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Comunicazione del Governo in tempi di emergenza: “Serve un codice etico pragmatico, unito ad un linguaggio semplice”

Piattaforme private utilizzate per la comunicazione pubblica, la ricerca di una disintermediazione sempre più marcata a scapito del ruolo dei media, una continua rincorsa tra livello nazionale e territoriale nell’informare, decidere, applicare, con il risultato di confondere i cittadini, quanto mai smarriti e preoccupati dal diffondersi del coronavirus. Siamo comunicativamente nell’emergenza dell’emergenza?

La risposta non è semplice. Evitando i giudizi da “leoni da tastiera”, mai in gabbia come in queste settimane, è bene valutare con lucidità una situazione oggettivamente eccezionale. Se il premier Conte ha parlato di “crisi più difficile che il Paese sta vivendo dal secondo dopoguerra”, è oggettivo che anche sul piano della comunicazione istituzionale e dell’informazione ci si trovi di fronte a una situazione mai vista e quindi difficile tanto da gestire quanto da raccontare.

Il premier costruisce algoritmicamente il consenso attraverso i like durante le dirette su Facebook

Quando si è in prima linea si sbaglia con maggiore facilità perché si è più esposti, osservati. E di errori in queste settimane ne sono stati fatti molti. Sul banco degli imputati è finito soprattutto il Presidente del Consiglio, per la scelta di interpretare in prima persona il ruolo della “voce della nazione”, senza il conforto (e il supporto) di altri ministri impegnati direttamente sul dossier (Salute, Interni, Economia, Difesa, Innovazione, Trasporti, ecc.). E di farlo costruendo algoritmicamente il consenso attraverso i like di Facebook.

Stesso ragionamento critico ha toccato (e tocca) Governatori in mascherina, sindaci urlanti, virologi improvvisati e polemisti di mestiere. La “fame” di informazioni genera paradossalmente un cortocircuito di bisogno da un lato e insofferenza dall’altro sul quale è opportuno riflettere con attenzione. Chi ha responsabilità pubblica deve (in)seguire l’opinione pubblica in modo continuativo, con il rischio di ingenerare ulteriore tensione, o deve farlo con una cadenza prefissata (è il caso del briefing delle 18 della Protezione Civile)?

Va riconosciuto che i toni usati da Conte sono stati adeguati rispetto alle difficoltà contingenti, così come gli appelli del Capo dello Stato e di molti esponenti della politica. Ma non sono mancati i distinguo evitabili e le provocazioni speculative, anche queste alimentate e viralizzate dalle dirette social.

E’ superfluo ricordare come questa sia la prima crisi “social” a livello globale e quindi manchi un benchmark adeguato. Neppure l’11 settembre, gli tsunami o le crisi finanziarie del decennio avevano coinvolto orizzontalmente l’intera popolazione mondiale. Le reazioni in questo caso sono state le più diverse, ma ad ogni latitudine abbiamo visto premier incuranti degli allarmi correre ai ripari l’indomani, solo per fare un esempio.

C’è purtroppo ancora tempo davanti a noi prima di considerare chiusa un’emergenza che lascerà dietro di sé comportamenti diversi e regole ancora tutte da scrivere. La corsa alla decretazione d’urgenza, il conflitto tra poteri, le diatribe regolamentari sono argomento fondamentale per il diritto e i diritti, così come la tracciabilità delle persone attraverso le celle telefoniche per ragioni securitarie. Il mondo non cambierà mai tanto così come accadrà dopo questa pandemia. Ma l’aspetto della comunicazione è non meno importante.

Sono e saranno i comportamenti dei singoli, e in particolar modo di coloro che hanno un ruolo di responsabilità o sono comunque ascoltati dall’opinione pubblica, a fare la differenza. Basta dunque con l’utilizzo dei social network come voce ufficiale di un Paese, basta con l’idea dell’uomo solo al comando, basta alle corse a “bruciare” una notizia senza considerare i rischi che questo comporta in una fase come questa. Serve concerto nelle decisioni istituzionali, serve professionalità spinta al massimo sul piano informativo, senza dimenticare la fatica organizzativa e personale alla quale sono oggi sottoposti i giornalisti e i comunicatori di professione.

C’è sufficiente panico oggi nelle case degli italiani. E c’è altrettanta preoccupazione di fronte a decisioni non sempre comprensibili e che hanno durata inevitabilmente vaga.

La proposta: un codice etico pragmatico, unito ad un linguaggio semplice.

Serve dunque un codice etico pragmatico, unito ad un linguaggio semplice. Un appuntamento televisivo settimanale del premier sulle reti televisive pubbliche e private può essere, quello sì, interpretato come messaggio autorevole nella sua forma e nella sua sostanza. Così come un bollettino della Protezione Civile che non si trasformi in un refrain scontato, ma sia occasione anche per dare voce ai singoli rappresentanti regionali o municipali e quindi “coordinandoli” evitando fughe in avanti.

Il lavoro magnifico dei medici, degli operatori sanitari e dei volontari non sarà mai sufficientemente lodato. Per rispetto nei loro confronti, per delicatezza verso chi è coinvolto emotivamente per un congiunto malato o venuto a mancare, informazione e comunicazione devono essere ancor più attente e ponderate. Per uscire da questa emergenza ancora più coesi come Paese e forti come persone.

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