la conferenza di venezia

Comunicazione istituzionale, cosa è successo alla conferenza europea del Club of Venice

di Stefano Rolando, Presidente del Club of Venice e direttore dell'Osservatorio sulla comunicazione pubblica dell’Università IULM di Milano |

La rete dei comunicatori europei si è riunita a Venezia per la conferenza europea della comunicazione istituzionale, iniziativa ispirata dagli italiani ai tempi della grande vocazione europeista delle nostre istituzioni nata per tenere in rete il sistema della comunicazione europea.

Due giorni di fitta discussione, il 22 e 23 novembre, a Palazzo Franchetti a Venezia, nella 32a sessione autunnale del Club of Venice, iniziativa ispirata dagli italiani ai tempi della grande vocazione europeista delle nostre istituzioni e poi cresciuta negli anni, per tenere in rete il sistema della comunicazione europea (paesi membri e istituzioni UE) che ha conosciuto ormai diverse stagioni politiche, diverse evoluzioni della stessa mission della comunicazione, diversa incidenza delle tecnologie che veicolano relazioni e messaggi.

Per una certa regia dei paragoni, gestita dal segretario generale del CdV Vincenzo Le Voci (Consiglio UE), l’agenda della prima giornata ha seguito i paradigmi della tradizione (lo stesso videomessaggio del ministro per gli Affari europei Paolo Savona ha esortato i cento partecipanti a tornare alla centralità della funzione di “spiegazione” di norme, strutture e servizi).

Mentre la seconda giornata è stata occupata da un lungo panel – moderato da Silvio Gonzato (direttore relazioni inter-istituzionali e comunicazione dell’Alto rappresentante per Relazioni Esterne della UE) – interamente dedicato al tema delle “minacce ibride” e della “cybersecurity” cercando di mantenere lo svolgimento nello stesso pianeta in cui, appunto, si muovono le tematiche tradizionali della comunicazione istituzionale.

Obiettivo difficile, perché negli ultimi anni, partendo dal laboratorio militare della NATO, l’Europa si è trovata in contesti di attacco alla sua realtà (l’Unione e i paesi) sia nel quadro degli sviluppi del terrorismo (fronte sud) sia nel quadro dei conflitti ad est (ad esempio il caso Russia-Ucraina).

Ma soprattutto, come ha osservato Eugenio Madeo vicesegretario generale di Palazzo Chigi che ha competenza di cybersecurity, nel quadro di uno sforzo di cooperazione a fronte di posizionamenti delle grandi potenze del mondo (la Cina e il suo dirigismo, gli USA con i suoi algoritmi della Silicon Valley, la Russia e la sua vocazione espansiva).

L’espressione che va sostituendo quella di “fake news” è “minacce ibride“. Come è noto si tratta di una espressione in uso da qualche anno che si riferisce a situazioni mutevoli e flessibili che possono essere prodotte da soggetti istituzionali o da privati e che richiedono individuazione e contrasto.

Ha spiegato Tina Zournatsi (responsabile delle strategie comunicative della Commissione) che “contrastare” significa capire che le manipolazioni hanno carattere narrativo e suggestivo e che quindi anche lo smantellamento deve avvenire su quel terreno.

E ha spiegato Giuseppe Zaffuto (portavoce del Consiglio d’Europa, a Strasburgo, con 47 paesi membri) che bisogna distinguere misinformazione (diffusione di elementi falsi senza cattive intenzioni), disinformazione (diffusione per procurare danno), malinformazione (trasferimento in ambito pubblico di ciò che deve restare nel privato)[2].

Riccardo Viale (Università Bicocca, Milano) – nel gruppo degli esperti universitari che da tempo accompagnano il lavoro del Club of Venice – ha aiutato a sostenere la tesi per cui Il sistema dei comunicatori pubblici europei deve passare dalla “top down epistemology” alla “bottom up epistemology” utilizzando le fasce professionali che hanno contatto sociale (scuola, salute, ambiente, sicurezza) come estensione dei mediatori comunicativi del nostro tempo. E ancora Verena Ringler (sempre strategie di comunicazione della Commissione UE) ha messo in campo l’argomento più forte e ostico: non bisogna far marciare da soli gli ingegneri che si occupano dei processi digitali, portandoli invece ove e come possibile a ragionare insieme a chi gestisce competenze di contenuto[3].

