L'emergenza

Cittadini Attivi. L’Italia e l’emergenza digitale: gli effetti negativi sulla sanità

di Luca Attias, Michele Melchionda e Alessandro Ruggiero |

Una nazione 'in stato di guerra': quei 45 mila morti in più nel 2015 a che cosa sono dovuti? 'Siamo matematicamente certi che nessuno accennerà mai a fenomeni quali la corruzione, l’imperante malcostume nella gestione della sanità, o la sua pessima digitalizzazione'.

Un gruppo attivo di cittadini che propone un modo diverso di raccontare la trasformazione della Pubblica Amministrazione. Sono le donne e gli uomini che hanno dato vita alla rubrica “Cittadini Attivi” su Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Sebbene l’esser considerati dei provocatori sia cosa ormai nota, quando ci siamo chiesti se valesse la pena scrivere un articolo, che desse adito a far nascere domande, anziché dare risposte, sul perché l’Italia si stesse trovando, sotto alcuni aspetti, in una condizione da “nazione in stato di guerra”, ci siamo guardati in faccia e ci siamo domandati: non staremo forse esagerando? Va da sé che la risposta è stata unanimemente positiva e, proprio per tale motivo, abbiamo deciso di scrivere questo pezzo come contributo d’esordio per questa nostra rubrica.

Ma procediamo con ordine.

In occasione degli auguri al nostro edicolante, per l’esattezza il 23 dicembre scorso, abbiamo acquistato una copia cartacea de “la Repubblica”, sulla cui prima pagina campeggiava un articolo dal sibillino titolo: «Il mistero del 2015 “Quei 45mila scomparsi come in una guerra”». In esso, uno studio effettuato da esperti del settore informava che, durante il corso del 2015, in Italia, il numero dei morti era salito, in termini statistici, dell’11,3%. In un anno ciò avrebbe significato 67mila decessi in più rispetto al 2014, di cui 45mila fino allo scorso agosto. Un incremento del genere, si commentava nell’articolo, non si registrava da decenni, rappresentando, pertanto, una vera e propria anomalia.

Il professor Gian Carlo Blangiardo scrive sul sito di demografia Neodemos: “Il numero è impressionante. Ma ciò che lo rende del tutto anomalo è il fatto che per trovare un’analoga impennata della mortalità, con ordini di grandezza comparabili, si deve tornare indietro sino al 1943 e, prima ancora, occorre risalire agli anni tra il 1915 e il 1918. Certo, si tratta di dati provvisori, ma negli anni scorsi l’Istat ha sempre confermato alla fine dell’anno i numeri pubblicati mensilmente. Magari ci saranno correzioni, ma nell’ordine di alcune centinaia di casi. L’unità di grandezza che ci aspetta è quella”.

Marco Marsili, demografo Istat, asserisce che: “Non si possono ancora avere certezze. Sappiamo solo che in quel periodo di tempo c’è stato un aumento delle morti consistente, dell’11%. Ma non siamo in grado di fare analisi approfondite, né riguardo all’età delle persone coinvolte e nemmeno, soprattutto, alla causa dei decessi. Ci vorrà molto tempo per avere numeri scientificamente certi, anche due anni”.

Come già anticipato dal professor Blangiardo, i dati numerici presentati nel suddetto articolo sono parziali; si ignora, ad esempio, se vi siano picchi regionali, o se si tratti di un dato equi distribuito su tutto il territorio italiano. Inoltre, bisognerà capire quale sia stato l’andamento dei decessi negli altri Paesi europei, per avere un termine di paragone quanto mai necessario. Per di più, sarebbe auspicabile effettuare alcune ulteriori verifiche anche in merito al dimensionamento del fattore immigrazione.

Pertanto, al momento, si possono solo formulare ipotesi fondate su dati mensili grezzi, non aggregati, eccezion fatta per le recenti valutazioni messe a disposizione dall’istat.

E’ fondamentale premettere che noi non abbiamo alcuna certezza di quale sia, in questo ambito, il principio di causa ed effetto, anzi, sottolineiamo che è nostra ferma opinione che sarà praticamente impossibile arrivare a stabilirlo con esattezza in tempi brevi. Dal canto nostro, pur non possedendo informazioni pienamente esaustive, da provocatori quali siamo, intendiamo sollevare alcune questioni rilevanti e fornire una personale chiave di lettura dei numeri, che non troverete da nessun’altra parte e che sarà indipendente da interpretazioni scientifiche più o meno valide.

