Riflessioni

Comunicazione, il messaggio di Papa Francesco e la scomparsa dei media tradizionali

di Piero De Chiara |

Venerdì scorso, un centinaio di persone si sono riunite dall’ordine e dal sindacato dei giornalisti per discutere della lettera di Papa Francesco sulla comunicazione, pubblicata il 24 gennaio scorso.

Venerdì scorso nel tardo pomeriggio, un centinaio di persone si sono riunite dall’ordine e dal sindacato dei giornalisti per discutere della lettera di Papa Francesco sulla comunicazione, pubblicata il 24 gennaio scorso. Molte donne tra il pubblico e negli interventi.

Il relatore è Antonio Spadaro, direttore di Civiltà cattolica, teologo esperto, appassionato ma anche critico dei social media, che Wikinotizie definì il gesuita 2.0.

Da oltre dieci anni e forse anche nell’evento di venerdì scorso padre Spadaro è più avanti del pubblico a cui si rivolge. Non esistono nuovi media inquinanti e mezzi tradizionali di qualità. I media tradizionali non esistono più. Per lui siamo immersi in un ambiente comunicativo, che è fatto di relazioni deboli, fondate da una parte sulla contrapposizione, dall’altra sulla chiusura in bolle di quelli che la pensano allo stesso modo. In entrambi i casi sparisce l’altro, sparisce la compassione.

Il gesuita non spiega solo la lettera del Papa, la differenza tra social comunity network e comunità di persone. Racconta anche il fuori onda. Francesco che a Panama parla a braccio per criticare anche la comunicazione cattolica, quando scivola nell’invettiva, nello stigma, nella denuncia dell’eresia. Anche dentro la Chiesa la comunicazione è trascesa, dice Spadaro, toccandosi il colletto romano per far capire che lui in questo scontro non è neutrale, sta con il papa.

Tutti pensano al cardinale Viganò e al lavorio in rete per delineare un cattolicesimo diverso da quello di Francesco. Ma molti dei presenti sono più interessati a quello che avviene nella politica e nella società italiana che non nella Chiesa. Allora Spadaro accosta le parole di Papa Francesco a quelle del presidente Sergio Mattarella che hanno bucato il video e la rete l’ultimo dell’anno: pensarsi dentro una comunità coesa e solidale, che ha un futuro comune da costruire insieme.

Dagli interventi si capisce che il pubblico è ancora più critico e allarmato.

La rete sta frantumando la comunicazione e quindi la società.

I media hanno perso rilevanza.

Alcuni giornali inseguono la rete in faziosità, gli altri perdono copie, soldi e rilievo.

Se le imprese private, come è nella loro natura, tentano di coltivare le loro nicchie di consumatori e di inserzionisti, la Rai pagata da tutti per garantire la coesione sociale, non sa neanche dire cosa sia e come si misuri.

Si ricorda il TG di Emilio Rossi e Roberto Morrione, che raccomandava di non lasciare le notizie di cronaca orfane, senza raccontare come nascono e quello che succede dopo.

Persino il TG1, il principale raduno degli italiani che seguono le notizie, si appresta a terminare ogni sera con un lungo commento affidato a una voce che fomenta le contrapposizioni. Non era stata proprio Civiltà cattolica dopo le elezioni americane a mettere in guardia dal suprematismo religioso di Steve Bannon, oggi sempre più attivo in Italia?

La direttrice del TG3, pone a un certo punto una domanda precisa durante il dibattito.

Noi cerchiamo di umanizzare le notizie, ma se parliamo di migranti come persone siamo accusati nella rete e nell’azienda di essere il telegiornale delle ONG, se non degli scafisti, che cosa possiamo fare per capovolgere l’agenda?

Un modo per capovolgere l’agenda, risponde Spadaro, è raccontare storie, tenere insieme fatti ed emozioni. Di fronte a una narrativa prevalente della paura e dell’odio va rifondata una narrativa della comunità e della solidarietà.

Il valore delle notizie risiede nella capacità di creare relazioni, nell’invenzione di nuovi format che integrano broadcasting e networking, nel nesso tra i fatti e i pensieri lunghi. No, non serve cercare le tinte forti; ci si abitua a tutto, anche alle foto dei bambini annegati. Dovremmo poi cercare quelli insanguinati o torturati?

Si è fatto tardi e si è volato alto, non poteva essere diversamente. Ma l’incontro ha dato spunti a tanti capannelli sulle questioni di attualità.

Un gruppetto si chiede se l’argomento per evitare che lo spazio che fu di Enzo Biagi venga affidato a Maria Giovanna Maglie sia solo che non è iscritta all’Ordine o che a suo tempo è stata raccomandata da Bettino Craxi. Qualcun altro si chiede se l’ordine dei giornalisti come è oggi sia in grado di rappresentare l’ambiente comunicativo integrato, proprio quando è più forte la domanda di un presidio deontologico.

Padre Spadaro intanto si informa sull’algoritmo che dovrebbe misurare l’indice di coesione sociale.

Vedremo se, come le notizie, anche questa iniziativa resterà orfana o avrà sviluppi.

A differenza di un altro incontro promosso nel 2014 da Luigi Gubitosi a casa dei gesuiti, almeno stavolta non è stato un tentativo di rilancio del partito cattolico, né tantomeno del partito Rai.