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Clima, Europa divisa, l’Italia frena. “No” a nuovi target alla COP30. Scadenze ONU mancate

L’Europa non riuscirà a rispettare la scadenza globale per la definizione di nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni, né presenterà target più ambiziosi alla COP30 di novembre. La causa dell’impasse dell’Unione sui target stabiliti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, è da attribuire essenzialmente alle divisioni interne, che vedono i diversi Paesi disallineati sulle strategie da adottare.

La conferma di quanto avevamo già scritto in passato è arrivata dai ministri del Clima dell’UE, riuniti a Bruxelles per il Consiglio Ambiente.

Intanto, a differenza del Vecchio Continente, le grandi potenze inquinanti — tra cui la Cina — sembrano intenzionate a rispettare la scadenza.

Compromessi i negoziati per gli obiettivi al 2035

Per dare seguito all’invito dell’ONU a presentare piani climatici aggiornati all’Assemblea Generale della prossima settimana, al fine di rinforzare la sfida globale al cambiamento climatico, l’UE aveva pianificato di concordare questo mese nuovi obiettivi climatici sia per il 2040 che per il 2035. Tale slancio, però, è stato frenato sia dal ritiro degli impegni climatici statunitensi sotto la presidenza di Donald Trump, sia dalle difficoltà dei governi nel bilanciare la tutela ambientale con le sfide economiche e geopolitiche del momento. La conseguenza è stata che Paesi come Germania, Francia e Polonia, hanno chiesto di discutere prima l’obiettivo del 2040, compromettendo inevitabilmente anche i negoziati sull’obiettivo del 2035.

L’UE ha sempre preso queste decisioni dopo intensi dibattiti. Non è mai stato un tema facile. Dobbiamo fare attenzione a non dividere ulteriormente l’Unione sulle politiche climatiche”, ha dichiarato il sottosegretario tedesco al clima Jochen Flasbarth, sottolineando che questo vale soprattutto per i Paesi più poveri dell’ Est Europa.

Dal canto suo, il commissario europeo per il clima, Wopke Hoekstra, ha difeso il percorso intrapreso dal blocco, affermando: “Se si guarda al quadro complessivo, si può vedere che continuiamo a essere tra i più ambiziosi a livello globale”.

La situazione italiana

A frenare sugli obiettivi climatici è anche l’Italia. Le parole del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, non lasciano spazio a dubbi:

Con pragmatismo abbiamo cercato di portare il nostro contributo con richieste che consentano all’Unione europea di diventare avanguardia tra le economie internazionali. La grave crisi internazionale che stiamo vivendo ci impone realismo e concretezza: dobbiamo rispondere ai cittadini con azioni comuni che non mettano in discussione gli impegni assunti negli ultimi anni, ma che guardino al futuro con una programmazione economica seria” ha dichiarato durante il proprio intervento.

Il ministro ha ribadito il sostegno dell’Italia al principio di neutralità tecnologica — “Non accetteremo esclusioni non basate sulla scienza” — sottolineando che tutte le tecnologie capaci di ridurre le emissioni devono essere prese in considerazione: rinnovabili, nucleare, stoccaggio, CCS, CCU, geotermia, idroelettrico, biocarburanti sostenibili e nuove soluzioni innovative. Al centro delle proposte italiane resta, quindi, il tema delle condizioni abilitanti.

Non possiamo chiedere alle imprese di competere a livello globale con regole più rigide senza adeguati strumenti finanziari, né ai cittadini di sostenere il costo della transizione senza garanzie sull’accessibilità energetica. Senza un sistema europeo coerente e protezioni efficaci, la transizione rischia di alimentare disuguaglianze e divisioni, invece di rafforzare l’Unione” ha chiosato il Ministro.

Fratin ha infine avvertito che chiudere la porta a intere filiere produttive significherebbe condannare l’Europa a rincorrere gli altri attori globali, perdendo competitività e leadership.

Il tema dei crediti internazionali

Il Ministro dell’Ambiente ha poi affrontato un tema delicato: quello dei crediti internazionali.

“Riteniamo che rappresentino un’opportunità per cooperare in un contesto globale, attirando investimenti anche in settori che faticano a svilupparsi” ha spiegato Fratin.

Sul fronte degli assorbimenti naturali, il ministro ha espresso le stesse preoccupazioni di molti Stati membri rispetto all’incertezza del settore LULUCF: “Una volta compensate le emissioni, tutti i vincoli rigidi devono cadere. Bloccare la piena contabilizzazione degli assorbimenti non ha senso né sul piano politico né su quello scientifico”.

Fratin ha aggiunto che lo stesso principio dovrebbe valere anche per le rimozioni tecnologiche: limitarne l’uso ai soli settori hard to abate sarebbe, a suo avviso, un’imposizione ingiustificata. L’Italia, insieme alla Repubblica Ceca, si colloca infatti tra i Paesi che si oppongono alla proposta della Commissione di fissare al 2040 un obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni nette di gas serra. Tra le richieste italiane figura inoltre l’allentamento di alcune misure già in vigore, come il divieto di produrre nuovi veicoli a combustione interna dal 2035.

“Ogni Stato deve poter scegliere liberamente come utilizzare gli strumenti a disposizione, secondo le proprie priorità nazionali. Solo così potremo garantire un quadro efficace, flessibile e pragmatico” ha ribadito il ministro.

E ha concluso con un monito: “La credibilità delle nostre decisioni passa dalla chiarezza delle scelte che offriamo a cittadini e imprese. È questo il momento di decidere se costruire un’Europa capace di guidare la transizione, oppure un’Europa destinata a restare intrappolata tra obiettivi irraggiungibili e divisioni interne”.

Le divisioni tra i Paesi UE

Come soluzione temporanea, i ministri dell’UE pubblicheranno a breve una “dichiarazione di intenti” volta a delineare un obiettivo climatico comunitario in grado di ottenere consenso unanime.
Secondo una bozza già circolata, l’UE proverà a fissare un target di riduzione delle emissioni compreso tra il 66,3% e il 72,5% entro il 2035. Il documento precisa inoltre che l’Unione intende comunque presentare un obiettivo definitivo entro la COP30 di novembre, quando quasi 200 Paesi negozieranno i prossimi passi per affrontare il riscaldamento globale.

“Stiamo vivendo un momento difficile. C’è una guerra nel nostro continente… mentre si lavora per raggiungere obiettivi climatici ambiziosi, bisogna anche preoccuparsi della base industriale”, ha dichiarato il ministro danese del Clima Lars Aagaard.

Altri governi, come Spagna e Danimarca, spingono invece per un’azione climatica più decisa, richiamando le gravi ondate di calore e gli incendi che ogni estate devastano l’Europa, oltre alla necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili importati.

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