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Clima estremo: l’export italiano rischia danni per 270 miliardi. Accelerare la transizione ecologica

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I rischi per le imprese collegati ai cambiamenti climatici aumenteranno notevolmente entro la fine del secolo, passando dall’attuale 27% al possibile 42%. In particolare, triplica il dato della variabile temperatura e quindi delle ondate di calore. È il momento di agire e la COP26 è la grande occasione.

Tutti sappiamo che i cambiamenti climatici, o meglio, le anomalie climatiche e la conseguente estremizzazione dei fenomeni atmosferici, potrebbero comportare enormi disagi da un punto di vista non solo sociale e sanitario, ma anche per l’economia e le imprese.

Le aziende italiane e del resto del mondo devono fare i conti con questo tipo di fenomeni se vogliono portare avanti il loro business, inserendoli come variabili causali all’interno dei piani aziendali. Una soluzione valida anche per stimare e valutare i possibili danni derivanti dalle anomalie climatiche in corso.

Clima e rischi per l’export italiano

Secondo uno studio pubblicato da Sace, società del Gruppo Cassa depositi e prestiti (Cdp), specializzata nel sostegno alle imprese italiane, in particolare le piccole e medie imprese, che vogliono crescere nel mercato globale, l’impatto negativo potenziale del climate change sul business potrebbe crescere notevolmente nei prossimi anni.

Le stime sono di possibili danni per 270 miliardi di euro all’export italiano entro il 2050, con un aumento drastico del +54% rispetto alle valutazioni precedenti eseguite nel 2019 (quando il danno era stimato attorno ai 175 miliardi).

Il documento, giunto alla 15esima edizione, stavolta realizzata in collaborazione con la Fondazione Enel, tratta di tre nuovi argomenti legati al Piano europeo NextGenerationEU: sostenibilità, ambiente e benessere.

L’indice di rischio per i Paesi ad economia avanzata è passato dal+ 27 al +40% per il 2050, con stime di un +42% entro la fine del secolo.

Il driver di questo peggioramento dell’indice è la temperature, che è vista come il rischio più grande, con un aumento del 52% per il 2050 e del 64% entro il 2100.

I rischi maggiori per le imprese

Per ogni Stato membro dell’Unione, si legge in un articolo di Alessandra Puato per l’Economia del Corriere della Sera, è stato creato un indicatore di rischio che riguarda il cambiamento estremo del clima nei prossimi decenni.

Tra i rischi che le nostre imprese devono già oggi prendere in considerazione per le proprie strategie di export e che in futuro potrebbero aumentare, a causa di fenomeni più frequenti ed intensi su scala globale ed europea, ci sono certamente le inondazioni, l’aumento delle temperature medie, la siccità, le ondate di calore, la scarsità di risorse idriche, la discontinuità delle forniture energetiche, tempeste in grado di danneggiare seriamente le infrastrutture critiche di una regione.

Avanti con i piani di transizione ecologica

Fondamentale, in questo quadro generale, diventa l’accelerazione della transizione ecologica ed energetica e il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di diossido di carbonio (CO2) del -55% entro il 2030 a livello europeo e la condizione di neutralità climatica entro il 2050.

Altro elemento chiave per potenziare la resilienza economica delle imprese è certamente sostenere e supportare il prossimo COP26, dove saranno rese note le nuove stime relative ai cambiamenti climatici in corso e i danni attesi per i prossimi anni, in termini sanitari, sociali, umani, ambientali ed economici, se non si interverrà subito nel tentativo di per sé già difficile di contenerli e depotenziarli.

I negoziati sul clima, dopo la parentesi Covid, saranno ripresi in occasione della 26a Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (COP26), che si terrà presso lo Scottish Exhibition Centre (SEC) di Glasgow, dal 9 al 20 novembre 2020.