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Cloud nazionale. Dalla montagna dei paroloni sull’innovazione, al topolino del marketing a favore dei Big Tech

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Il blog del team digitale su Medium rincara la dose, togliendo ogni equivoco e confermando tutti quegli aspetti che, dal nostro punto di vista consideriamo nefasti.

A meno di 24 ore dalla intervista della ministra Paola Pisano al Sole24Ore (sulla quale abbiamo commentato con apposito editoriale) il blog del team digitale su Medium rincara la dose, togliendo ogni equivoco e confermando tutti quegli aspetti che, dal nostro punto di vista consideriamo nefasti.

Il contributo (vai all’articolo) è a firma di Paolo De Rosa (CTO del ministero dell’Innovazione), Luca Attias (direttore del Dipartimento per la Trasformazione Digitale), Francesco Paorici (DG di AGID), quasi a voler sottolineare la collegialità della posizione e l’unitarietà degli intenti, dandogli un ruolo rafforzativo rispetto alla uscita della ministra Pisano del giorno prima sul Sole24Ore.

Il titolo parla di Rivoluzione Cloud, ma a ben vedere si tratta di Restaurazione Cloud, mascherata da luoghi comuni ed espressioni piene di riferimenti a innovazione e a efficienza di mercato del tipo un tanto al chilo.

Di cosa parlano i nostri tre moschettieri del digitale?

Innanzitutto distinguono le infrastrutture in:

“Infrastrutture che gestiscono servizi strategici, ovvero un ridotto numero di asset tecnologici (server, connettività, reti, ecc.) che permettono il funzionamento di funzioni essenziali del Paese, come ad esempio la mobilità, l’energia, le telecomunicazioni”.

E in:

“Tutte le altre infrastrutture gestite dalle Pubbliche Amministrazioni, centrali e locali, che gestiscono la stragrande maggioranza dei servizi, erogati al cittadino o interni agli enti. Si tratta di server e reti che permettono il funzionamento di servizi comuni, come ad esempio la posta elettronica dei dipendenti di un ente, il controllo di una zona a traffico limitato in un Comune, una rassegna stampa, la gestione di una retta scolastica e così via.

Quindi aggiungono che:

Le infrastrutture che gestiscono servizi strategici dovranno essere spostate sotto la gestione diretta di un Polo strategico nazionale (Psn). Si tratta di un soggetto giuridico controllato dallo Stato che avrà a disposizione un numero ridotto di data center nazionali, su cui farà convogliare tutte le infrastrutture che oggi gestiscono i servizi strategici delle Pubbliche Amministrazioni centrali. La creazione di questo modello permetterà a un soggetto unico di gestire direttamente le infrastrutture che garantiscono il funzionamento dei servizi cruciali del Paese, garantendo il rispetto dei più elevati standard di sicurezza fisica e informatica, la massima qualità del servizio, l’efficientamento dei consumi e dei costi di gestione.

Mentre:

Tutte le altre infrastrutture che gestiscono i servizi ordinari della Pubblica Amministrazione dovranno essere razionalizzate, attraverso la dismissione dei data center più obsoleti e la migrazione dei servizi sudata center più affidabili, oppure affidandosi a servizi cloud di mercatoattraverso il programma Cloud della PA. Si tratta di un programma che indica a tutte le Pubbliche Amministrazioni centrali e locali quali procedure seguire per gestire in cloud alcuni dei propri servizi, utilizzando servizi qualificati dall’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) in base a criteri che ne certificano l’affidabilità per la gestione di servizi pubblici.”

Richiamano poi il censimento dei data center, segnalando di averne individuati:

35 particolarmente virtuosi, che potranno mettere a disposizione le proprie risorse (spazi e infrastrutture) al Psn, perché rispondono a migliori standard di qualità, efficienza e sicurezza. Questo non significa che gli enti che gestiscono questi data center potranno agire come Psn, ma che potranno decidere di proporre al Psn di utilizzare le proprie risorse(dietro retribuzione) per gestire alcuni dei suoi servizi. Un modo per valorizzare e ottimizzare l’uso delle risorse esistenti, attraverso una vera e propria federazione di enti che gestiscono asset tecnologici virtuosi”.

Parlano poi di voler coinvolgere le amministrazioni che dispongono di Data center classificati nel gruppo A in tavoli di lavoro con l’obiettivo di:

“…aiutare questi ultimi a migrare i propri servizi non strategici verso infrastrutture più efficienti, oppure a fornire le competenze necessarie a scegliere e utilizzare servizi cloud adatti alle proprie esigenze”.

Ma l’obiettivo sostanziale diventa subito chiaro:

“…Per quanto riguarda il processo di migrazione al cloud, non si tratta di un semplice “spostare” un servizio da un data center obsoleto a uno più sicuro o efficiente.

E qui viene il bello, perché viene specificato che:

“Piuttosto è un processo culturale, di valutazione, riprogettazione e ripensamento di alcuni servizi, che possono essere dismessi, “migrati” o semplicemente “esternalizzati” ad aziende che forniscono soluzioni pronte per l’uso”.

Ma non doveva essere un Piano nazionale di Cloud, rispondente all’interesse nazionale?

Non doveva essere un Piano con un perno intorno ad una joint-venture fondata su una partnership pubblico-privato, dove il privato doveva essere di esclusiva emanazione europea?

Tutto falso, evidentemente.

Il riferimento diventa la famigerata lista dei Cloud Service Provider (CSP) costruita da AGID su misura per Amazon, Microsoft & Co.

Per concludere, secondo quanto si evince dalle loro spiegazioni: su alcuni dati, molto importanti e delicati, faremo un bel Polo Strategico Nazionale, così non ne parliamo più.

Mentre per quanto riguarda i dati di oltre 8.000 Comuni e che riguardano quasi 50 milioni di cittadini italiani, allora meglio affidarci a chi sa fare le cose bene e in modo conveniente e in quel caso abbiamo alcune società americane di Big Tech che farebbero proprio al caso nostro….

E la strategicità dei dati dei cittadini, tanto evocata?

E l’esigenza di proteggerli con espliciti riferimenti alla relazione Copasir?

Tutta roba di facciata, evidentemente.

Ci pare francamente un gioco pesante e per il quale continuiamo a chiederci se la ministra Paola Pisano stia agendo di concerto con i ministeri coinvolti, innanzitutto il MEF, se abbia informato il governo o se si stia muovendo in totale autonomia come una novella Mary Poppins dell’innovazione?