Digitale cattivo

Cittadini Attivi. Roma, 21 maggio 2044

di Leandro Gelasi |

"No, c'era voluto il botto, perché tutti capissero che quello stesso "digitale" che poteva far rinascere un Paese moralmente compromesso poteva fare danni immensi se gestito da dilettanti o peggio da banditi all'assalto della solita diligenza carica di denaro pubblico".

Un gruppo attivo di cittadini che propone un modo diverso di raccontare la trasformazione della Pubblica Amministrazione. Sono le donne e gli uomini che hanno dato vita alla rubrica “Cittadini Attivi” su Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Ok. E’ ora di andare, ultimo giro, ultima corsa, ultimo giorno di lavoro.

Oggi vado in pensione. La V-mail dell’INPS mi conferma che è tutto in ordine (non male, non ho dovuto nemmeno fare la domanda), quindi finalmente si cambia vita.

Rileggo i messaggi di saluto di quelli che considererò sempre i miei capi, che a ottant’anni continuano a formare le giovani generazioni e i dirigenti di domani e ripenso alla tanta strada fatta insieme, a quanto impegno e quanta dedizione ci sono voluti per arrivare qui.

Ieri alla festa c’erano tutti, vecchie cariatidi tornate per salutarmi e tanti colleghi nuovi, che non riescono a concepire quanto sia cambiata la Pubblica Amministrazione. Perché l’Amministrazione non è più quella di trent’anni fa e nemmeno l’Italia. Ci siamo riusciti, l’abbiamo fatto davvero, il ciclo virtuoso DIGITALE –> ETICA –> CRESCITA ha innescato il miracolo. Una PA finalmente snella, efficace, non autoreferenziale ha fatto da volano al Paese, che ha ritrovato il suo ruolo di guida, in Europa e nel mondo.

Sarebbe bello se si fosse trattato di un processo di normale evoluzione, che il lavoro dei Cittadini Attivi, dal 2008 in avanti, avesse avuto successo. Non dovrei ripensarci, voglio godermela, questa pensione, però…

Perché purtroppo non è andata così. Articoli, convegni, spettacoli non scalfirono se non in minima parte una corazza micidiale di corruzione, parassitismo e menefreghismo.

No, c’era voluto il botto, perché tutti capissero che quello stesso “digitale” che poteva far rinascere un Paese moralmente compromesso poteva fare danni immensi se gestito da dilettanti o peggio da banditi all’assalto della solita diligenza carica di denaro pubblico.

Il “cattivo digitale“, che denunciavamo da anni, mostrò la sua faccia più terribile a Roma, in una splendida mattina di settembre (già, anche l’11 settembre 2001 a New York c’era il sole). Un “modernissimo” impianto di distribuzione dell’ossigeno, in un ospedale appena ristrutturato “secondo i migliori standard tecnologici”, come scritto sul comunicato stampa. E un terrorista, di quelli a cui non piaceva farsi saltare per aria, che non dovette nemmeno sporcarsi le mani, visto che il sistema di controllo di quell’impianto era esposto su Internet, protetto solo da una password che un dodicenne avrebbe indovinato al terzo tentativo.

Interi reparti in fiamme, pazienti soffocati nei loro letti, neonati prematuri uccisi nelle incubatrici. Cinquecento morti, millecinquecento feriti. Me le ricordo ancora quelle cinquecento bare allineate al Circo Massimo, ché non c’era posto abbastanza grande da contenerle tutte, il Papa che le benediceva e sembrava invecchiato di vent’anni, le urla, la rabbia, le lacrime.

Furono quelle lacrime a causare la rivoluzione, a far sì che ad occuparsi di Innovazione fossero chiamate le forze migliori del Paese e non i soliti noti capaci di innovare solo a chiacchiere. L’Italia smise di scherzare e di parlarsi addosso, d’altronde non c’era alternativa, o la rivoluzione sarebbe stata di altro tipo.

Venticinque anni. Ci vollero venticinque anni, ma l’Italia riuscì a rialzarsi e a rinascere, alla faccia dei disfattisti da salotto, quelli stessi che, giusto ieri, in TV, dicevano che creare la prima cupola Europea su Marte è una follia.

Ripenso agli anni trascorsi, insieme a quelli che non avevano smesso di crederci, a smontare pezzo dopo pezzo altari e altarini che si pensavano intoccabili. Sorrido, la pensione penso di essermela meritata. Chiudo il tablet (sono uno dei pochi a chiamarlo ancora così), 3 Terabyte di RAM, connesso ad Internet a 20 Giga al secondo (tanti oggi la chiamano HyperNet, ma io ho cominciato con un modem a 33.6 e sono nostalgico) e passo a salutare i colleghi. Comincio dagli ultimi arrivati, ai miei occhi ragazzini, ma in realtà veri geni che siamo riusciti a strappare alla Silicon Valley, che hanno considerato un onore lavorare per il Paese.

Esco dall’edificio, e per l’ultima volta il sistema di riconoscimento facciale traccia la fine del mio orario di lavoro (ci sono cose che non cambiano mai). Ma, mentre aspetto che la mia berlina a guida autonoma venga a prendermi, mi tornano in mente quelle bare e mi chiedo: dovevamo davvero arrivare a tanto?