Mentre la prima volée – che si rifà ai media di tradizione, alla pubblicità pur inquadrata in una spesso miratissima pre-condizione demoscopica, all’editoria ma soprattutto alla rete della relazione bilaterale e quindi anche agli sportelli di servizio – ha un’idea della comunicazione che corrisponde alla antinomia Unione-Stati membri, ovvero che tiene conto dei confini materiali, dei limiti linguistici, della definizione dei contesti amministrativi, questa seconda volée ha una dipendenza molto relativa da questo genere di limiti, compreso quello dei confini nazionali.

Essa cresce – con il turn over generazionale dei funzionari e degli operatori – come estensione della cultura della rete. E si avvicina sempre di più all’idea della strategia di sopravvivenza e pertanto anche di competitività dell’Europa come soggetto geopolitico. Sia che si tratti di operatori inquadrati in paesi cosiddetti sovranisti sia che si tratti di operatori di paesi o di istituzioni a vocazione europeista.

Da questa evidenza della discussione, che naturalmente mantiene aperti anche conflitti, si profila un “mondo nuovo” nella cultura professionale di questo settore che richiede riflessioni e messe a punto. Circa i percorsi formativi, circa la natura dei tavoli di relazione sovranazionale, circa la questione dei punti di distinzione tra lo scenario “creativo” della comunicazione tradizionale e lo scenario “vocazionale” di questo nuovo fronte anti-manipolatorio ovvero anti-inquinatore che un tempo credevamo appannaggio dei servizi di controspionaggio.

Si tratta di diradare un po’ la nebbia e di provare a cambiare marcia ai laboratori di ricerca e sperimentazione, magari incrementando l’assistenza e la partecipazione del sistema universitario europeo (diciamo anche a scopo di garanzia civile). Lo stesso Club of Venice nella sessione primaverile di quest’anno a Vilnius ha adottato una “carta” di riferimento di principi a questo tema[4] e, con organizzazione governativa britannica, svolgerà il 14 dicembre a Londra un seminario sui nuovi approcci strategici della comunicazione istituzionale.

Con questi accenti, in qualche modo progettuali, ho chiuso i lavori della sessione, sapendo di averla aperta con gli accenti di una certa, pur avveduta, visione tradizionale[5]. Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma. Non dimenticando di citare il vecchio Carl, che nell’occasione non fa Marx di cognome ma von Clausewitz. Il quale, dopo avere attentamente studiato l’evoluzione della guerra nella fulminea stagione napoleonica, scrisse: “ogni era ha il suo tipo di guerra, le sue condizioni di limite e i suoi concetti peculiari“.

[1] Presidente del Club of Venice e direttore dell’Osservatorio sulla comunicazione pubblica dell’Università IULM di Milano.

[2] Il tema è trattato nel Rapporto del Consiglio d’Europa al link:  https://rm.coe.int/information-disorder-toward-an-interdisciplinary-framework-for-researc/168076277c

[3] Nel corso dell’intervento Verena Ringler ha messo a disposizione un recente documento promosso da Reporters without borders e redatto da una commissione internazionale che ha fatto capo al Premio Nobel Shirin Ebadi, che inquadra l’approccio etico al nuovo scenario  globale  dell’informazione e della comunicazione. Al link: https://rsf.org/en/news/international-declaration-information-and-democracy-principles-global-information-and-communication?fbclid=IwAR3y61VnGQB8S7Tfo9SPHJBRAU2Gkz0GopAdX0RizAIBvDKMK2QsxUytaaQ

[4] https://www.facebook.com/RIVITCP/posts/2253596287992382

[5]  http://stefanorolando.it/?p=1712