45mila morti, dicevamo. Siamo certi che sull’origine di questo preoccupante numero stiano già lavorando interlocutori più credibili ed autorevoli di noi, che hanno a disposizione dati che, per ovvi motivi, noi non possiamo avere. Ma, d’altronde, ci sono fondate possibilità che di tutto ciò non si parli proprio più, eh già, perché capita sovente che notizie di vitale importanza per il futuro del nostro Paese non vengano più approfondite da nessuno, men che meno dalle testate giornalistiche che, dopo la vampa iniziale, perdono interesse, e una determinata questione viene semplicemente dimenticata. Nel nostro piccolo, noi non seguiremo questo modus operandi.

In merito ai tanti decessi, si è parlato d’inquinamento, di età media molto avanzata, di effetto Chernobyl, di immigrazione, di picco probabilistico, di influenza mortale dovuta al crollo del numero delle vaccinazioni, di tagli al sistema sanitario, ecc., ecc. Alcuni hanno strumentalizzato la cosa per farne una questione politica. Altri hanno ostentato sicurezza nel dichiarare di conoscere con precisione le cause di tutto ciò, pur senza esprimere nulla. Altri ancora hanno solo alzato un polverone, tanto per “buttarla in caciara”, come da italica consuetudine, piuttosto che cercare di comprendere in modo profondo cosa stia realmente accadendo. Insomma, un déjà-vu trito e ritrito. Infine, è giunta la recente ed autorevole interpretazione dell’ISTAT, la quale ha affermato che l’aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto avanzata ed è pertanto dovuto, in parte, ad effetti strutturali connessi all’invecchiamento e, in parte, al posticipo delle morti non avvenute nel precedente biennio. Comunque andranno le cose, siamo matematicamente certi che nessuno, sottolineiamo nessuno, accennerà mai, neanche minimamente, a fenomeni quali la corruzione, o all’imperante malcostume nella gestione della sanità italiana, o alla sua pessima digitalizzazione.

Come abbiamo più volte sottolineato l’individualismo e la parcellizzazione, che purtroppo caratterizzano questo Paese più di qualsiasi altro, hanno mostrato i loro più devastanti effetti proprio nel settore digitale, ovvero laddove governance, cooperazione, interoperabilità, trasparenza ed equità avrebbero dovuto trovare la loro massima espressione. Invece, frammentazione e spreco, che sono gli effetti collaterali diretti dell’individualismo e della parcellizzazione, son divenuti i padroni del campo. Anche per questo, negli scorsi mesi abbiamo coniato la locuzione “emergenza digitale”.

In un nostro precedente articolo, pubblicato per “il Documento Digitale”, scrivevamo: “È fin troppo evidente: in Italia viviamo in un contesto di emergenze continue, soffocanti e persistenti. Ne abbiamo collezionate tante da poterne fare una vera e propria catalogazione: emergenza occupazione, emergenza emigrazione, immigrazione, ne abbiamo una sul terrorismo, un’altra sulla criminalità organizzata, e poi ancora: emergenza corruzione, evasione fiscale, giustizia, istruzione, sanità, previdenza sociale. E chissà quante altre. Sebbene siamo tutti consapevoli delle innumerevoli emergenze che attanagliano la nostra vita, purtroppo, quasi nessuno invece lo è sul fatto che dovremmo considerare come tale anche un altro tema, trasversale a tutti gli altri problemi: la digitalizzazione. Siamo difatti dell’opinione che, se non poniamo la questione digitale nell’elenco delle “cose da fare con urgenza”, e se non la affrontiamo in modo serio e strutturale, nessuno dei problemi sopra elencati potrà essere risolto, neanche in minima parte. Conseguentemente le nostre emergenze saranno destinate a rimanere tali, ovvero ad ingigantirsi irrimediabilmente”.

Alcuni mesi fa, nel tentativo di provocare la reazione di un gruppo di impassibili giornalisti, abbiamo espresso una forte asserzione, sostenendo che, a causa della dispendiosa ed inefficace digitalizzazione della sanità italiana, ci sono persone che muoiono. Voleva essere solo un’ennesima provocazione? Sebbene questo sia un teorema difficile da dimostrare in termini scientifici, ancor oggi rimaniamo fermamente convinti che, nella realtà dei fatti, la situazione sia davvero in questi termini.

Del resto, in ambito europeo, non possiamo pensare di essere uno dei Paesi più corrotti, nonché uno dei Paesi con la peggiore digitalizzazione e, al contempo, sperare di passarla liscia.

