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Cittadini Attivi. Lo stress della conservazione digitale

Quando siamo davanti a un problema, le alternative possibili sono ignorarlo o tentare di risolverlo da soli. La prima porta di solito a un fallimento o a una ripetizione inevitabile. Questo genera comunque un profondo – e talvolta silente – senso di frustrazione. La seconda, invece, induce a far scattare una molla sensoriale che lo scompone secondo una logica di soluzione incrementale. Un’ulteriore ipotesi è condividerlo con gli altri (condividerlo, non scaricarlo).

Chiedere aiuto è un atto di forza interiore di notevole spessore, non di rado scambiato per debolezza. Interiorizzare di non essere in grado di affrontare qualcosa con le proprie capacità tecniche, umane o esperienziali, infatti, richiede allenamento, lucidità e franchezza d’animo con il più importante giudice della vita, noi stessi. Per questo, davanti a un’incapacità, il nostro cervello reagisce producendo stress, a volte impercettibile nelle sue innumerevoli manifestazioni, ma percepibile quando il grado aumenta fino a divenire esso stesso un problema.

Il confronto primario, dunque, è con se stessi.

Dal momento che il mondo esiste soprattutto come insieme di relazioni, è opportuno utilizzarle per evitare o per imparare a gestire lo stress. Chi sopravvive non lo fa da eremita, ma da persona in grado di costruire relazioni. Non a caso, siamo le persone che abbiamo incontrato (Dalai Lama).

Ora, la conservazione digitale genera stress soltanto a nominarla. Anch’essa, del resto, è rappresentabile come un insieme infinito di relazioni in movimento continuo tra oggetti, strumenti, ruoli. Ogni volta che mi scrive o mi contatta qualcuno presentandosi come il “Responsabile della conservazione” accompagna quelle parole con un lessico luttuoso, con frasi quasi di circostanza funebre, oppure con un laconico “Purtroppo sono stato nominato”. Condoglianze.

Analogo discorso potrebbe essere fatto per il Responsabile o per il Coordinatore della gestione documentale, attesa la ben nota solitudine del protocollista.

La consapevolezza della responsabilità, unita al senso di inadeguatezza del poco noto, dell’inesplorato, sia a livello empirico che normativo, non può che generare stress, soprattutto se affrontato nella solitudine.

I nostri manager, dunque, non vanno lasciati soli.

Certo, esiste un process owner, ma se pensassi di risolvere il problema on my own sarei un folle. Follia organizzativa e sociale: merito l’isolamento relazionale.

Di tutto questo, ormai da diversi anni, è fortunatamente consapevole anche il legislatore italiano. Infatti, il problema della conservazione affidabile della memoria digitale delle amministrazioni pubbliche non è affidata a una sola figura professionale, ma a una squadra che porta con sé professionalità distinte, intersecabili e integrabili. Leggiamo insieme l’art. 44, comma 1-bis, del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (come novellato dall’art. 36 del D.Lgs. 179/2016):

«Il sistema di gestione e conservazione dei documenti informatici è gestito da un responsabile che opera d’intesa con il dirigente dell’ufficio di cui all’articolo 17 del presente Codice, il responsabile del trattamento dei dati personali di cui all’articolo 29 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, ove nominato, e con il responsabile del sistema della conservazione dei documenti informatici, nella definizione e gestione delle attività di rispettiva competenza. Almeno una volta all’anno il responsabile della gestione dei documenti informatici provvede a trasmettere al sistema di conservazione i fascicoli e le serie documentarie anche relative a procedimenti conclusi».

Ciò significa che la legge ordina alle organizzazioni di costituire un team per affrontare i nodi della conservazione digitale o, quantomeno, di lavorare in modo coordinato. Tuttavia, deve essere chiaro che un gruppo di lavoro, finalizzato al raggiungimento di un obiettivo concreto e misurabile, non è rappresentabile come una sorta di silos verticali, chiusi in forma implosa. Ciascuno di noi, infatti, è portatore di una propria identità, sintesi del vissuto e del temperamento, il tutto unito a un bagaglio di esperienze personali e professionali.

Al contrario, il lavoro di gruppo presuppone come logica imprescindibile la rinuncia del proprio individualismo e l’eclissi di un po’ di sé. In una parola, risultano necessarie la permeabilità e la predisposizione all’apprendimento, al cambiamento e, soprattutto, all’ascolto. In linea strategica, serve soprattutto la capacità di ottenere e di costruire relazioni autentiche. Queste – inevitabilmente – portano benessere e anche stress a seconda di fattori interni ed esterni che si generano sul e nel team.

Lo stress, tuttavia, per essere inefficace, deve essere gestito, perché altrimenti rischia di inquinare le relazioni, la performance e lo stesso risultato. Se si agisce con onestà intellettuale e con spirito di collaborazione, uno dei fattori più importanti di successo è l’arricchimento reciproco, umano e professionale, governato da un’osmosi trasversale.

Un archivista, un informatico, un giurista sono allenati a lavorare in gruppo e a gestire lo stress? Probabilmente no. Si tratta di tecniche altamente professionali, che richiedono arte e preparazione. Per queste ragioni, prima di iniziare a lavorare insieme, è opportuno che queste figure professionali imparino ad aumentare o a riconoscere la leadership (e la e-leadership), ad affinare la resilienza, anche sotto il profilo motivazionale.

Ne parleremo prossimamente nella community di Procedamus (www.procedamus.it) con uno dei massimi esperti di resilienza (Pietro Trabucchiwww.pietrotrabucchi.it) e con uno dei massimi esperti di informatica giuridica (Donato Limone). Ciò avverrà in un connubio interdisciplinare dosato con accuratezza e prudenza per dialogare in forma multidisciplinare sullo stress della conservazione digitale. C’è molto umanesimo manageriale nella conservazione digitale, certamente più di quanto una lettura distratta sarebbe portata a dedurre. Tale formazione avviene all’interno della cornice normativa della recentissima modifica all’art. 13 del Codice dell’amministrazione digitale sulla formazione informatica dei dipendenti pubblici.

In conclusione, per affrontare la sfida del digitale occorre ragionare con le logiche – altamente professionali – dell’essere (non di fare) team, dell’essere resiliente, dell’essere capace di resistere allo stress di fronte a un problema complesso.

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