumo diffuso” ha dichiarato a Key4Biz, Paolo Arrigoni, Presidente del GSE.
Cosa è cambiato?
Da cosa nasce questa accelerazione, che sembra smentire la lentezza iniziale? In molti hanno spiegato l’avvio incerto con una presunta scarsa consapevolezza “green” della popolazione, trattandosi di un meccanismo che si fonda soprattutto sulla partecipazione dal basso.
Ma basta andare oltre la comoda retorica – pur fondata – sulla tradizionale diffidenza italiana verso le novità, per capire quale sia stato il vero elemento che ha sbloccato il sistema. Le modifiche introdotte con il nuovo Decreto ministeriale che corregge la disciplina degli incentivi, estendendo la platea e semplificando le modalità di accesso, hanno senza dubbio fatto la differenza. Così come ha sicuramente pesato l’accordo tra ANCI, Uncem, GSE e il Ministero dell’Ambiente.
Vi erano vari tasselli mancanti, insomma, capaci di indicare la strada verso una produzione elettrica sempre più decentrata e partecipata. A spiegarcelo è stato, tra gli altri, il senatore Antonio Trevisi, promotore del reddito energetico e di alcune delle misure correttive più rilevanti in materia di CER.
Bollette meno pesanti per famiglie e imprese
“La crescita significativa delle comunità energetiche conferma l’efficacia del lavoro portato avanti con il ministro Pichetto Fratin, anche su mio input” ha commentato il Senatore di Forza Italia.
“Dopo l’introduzione delle nuove regole, in poche settimane le CER sono diventate circa 2.000, registrando un aumento esponenziale” ha quindi aggiunto.
Trevisi ha sottolineato come i limiti previsti dai precedenti governi, che riservavano l’incentivo in conto capitale del 40% solo alle famiglie e imprese dei comuni sotto i 5.000 abitanti, rischiassero di far perdere le risorse del PNRR, pari a 2,2 miliardi di euro.
“I correttivi normativi hanno esteso la possibilità di creare CER incentivate anche nei comuni fino a 50.000 abitanti, prorogato la fine dei lavori al 30 giugno 2026 con entrata in esercizio entro 24 mesi dalla fine dei lavori (e comunque entro il 31 dicembre 2027), e innalzato le spese tecniche ammissibili dal 10% al 30%. Grazie a queste modifiche, le famiglie e le imprese avranno bollette meno pesanti e lo Stato potrà ottenere un ritorno economico significativo dall’investimento realizzato.”
In sostanza, secondo Trevisi, la combinazione tra correttivi normativi e incentivi più accessibili ha fornito il reale impulso alla crescita delle CER, rendendo possibile una transizione energetica più partecipata e diffusa sul territorio.
Ora la priorità è realizzare più impianti
Secondo Marco Bussone, Presidente dell’Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani), la rimozione di alcuni ostacoli burocratici è stata decisiva per sbloccare molte comunità energetiche rimaste in standby, anche nel quadro delle strategie di Green Community. Restano però colli di bottiglia che rischiano di frenarne lo sviluppo: superarli richiede collaborazione e un avanzamento compatto, capace di accompagnare i percorsi già avviati dai territori, in particolare dai Comuni.
“Negli ultimi anni c’è stata una certa difficoltà nell’interpretare i numerosi documenti tecnici e operativi che si sono susseguiti, ma l’aumento delle comunità energetiche registrate è un segnale importante. Ora, però, dobbiamo realizzare impianti da fonti rinnovabili, sfruttando tutte le tecnologie disponibili, e continuare a lavorare affinché ci sia un vero protagonismo dei Comuni, delle imprese e, soprattutto, dei cittadini”, ha dichiarato Bussone a Key4Biz.
Il Presidente ha poi sottolineato il valore sociale delle CER:
“La comunità energetica è prima di tutto comunità: un luogo in cui si affrontano insieme le sfide della crisi energetica, ecologica e demografica. La grande esigenza oggi è realizzare nuovi impianti per accompagnare la transizione, non restare ancorati a un ‘piccolo mondo antico’. Non è certo la montagna a frenare questo cambiamento”.
Cosa insegna l’esperienza europea
Secondo i dati di Italia Solare, con oltre due milioni di impianti installati, l’Italia sembra raccontare una sola verità: le Comunità Energetiche non possono esistere senza fotovoltaico. Ma guardando oltre i confini nazionali emerge un’altra lezione: bisogna valorizzare anche altre fonti di energia locale.