Al quadro fin qui descritto, si aggiunge anche la questione morale ed etica, vero cancro di questo nostro Paese. La mancata applicazione di sani principi etici e morali provoca danni inestimabili, soprattutto in alcuni ambiti specifici, come sanità, scuola, giustizia e tutela dell’ambiente. Troviamo scioccante, nella speranza di essere smentiti, che nessuno abbia neppure ipotizzato che, forse, la corruzione può rappresentare una delle cause di questo pasticciaccio brutto dei 45mila morti. Ma non finisce qui, perché alla corruzione poi, vanno a sommarsi gli effetti dell’assenza di meritocrazia, della cultura della raccomandazione, del familismo e del clientelismo; tutti figli dello stesso padre. Anche nella sanità, così come in tutti gli altri ambiti pubblici, a far carriera non sono i meritevoli, ma i meglio raccomandati, i più traffichini e i figli di genitori influenti.

Qualcuno potrà obiettare che malcostume e malaffare siano fattori presenti da sempre nel nostro tessuto sociale e che, in quanto valori costanti, non possono essere causa di un dato anomalo tanto evidente come un esubero di 45mila decessi. Invece, è nostra precipua opinione che dagli inizi degli anni ’90 dello scorso secolo, in Italia, l’individualismo sia oggettivamente cresciuto, sia in termini di incisività, che di diffusione, trasformando una corruzione “centralizzata” e più facilmente individuabile, in un fenomeno distribuito in modo capillare, pertanto di più difficile identificazione e controllo.

In tale ambito si innestano, nuovamente, le nostre considerazioni in merito al fallimento della digitalizzazione del nostro Paese, perché, se la distanza tra l’Italia digitale e gli altri Paesi non esisteva ancora in quegli inizi degli anni ’90 del Novecento e, anzi, l’Italia era all’avanguardia dal punto di vista digitale, oggi, al contrario, questa giace sul fondo di tutti i ranking proposti dalle maggiori Organizzazioni internazionali.

Per tutte le motivazioni fin qui addotte, noi consideriamo la miscela composta da malcostume, corruzione e scarsa digitalizzazione, almeno, come una delle possibili concause di tutti questi morti.

Cosa vogliamo aggiungere, ancora, al patetico scenario fin qui descritto? Vogliamo forse accennare agli innumerevoli tentativi di combattere la corruzione solo sulla base della formulazione di nuove norme, in un Paese il cui ambito normativo è già di per sé ipertrofico? Vogliamo forse raccontare come questi tentativi si siano dimostrati fallimentari ed abbiano creato un maggiore ispessimento dello strato burocratico che, a sua volta, ha contribuito ad aumentare le inefficienze preesistenti e ad ampliare ulteriormente il già profondo gap con gli altri Paesi? Vogliamo forse descrivere come tutto ciò si sia concretizzato in un infinito e doloroso deadlock? E ancora, vogliamo forse accennare al fatto che la spesa riguardante la digitalizzazione della sanità è stata negli anni, e ancor lo è, un devastante buco nero per quasi tutte le regioni italiane? Vogliamo forse sottolineare il fatto che non è il valore assoluto di tale spesa a destare perplessità, piuttosto la sua qualità a provocare indignazione, preoccupazione e, molto probabilmente, morti? Vogliamo forse ribadire che noi tutti avremmo volentieri speso anche molto di più, se l’obiettivo concreto fosse stato quello di salvare vite umane? No, decisamente no. Non vogliamo aggiungere nulla di tutto ciò, sarebbe come “sparare sul pianista”, anzi, in tema di sanità, sulla Croce Rossa.

Bene, comprenderete ora che il dato specifico, in merito ai 45mila decessi, sia divenuto quasi irrilevante. Ciò che intendiamo dire è che l’articolo de “la Repubblica” ci ha fornito solo un ottimo pretesto per lanciare la nostra provocazione, ma noi riteniamo di aver ampiamente dimostrato come quest’ultima rappresenti una realtà oggettiva in termini assoluti e, come tale, totalmente indipendente dal fenomeno delle morti in eccesso. Detto in altri termini, nel settore della sanità italiana, ciò che è successo, e sta ancora accadendo, a causa del fattore corruttivo, e a causa di un processo di digitalizzazione inadeguato, non poteva che condurre a risultati vergognosi, gli stessi che tutti noi siamo costretti a toccare con mano ogniqualvolta abbiamo la necessità di ricorrere al Servizio Sanitario Nazionale.

Sotto alcuni aspetti, come dicevamo, ci ritroviamo in una condizione da “nazione in stato di guerra”. Ed è proprio così che la viviamo.

In conclusione, qualora le spiegazioni riguardanti i dati di quei 45mila decessi in eccesso rivelassero, anche parzialmente, una delle ipotesi da noi prospettate, ciò significherebbe forse una cosa, che Madre Natura ci sta presentando il giusto conto. Significherebbe, cioè, che per il nostro Paese è purtroppo giunto il momento di saldare il debito e, a farlo, saremmo noi, i cittadini.

Prepariamoci allora, perché migliaia di noi lo stanno già pagando.