Data science

Cinema, una ricerca americana trova la formula per conquistare il box office

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Uno studio della Cornell University applica la scienza dei dati all’industria creativa di Hollywood e scopre il modello di storia che più di altri assicura ottimi guadagni al box office: un modo, secondo i ricercatori, per aumentare i profitti e allo stesso tempo gli investimenti per innovare il settore.

Sotto la lente degli scienziati può finire qualsiasi cosa, anche il cinema e i suoi film. Stavolta, però, l’obiettivo dei ricercatori della Cornell University era di mettersi alla prova su di un terreno molto insidioso, ma allo stesso tempo affascinante: trovare la formula scientifica finale per produrre film di successo al botteghino.

Si tratta di uno studio pubblicato i primi di luglio dalla casa editrice dell’ateneo di Ithaca, nello stato di New York, dal titolo “The data science of Hollywood: Using emotional arcs of movies to drive business model innovation in entertainment industries”.

Un documento, di cui ha parlato in un articolo di ieri il quotidiano britannico The Guardian, dedicato alla data science applicata al tempio mondiale del cinema contemporaneo, cioè Hollywood, che parte dall’esame della risposta emotiva del pubblico ai film correlandola ad una serie di parametri utili a sviluppare nuovi modelli di business, più innovativi e allo stesso tempo remunerativi.

Dopo aver studiato attentamente le sceneggiature di quasi 6.150 film, raccolto ed elaborato dati da diverse piattaforme di cultura cinematografica come The Numbers e la popolare IMDb, attraverso un set di algoritmi appositamente sviluppati per il progetto, il team della Cornell è riuscito ad identificare quello che hanno chiamato “arco emotivo”, da affiancare all’arco narrativo, che potrebbe anche essere alla base del successo di una pellicola.

Se la formula trovasse ulteriori conferme – ha dichiarato Ganna Pogrebna, docente di Behavioural economics and data science all’Università di Birmingham – potremmo assistere ad un cambiamento epocale, sia per le case di produzione, sia per gli spettatori, perché è da questi ultimi che siamo partiti, nel nostro studio non abbiamo fatto altro che ascoltare il pubblico, a partire dai gusti, le aspettative, gli interessi di chi entra in sala”.

La ricerca è stata portata avanti su una classificazione di film in base a sei profili “narrativi-emozionali” o cluster: c’è “Riches to rags”, caratterizzato da una crescita emotiva costante per tutto l’arco narrativo, a cui è stato affiancato il suo opposto “Rags to riches”, con una caduta emotiva progressiva ed inarrestabile per l’intero arco narrativo; “Man in a hole”, dove ad ogni caduta emotiva segue una riscossa (del tipo ‘cadere e rialzarsi’), e il soggetto “Icarus”, che fa esattamente il contrario, cioè ad una rapida ascesa segue un altrettanto veloce caduta; poi c’è il modello “Cinderella”, con un andamento emotivo sinusoidale (ascesa-caduta-ascesa), a cui si affianca il suo negativo “Oedipus”, dove si ribalta l’andamento emotivo precedente (caduta-ascesa-caduta).

Applicando la formula ed i suoi cluster a pellicole di 21 differenti generi cinematografici, gli studiosi hanno dedotto che il modello “Man in the hole sembra quello che può garantire un maggior successo al botteghino.

Mediamente, film di questo tipo (arco narrativo-emotivo caratterizzato da inziale caduta seguita da risalita-riscossa) sembrano in grado di attrarre maggior pubblico in maniera trasversale ai generi e ai gusti dello spettatore.

Hanno anche calcolato che in media, per una spesa della casa produttrice di 40 milioni di dollari, i guadagni di film realizzati seguendo questo schema possono aggirarsi attorno ai 55 milioni di dollari.

Perché questo modello sembra il più promettente dal punto di vista finanziario?

Un arco narrativo-emotivo del tipo “Man in the hole”, come nel caso riportato dagli studiosi del celebre film di Francis Ford Coppola “Il padrino“, non deve per forza di cose piacere al pubblico. I ricercatori hanno semplicemente scoperto che pellicole strutturate in questo modo generano riflessioni e confronti anche accesi tra le persone, creando cioè discussioni e dibattiti, che poi finiscono sui social, sulla stampa e in tv, aumentano l’attenzione generale sul titolo, spingendo altri a vedere il film in questione e a decretarne il successo al box office (al netto delle strategie di marketing).

I risultati, infine, non indicano che tutti i film da ora in poi dovranno essere realizzati con questo arco narrativo, tutt’altro, i ricercatori volevano solo spiegare in che modo è possibile fare buoni guadagni con alcune pellicole, con la possibilità per le majors di reinvestirli in nuovi progetti cinematografici.

In questo modo, ha spiegato il professor Pogrebna, con i guadagni ‘sicuri’ che si possono pianificare, “sarà possibile trovare nuove risorse per registi emergenti e nuove idee, promuovere anche il cinema sperimentale e dare spazio a generi definiti minori”.

Ammesso che la formula individuata dagli studiosi americani abbia realmente successo, l’impressione è che le majors da tempo ormai conoscono diversi modi di fare i soldi con una pellicola. I piani di lancio di un film, se ben studiati, possono far volare qualsiasi storia, e con i social i costi da sostenere sono stati già abbondantemente abbattuti, garantendo enormi guadagni (quasi mai poi investiti per dare spazio anche ad altri generi e soprattutto per far emergere giovani registi di talento).