Lo studio

CO2 e disuguaglianze minano il Pil italiano, c’è da recuperare uno +0,6%

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Considerando il "Pil equilibrato", la dinamica economica del nostro Paese risulterebbe, tra la fine del 2008 e la fine del 2017, migliore di 0,6 punti percentuali, mentre negli ultimi dieci anni il differenziale tra la crescita del Pil dell'Italia e della Germania, negativo per l'Italia di circa il 10%, si ridurrebbe ad un -8,7%.

Se c’è una considerazione positiva che possiamo fare sulle anomalie dei cambiamenti climatici è che molte delle contraddizioni presenti nella nostra società non potranno più essere taciute o fraintese. Oltre al surriscaldamento globale e l’inquinamento di aria, terra e acqua, sono altre le sfide che attendono la società dell’Antropocene: deforestazione, povertà energetica ed idrica, disuguaglianza economica, esclusione sociale e sanitaria, solo per citare le più rilevanti, quelle che ricadranno maggiormente su donne, bambini e anziani.

Ognuno dei fattori appena elencati non peggiora solo la qualità della vita delle persone (che magari era già negativa in precedenza), ma incide in maniera estremamente negativa sull’economia di ogni singolo Paese, sulla sua capacità di crescere in maniera sostenibile e di generare benessere per i propri cittadini.
Prendiamo ad esempio il prodotto interno lordo di una nazione, il celebre Pil.

Il Pil, strumento che misura il valore aggregato di tutti i beni e i servizi finali (cioè destinati al consumo) prodotti sul territorio di un Paese, si è guadagnato ormai da tempo una posizione preminente circa la sua capacità (criticata da un numero crescente di studiosi) di esprimere o simboleggiare il benessere di una collettività nazionale e il suo livello di sviluppo o progresso. Capacità che però può essere migliorata.

Nel nuovo studio di Confcommercio dal titolo “Il Pil equilibrato”, si è cercato di  considerare alcune variabili facilmente quantificabili e valorizzate in modo omogeneo a livello internazionale per arrivare a una definizione migliore del prodotto interno lordo: “Considerando l’incidenza negativa delle emissioni di CO2, degli incidenti sul lavoro e su strada, e della povertà, si arriva a un concetto più preciso e più ricco di Pil che noi chiamiamo il Pil Equilibrato“, ha spiegato in una nota Mariano Bella, alla guida dell’Ufficio Studi di Confcommercio.

Emissioni di CO2, morti sul lavoro e per incidenti sulla rete stradale e autostradale, deforestazione, povertà e disuguaglianze crescenti, sono delle “esternalità negative”, senza le quali “il quadro generale dell’economia nazionale ne esce migliore di quanto non appaia sulla base delle statistiche tradizionali”. Elementi, ha precisato Bella, “che incidono negativamente sulla ricchezza nazionale”, ma che, “come le emissioni di CO2 (il cui costo marginale sociale, per esempio, e considerato equivalente a 57 euro per tonnellata per tutti i Paesi), gli infortuni e l’incidenza della povertà assoluta, sono meno rilevanti in Italia che in altri Paesi europei”, motivo per cui vale assolutamente la pena lavorare per ridurre la loro incidenza nel nostro Paese e per recuperare di competitività, oltre che di giustizia sociale ed economica.

Esternalità negative che già sappiamo avranno un peso enorme sulla nostra economia e qualità della vita se non vi si pone subito un freno. Secondo un recente studio presentato agli Stati Generali della Green economy, a causa delle crescenti anomalie climatiche, il nostro Paese potrebbe perdere circa l’8,5% del Prodotto interno lordo dopo il 2050 .

Tornando al documento di Confcommercio, si legge: “è evidente che produrre un Pil pari a 100, assieme a una certa quantità di emissioni nocive per l’ambiente e per l’uomo, non è la stessa cosa che produrre lo stesso Pil senza alcuna emissione”, ha aggiunto Bella. La principale conclusione dello Studio, infatti, è che “se invece del Pil si considerasse il Pil Equilibrato la dinamica economica del nostro Paese risulterebbe, tra la fine del 2008 e la fine del 2017, migliore di 0,6 punti percentuali in termini reali. Anche nella comparazione internazionale, con il Pil Equilibrato l’Italia ridurrebbe i gap di performance. Se per l’Italia il Pil Equilibrato si è mosso meglio del Pil, per Francia e Germania si è mosso molto peggio (-1,2% e -0,4% rispetto al Pil nel periodo). Sull’arco dei dieci anni il differenziale tra la crescita del Pil dell’Italia e della Germania, negativo per l’Italia di circa il 10%, si ridurrebbe ad un -8,7% con il Pil Equilibrato”.

Soffermandoci, però, su queste valutazioni sembra che il suggerimento sia di togliere queste esternalità negative dal calcolo tradizionale del Pil, adottando la sua versione “equilibrata“. Come dire, togliendo di mezzo il peso eccessivo delle emissioni climalteranti, il dato negativo delle morti sul lavoro e per incidenti stradali, l’indice di povertà e di esclusione sociale ed economica, allora il Pil italiano migliorerebbe e addirittura si ridurrebbe il gap con la Germania (la grande locomotiva d’Europa). Un tipo di lettura che non può essere accettata e che va criticata, perché il Pil non è da tutti riconosciuto come strumento valido capace “davvero” di comprendere e restituire il livello di crescita e benessere di una nazione (basti qui prendere in considerazione il voluminoso studio portato a termine da Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi nel 2009), mentre è impensabile scorporare dal suo calcolo le conseguenze nefaste di storture sistemiche ed effetti collaterali (povertà, disuguaglianze e inquinamento) di un sistema economico che appare sempre più nemico della salute, dell’ambiente e di chi vive sulla soglia di povertà o al di sotto di essa.

Le esternalità negative di cui parla il testo di Confcommercio non vanno escluse da calcoli e valutazioni, ma più che mai approfondite, affrontate e risolte, primo perché ne siamo perfettamente capaci, secondo perché corriamo il pericolo che questi anni Venti del nuovo millennio possano essere ricordati come il tentativo di occultare la realtà che è davanti ai nostri occhi, a conferma di una condizione umana drammatica che il popolare scrittore e saggista indiano Amitav Gosh ha già definito “grande cecità”.