Lo ricorda Giuseppe Milano, ingegnere edile-architetto ed esperto di pianificazione energetica, autore del libro “Comunità energetiche. Esperimenti di generatività sociale e ambientale?”. Milano porta alcuni esempi europei che possono ispirare le realtà italiane:
“In Austria e nei Paesi scandinavi l’obiettivo non è solo ridurre l’uso di gas e metano negli edifici residenziali, ma anche sfruttare l’energia di scarto, come il calore, attraverso reti di teleriscaldamento. In Grecia, invece, l’idroelettrico è utilizzato a sostegno dei processi comunitari.”
Il teleriscaldamento, infatti, rappresenta una delle pratiche più promettenti anche per l’Italia, soprattutto in un’ottica di comunità e prossimità. Ma, osserva Milano, questa strada fatica ancora a decollare nel nostro Paese.
L’Italia e la sfida del digital twin
Se da un lato siamo indietro sul fronte del teleriscaldamento, dall’altro l’Italia vanta alcune esperienze innovative che potrebbero diventare un modello in Europa. Toscana e Piemonte si distinguono, ad esempio, per l’utilizzo di tecnologie digitali avanzate: sistemi di monitoraggio dei consumi, analisi delle performance e, nei casi più avanzati, l’applicazione del digital twin, il gemello digitale degli impianti.
Si tratta di sperimentazioni anche di medio-grandi dimensioni – circa 800 kW – integrate direttamente nelle cabine primarie. Qui il digital twin non è solo un supporto tecnico, ma un vero e proprio strumento strategico di pianificazione energetica, capace di guidare una nuova visione di sviluppo territoriale.
I colli di bottiglia non ancora risolti
È quindi chiaro che, nonostante numeri e i trend degli ultimi mesi facciano ben sperare, restano diverse sfide ed ostacoli burocratici da superare. Tra questi, come detto, tempi autorizzativi ancora troppo lunghi. La lentezza delle procedure mette a rischio la sostenibilità stessa delle cooperative: senza incentivi erogati nei tempi, non solo diventa complicato coprire le spese, ma viene meno anche la possibilità di reinvestire sul territorio, ad esempio creando opportunità di lavoro per giovani ingegneri locali.
Per fare chiarezza su una situazione che rimane incerta, abbiamo raccolto la testimonianza di Elena Stopelli, community manager di KönCerT, una Comunità Energetica del Trentino-Alto Adige nata dall’iniziativa di cittadini con competenze tecniche, giuridiche ed economiche e sostenuta dalla Federazione delle Cooperative Trentine. In una regione dalla forte tradizione cooperativa, oggi sono attive circa 9 o 10 realtà impegnate nello sviluppo di CER.
Secondo Stopelli, il problema principale non è tanto normativo, quanto comunicativo: procedure lente e macchinose che rendono difficile ricevere risposte rapide e puntuali.
“Dal nostro osservatorio sul territorio – spiega Stopelli – emerge una grande difficoltà di comunicazione con il GSE. Negli anni ha messo in campo strumenti e canali digitali, ma resta ancora l’ostacolo principale. La nostra non è un’attività commerciale, ma sociale: promuoviamo la conoscenza delle CER, apriamo sportelli nei comuni, facciamo consulenza ai soci, supportiamo l’installazione di impianti fotovoltaici e organizziamo workshop per diffondere la cultura della transizione energetica. Tutto questo richiede tempo e risorse, spesso in forma volontaria: servirebbero risposte più rapide e un’interlocuzione più efficace.”
La testimonianza è chiara: i ritardi pesano come macigni. La prima configurazione di KönCerT, inviata ad agosto 2024, è stata registrata solo a dicembre, dopo sei mesi, nonostante i termini di legge prevedano 60-90 giorni. Nel frattempo la cooperativa è cresciuta da 80 a 300 soci, ma l’aggiornamento della configurazione si è rivelato un percorso a ostacoli.
Attualmente, infatti, la piattaforma del GSE obbliga a inviare una PEC con numerosi allegati: per ogni nuovo socio occorre fornire bollette recenti, compilare file Excel per impianti e consumi, caricare documenti. Una mole di lavoro enorme, che potrebbe essere facilmente snellita con strumenti digitali più evoluti.
Il GSE assicura che una nuova piattaforma è in fase di sviluppo, ma al momento non è ancora operativa.
“Chiediamo che venga attivata al più presto – insiste Stopelli – perché permetterebbe di automatizzare gli aggiornamenti e garantire l’accesso tempestivo agli incentivi spettanti.”
I numeri parlano da soli: nel 2024 KönCerT ha registrato 86 soci e 6 impianti; oggi avrebbe da inserire 30 nuovi impianti e 220 soci.
“Pensare di gestire tutto questo via PEC, nel 2025, è anacronistico” sottolinea Stopelli.
KönCerT ha già inviato una seconda configurazione ad agosto e attende risposta. La speranza è di non dover rivivere lo stesso iter di sei mesi.