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‘Codice. La vita è digitale’, un bel programma che la Rai non ha valorizzato a dovere

Il più bel programma televisivo dell’estate è stato senz’altro “Codice. La vita è digitale”, in onda su RaiUno il venerdì sera per sei puntate. Nei comunicati della Rai si leggeva, a proposito del programma: “Il digitale sta modificando l’uomo e la società in modo imprevisto. Quello che noi chiamiamo futuro, altrove nei paesi più tecnologicamente avanzati è già presente. La giornalista Barbara Carfagna si reca tra i centri di ricerca e gli startupper più avanzati e visionari all’estero e in Italia per capire come questi cambiamenti stanno modificando il nostro modo di vivere e la nostra identità. Denaro, Lavoro, Città, Intelligenza Artificiale, Digital Humanities, Guerra e Spazio”, e molto altro. Ben progettato e realizzato, ottimamente montato, il programma trasudava entusiasmo e affascinato stupore per le magnifiche sorti e progressive delle innovazioni informatiche e tecnologiche, con particolare riguardo per tutto ciò che profuma di intelligenza artificiale, robotica, e startupperia varia.

Assai curiosamente, nell’era della convergenza tra media tradizionali e nuovi, non si è pensato di costruirvi accanto un apposito sito web, in cui chi era desideroso di approfondire potesse trovare link, riferimenti utili, e soprattutto forum di discussione. Davvero troppo poco invitare con una scritta in sovraimpressione a cercare questo o quello. Unica novità, ancora assai analogica, sono gli spezzoni del programma televisivo e le interviste anche integrali disponibili su Raiplay, e piuttosto alla rinfusa, sul canale Youtube della Rai. Peccato, una grande occasione sprecata. Ma si potrebbe ancora rimediare creando il sito che non c’è, grazie al quale il programma potrebbe avere una seconda vita sulla rete, aprendosi soprattutto alle discussioni.

Il titolo stesso del programma (“Codice. La vita è digitale”) induceva poi in un sostanziale errore, perché –se ne facciano una ragione gli autori – la vita non è affatto digitale. E con tutta probabilità non lo sarà mai.

Era, è, e sarà sempre analogica, come la nostra mente e la nostra intelligenza, che saranno, semmai, sempre più supportate da straordinarie applicazioni digitali, questo è sicuro. Nel programma, il concetto di intelligenza artificiale, pur affrontato da molti lati in diverse interviste, appariva poi nel complesso sempre più simile a quella dell’uomo, il che è solo un’avventata ipotesi. In proposito, il Premio Nobel per la Fisica Richard Feynman aveva detto: “Non mi piace il nome di intelligenza artificiale. E’ possibile che macchine non intelligenti lavorino perfino meglio di quelle intelligenti.”. E a proposito del computer: “Un computer non è altro che un impiegato archivista, di prim’ordine, efficiente e ultrarapido”.

Riflettiamoci per un momento: se noi parliamo, ad esempio, di “latte artificiale”, immediatamente l’aggettivo ci comunica una sensazione di innaturalità, di sgradevole imitazione. Ma se parliamo di “intelligenza artificiale”, ecco che il sostantivo tende a prendere improvvisamente il sopravvento sull’aggettivo, facendoci supporre che prima o poi ci potrà essere un computer capace di sostituirsi in pieno alla mente umana, diventando addirittura cosciente. Come se la mente umana fosse solo un groviglio di neuroni “calcolanti”, per cui appena ci sarà un computer sufficientemente potente e veloce, il gioco sarà fatto, dato che “Se un sistema è complesso, come il cervello umano, allora quel sistema può avere una coscienza simile a quella umana” (questa è la tesi a dir poco aberrante del pur geniale prof. Hiroshi Ishiguro, dell’Università di Osaka, intervistato da Barbara Carfagna).

A parte l’enorme e assai rilevante questione della coscienza di sé, che divide gli umani dagli animali (e dai robot…), la nostra mente, capace di produrre il pensiero in forma ben più che tridimensionale, si contrappone nettamente al manicheismo in cui si trovano forzati i ragionamenti logici condotti dal computer (0-1, SI-NO). C’è chi obietta che i computer quantistici potranno fare molto di più, ma di fatto sta parlando di una potenza di calcolo estremamente superiore. Una enorme catena di deduzioni, poi, esclude categoricamente tutte le complicazioni tipiche della realtà fattuale, della coscienza dell’essere, conducendo a una cesura netta con le componenti astratte e sensoriali.

