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Come combattere le fake news su Facebook, chi ha ragione tra Murdoch e Zuckerberg?

Se io fossi un editore di un giornale autorevole non pubblicherei le notizie su Facebook gratuitamente. Se il social network le vuole deve pagarle. Sulla piattaforma farei pubblicare ai redattori solo post ‘conversazionali’ e contenuti shareable (infografiche, mappe interattive, ecc…), ossia tutto ciò che crea aspettativa, incuriosisce per poi traghettare gli utenti sul sito del giornale in cui si può leggere per intero le notizie, le inchieste, gli approfondimenti e vedere i video dei giornalisti.

Dunque sono d’accordo con Rupert Murdoch, ceo di News Corp, che ha apertamente detto a Mark Zuckerberg “se vuoi le notizie attendibili sulla piattaforma, che hai fondato, paga allora gli editori autorevoli”. In più Murdoch ha anche proposto il modello di business per combattere le fake news: “un sistema di ‘commissioni di trasmissione’, come quelle che le tv satellitari pagano per offrire i canali televisivi via cavo ai consumatori. I distributori pagano una somma mensile per ciascun abbonato. Questa è una delle principali fonti di reddito e di crescita per i proprietari di canali televisivi”.

 

La ricetta di Murdoch si rifà a un’esperienza di successo già collaudata nel mondo televisivo. E qual è quella, invece, indicata dal fondatore di Facebook annunciata di recente? “Con il nuovo algoritmo saranno gli utenti a indicare le testate credibili”.

E in che modo ingegnoso Facebook interpellerà la community? Con queste due semplici e banali domande, che BuzzFeed è riuscita a pubblicare in anteprima:

“Un portavoce di Facebook ha confermato sia che questa è l’unica versione del sondaggio sia che le domande sono state preparate da un team interno e non da una società esterna”, si legge su BuzzFeed.

Ma così non si combatte efficacemente le bufale online condivise sul social.

La strada da seguire, invece, sono partnership tra Ott ed editori. Uno di questi accordi che sta dando i primi frutti è quello tra Google e la Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg): al primo giro di boa dell’accordo triennale, già 17 editori utilizzano Google Play Edicola per far leggere le notizie agli utenti sui dispositivi mobili iOs e Android e anche su desktop, per un totale di 72 edizioni coinvolte, mentre il 70% ha attivato gli strumenti avanzati che Google mette a disposizione dei titolari dei diritti per la rimozione di contenuti che violano il diritto d’autore. Fieg e Big G hanno anche affidato a Boston Consulting Group il compito di elaborare una valutazione del possibile impatto della partnership, il cui valore, tra riduzione dei costi e possibili fonti aggiuntive di fatturato per gli editori partecipanti, è stato stimato tra i 40 e i 50 milioni di euro in tre anni.

In sostanza come funziona il modello di business di Google Play Edicola?

I lettori ricevono un flusso personalizzato di notizie, che andrà ad affinarsi con l’uso. Possono abbonarsi a editori e argomenti specifici di loro interesse, usufruire di contenuti online o offline, aggiungere articoli ai segnalibri e condividere gli articoli in totale semplicità. L’utilizzo di Google Play Edicola consente agli editori di produrre, monetizzare e distribuire le news.

Per avere su Facebook notizie da testate autorevoli basta stipulare accordi del genere. Ma per il momento non risultato progetti concreti e redditizi per gli editori.

Nel frattempo Murdoch ha ricevuto una risposta non positiva, su un’altra vicenda, da parte dell’Autorità per la concorrenza e il mercato del Regno Unito (Cma): l’acquisizione di Sky da parte di Fox “non è nell’interesse pubblico” britannico perché potrebbe creare problemi “nel pluralismo dei media”.

La 21st Century Fox si è detta “delusa” dalla dichiarazione provvisoria della Cma, ma ha garantito la collaborazione in vista della pubblicazione del report finale, attesa per il primo di maggio.

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