L'innovazione

Cittadini Attivi, la storia degli artigiani dell’informatica nella PA

di Fausto De Felici (Cittadini Attivi) |

A un anno dalla scomparsa di Fausto De Felici, i Cittadini Attivi e Luca Attias propongono un pezzo inedito dell'amico scomparso sui veri ostacoli alla digitalizzazione della PA in Italia.

Un gruppo attivo di cittadini che propone un modo diverso di raccontare la trasformazione della Pubblica Amministrazione. Sono le donne e gli uomini che hanno dato vita alla rubrica “Cittadini Attivi” su Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Un anno fa molti di noi si chiedevano …“e ‘mo come famo senza Fausto?”… ma in breve tempo abbiamo capito che l’errore era in quel “senza Fausto” … “senza de che!”…  Fausto continua ad essere quotidianamente presente e attivo dentro la maggior parte di noi Cittadini Attivi con i suoi insegnamenti e con il suo affetto … e voi, cari lettori, potete ritrovarlo in moltissimi dei nostri articoli già pubblicati o in via di pubblicazione e non solo in quelli in cui è citato esplicitamente …

Per non smentirci oggi vi proponiamo proprio un articolo scritto di suo pugno e ancora mai pubblicato e che siamo certi non vi lascerà indifferenti.

Luca Attias e la Redazione di “Cittadini Attivi”

Sono nato ed ho vissuto la mia adolescenza e giovinezza in uno storico rione di Roma: il rione Monti. I miei genitori gestivano un piccolo negozio di “forniture per sarti” e la particolarità di questo esercizio è che di fatto rappresentava un punto d’incontro degli artigiani del rione, in particolare proprio dei sarti. Erano occasioni di confronto e di crescita professionale dove ognuno metteva in comune le proprie esperienze dettate dal lavoro ed io, giovane studente, ascoltavo con interesse le loro considerazioni relative al loro lavoro che stava progressivamente cambiando con l’introduzione sempre più massiccia dell’allora parallelo mercato del pret à porter che negli anni successivi avrebbe messo in seria crisi molti di loro. Da allora molti anni sono passati e, dopo diplomato, sono entrato nella Pubblica Amministrazione e mi sono trovato, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, a vivere un’esperienza professionale intrigante: l’introduzione dell’informatica nella P.A. Così mi sono trovato pieno di entusiasmo a svolgere il ruolo di “artigiano dell’informatica”.

E’ stato un periodo felice dove l’unico limite era quello della fantasia. L’approccio al coding, al mondo dei db relazionali e poi alla programmazione orientata agli oggetti. La costruzione di CED dipartimentali con la sua piccola ma efficiente rete locale tutta costruita artigianalmente con trapano e cavi in mano. E poi l’ebbrezza di riuscire a condividere il lavoro con il collega della stanza accanto, scambiarsi le prime mail. Insomma una stagione esaltante. Poi, in modo vertiginoso, l’evoluzione tecnologica continua e senza soluzione di continuità ha modificato in modo sostanziale la nostra attività. Si è salvato da questo tsunami innovativo solo chi è stato in grado di rimettersi in gioco senza arroccarsi in difesa delle proprie posizioni di potere conquistate. Un po’ come i vecchi artigiani del rione Monti: quelli che hanno compreso che dovevano riconvertire le loro botteghe piene di fodere, stoffe e filati in moderni laboratori sono sopravvissuti, gli altri hanno lasciato gli spazi fino allora occupati agli attuali ristorantini e negozi pieni di cineserie che oggi popolano il rione. Così chi tra noi ha compreso, un po’ come i vecchi sarti monticiani, che dal cambiamento potevano nascere nuove opportunità ha iniziato un lungo e faticoso percorso formativo e si trova oggi a vivere appieno questa nuova stagione contrassegnata dall’innovazione favorita dalle nuove tecnologie favorendo e facilitando ogni ulteriore progresso sia tecnologico che organizzativo e certamente tutta l’esperienza pregressa rappresenta per coloro un vero e proprio valore aggiunto. Di fatto oggi in molti casi nella Pubblica Amministrazione molti governano (o dovrebbero farlo) senza aver fatto questo percorso e i risultati purtroppo si vedono.

Contrariamente, tutti coloro che hanno cercato di mantenere lo status quo evitando accuratamente di rimettersi in gioco rappresentano, di fatto, paradossalmente degli ostacoli che si frappongono alla digitalizzazione del nostro Paese. Già, ma perché tutta questa ostinazione legata al conservatorismo? Semplicemente perché molti dei “vecchi artigiani dell’informatica” hanno acquisito nel corso del tempo un notevole potere sia in termini di possesso dei dati che delle applicazioni. Parlare di open data e di riuso applicativo nell’attuale situazione costituisce, di fatto, un ossimoro. Molti sono i dipendenti pubblici che hanno ancorato la loro carriera alla custodia rigorosa dei dati e delle applicazioni in loro possesso. Non è un caso, infatti, che molte volte ci troviamo davanti ad una bulimia applicativa: centinaia, se non migliaia di applicazioni che fanno le stesse cose in modo assolutamente non interoperabile; sul versante dei dati si pensi a quante amministrazioni pubbliche hanno al loro interno banche dati contenenti le stese identiche informazioni anche queste non interoperabili, anche qui un esempio per tutti: le anagrafiche del personale.

A tal proposito ben aveva fatto Agostino Ragosa quando era presidente dell’Agid ad individuare nella chiusura della quasi totalità degli 11000 CED esistenti uno degli ostacoli principali per una corretta digitalizzazione del Paese..  Purtroppo nulla o quasi si è fatto in tal senso, nonostante sia la Poggiani prima e Samaritani poi hanno cercando di operare in tal senso.

In generale le azioni da intraprendere sono ben evidenziate nell’articolo di Leandro Gelasi pubblicato sulla nostra rubrica Cittadini Attivi il 23 marzo 2016.

Speriamo che anche i ns. politici abbiano il tempo e la voglia di dargli una letta.