Il frutto di un simile processo, pertanto, non può che essere irrimediabilmente bidimensionale. Ecco che le straordinarie capacità di calcolo abbinate allo sviluppo della tecnologia non fanno altro che replicare ciò che già esiste, trovando splendide applicazioni  – ma è solo uno dei tanti esempi proposti dal programma – nel supportare o vicariare funzioni del corpo umano in occasione di gravi menomazioni o malattie, come già aveva previsto Feynman.

Ma di fronte ad un bivio, un robot sceglierà di imboccare una delle due strade dopo aver fatto esaminare dal proprio cervello computerizzato anche milioni di scelte, per ripercorrere alla fine quella maggiormente seguita. Quindi una replica di un comportamento già noto.

E il libero arbitrio? E il dubbio? E le sensazioni? E le componenti biochimiche dei processi mnemonici? Dove li mettiamo? E l’intuizione e la creatività capaci di portare a soluzioni che prima non esistevano? In un servizio apparso su Sky si è visto quanto studio e quanto lavoro c’è voluto per far suonare un sassofono ad un robot (sempre in Giappone, eh…) ma con una tecnica talmente elementare e, guarda caso, meccanica, da renderlo semplicemente penoso all’ascolto. Ciononostante è stato mostrato come se si trattasse di una delle sette meraviglie del mondo: ma niente che assomigliasse al suono di Charlie Parker, e nemmeno a quello di Fausto Papetti! L’entusiasmo per le novità spinge tutte le tv a inseguire gli sviluppi di tutto ciò che profuma di innovazione, come ad esempio i Bitcoin o gli Ethereum, che per quanto già ammessi come pagamento nei grandi magazzini giapponesi, secondo alcuni avveduti analisti potrebbero esplodere presto in una grande bolla, come quella di internet del 2000. A proposto della quale Ewan Schwartz, editorialista del primissimo Wired (la mitica bibbia del web) aveva scritto: “Vedo molti investire in attività su Internet con la stessa motivazione con cui i cani si leccano le palle: semplicemente perché ci riescono”. Sappiamo bene che la storia spesso si ripete, soprattutto di fronte ai troppo rapidi entusiasmi.

Sarebbe sciocco e antistorico non riconoscere i benefici di molte innovazioni, sia informatiche che tecnologiche, e in questo la trasmissione di Barbara Carfagna è un illuminante repertorio di tutte le novità esistenti al mondo in tanti campi diversi. Ma un eccellente reportage trasmesso dal Servizio Pubblico non dovrebbe rischiare di indurre nel fare confusione tra intelligenza computazionale e pensiero, tra analogico e digitale. Quanti decenni ci sono voluti per capire che la musica letta da una puntina su un vinile posto su un giradischi è molto più simile a quella naturale di quella riprodotta in modalità digitale? La grande ripresa a livello mondiale dell’industria del vinile sancisce oggi la supremazia del suono analogico su quello digitale. Il perché lo ha spiegato con una semplice dimostrazione visiva il fisico Piermatteo Grieco: “Se proviamo ad ingrandire di molto due onde sinusoidali dello stesso suono, prodotte da un giradischi analogico e da un CD digitale, vedremo che la prima manterrà sempre la sua morbida linearità sequenziale, mentre la seconda si scomporrà sempre di più in tanti piccoli segmenti o scalini, dimostrando anche esteticamente la qualità naturale dell’onda analogica”.

Come ha giustamente sottolineato un addetto ai lavori tra i più in vista nel nostro Paese Francois De Brabant, una vita spesa a prevedere, analizzare e gestire l’innovazione nelle telecomunicazioni: “Subito dopo il big bang del web eravamo veramente digitali…perché digitare anche solo la stringa di un link lo era…Oggi tutto è video, facilmente raggiungibile su qualunque smartphone. E cosa c’è di più analogico e sequenziale di un video?”.

Ecco. In questo senso, possiamo senz’altro affermare che Codice è stato il miglior programma televisivo analogico dell’estate, prodotto dalle migliori menti giornalistiche (fortunatamente analogiche) oggi in circolazione.

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