Ripartenza

Cinema e teatri riaprono al 100%, ma basterà per non chiudere bottega?

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Salvini costringe Draghi a riaprire “al massimo” cinema e teatri, e ulteriore compromesso su stadi e discoteche: servirà per evitare il fallimento del settore?

Da lunedì prossimo 11 ottobre, cinema e teatri al 100 %, stadi al 75 %, discoteche al 50 % della capienza massima: ma questo “libera tutti” sarà sufficiente a ri-ossigenare settori boccheggianti? Serve una campagna promozionale di rottura.

La notizia era attesa ormai da settimane, ma si è ben compreso che se ieri il leader della Lega Matteo Salvini non avesse puntato i piedi – o messo i piedi sul tavolo – la decisione di riaprire “al massimo” della capienza i luoghi dello spettacolo e della cultura sarebbe stata ancora in “stand by” chissà per quanto tempo: nonostante fosse stato (sia stato) il titolare del Ministero della Cultura Dario Franceschini il primo ad insistere sulla logica “aprista”, è stato Matteo Salvini ad impuntarsi in modo radicale…

E ieri la logica del buon senso ha finalmente prevalso sulla logica della eccessiva prudenza.

Si ricordi che lunedì 27 settembre scorso, il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) Silvio Brusaferro aveva diramato, nella veste di Portavoce del Comitato Tecnico-Scientifico (Cts), un comunicato stampa che aggiornava le indicazioni manifestate al Governo in materia di riapertura dei luoghi dello spettacolo e della cultura, ma rinnovava gradualità e prudenza: l’indomani, commentavamo su queste colonne la lieta novella, ponendo però qualche dubbio sugli effetti reali di questa pur indispensabile “riapertura” (vedi “Key4biz” del 28 settembre 2021, “Il Cts aumenta la capienza possibile per cinema e teatri, ma è questo il vero problema del settore?”).

Ci si attendeva che mercoledì 29 settembre, il Consiglio dei Ministri facesse proprie le decisioni del Cts, ed invece… silenzio stampa!

Si è dovuto attendere altri dieci giorni, e le proteste politiche di Salvini, che si è fatto interprete anche della dura presa di posizione della Società Italiana Autori Editori, che proprio nel pomeriggio di ieri, nelle more del Consiglio dei Ministri, ribadiva le tesi già sostenute con veemenza: “vogliamo ribadire ancora una volta a gran voce la stringente urgenza di riaprire tutti i luoghi di cultura e di spettacolo, chiedendo al Cdm la riapertura a capienza totale e in sicurezza”, concludendo con lo slogan “non vogliamo morire sani”, coniato dal Presidente Siae Giulio Rapetti Mogol.

La stessa Siae così ha interpretato la decisione del Cdm: “finalmente tutta la cultura ricomincia a vivere”, ha dichiarato Mogol appreso l’esito del Consiglio appena concluso, e “il più grande e sentito ringraziamento al Ministro della Cultura Dario Franceschini e al CdM per aver ottenuto la riapertura dall’11 ottobre per cinema, teatri e concerti, al chiuso e all’aperto. Si torna al 100% della capienza, nel rispetto delle regole di sicurezza, come è ovvio che sia. È un bellissimo risultato. Abbiamo doverosamente ringraziato il Governo per questo fondamentale passo in avanti. Manca il via libera al 100×100 per le discoteche e tuttavia con il 50% si può ricominciare, sperando di arrivare presto al 100×100 anche per quel comparto”.

Di fatto, il Governo ha assunto una decisione politica parzialmente in contrasto con i suggerimenti del Comitato Tecnico Scientifico: fatto più unico che raro, verrebbe da commentare, dato che “ab origine” si è registrata una subordinazione (anzi, una sudditanza) della “Politica” rispetto alla “Scienza” (per così dire). In effetti, il Cts aveva chiesto max 35 % per le discoteche, ed invece la quota percentuale è stata elevata al 50 % al chiuso (ed al 75 % all’aperto, prospettiva che perde senso a fronte della imminente stagione invernale, ed alcuni gestori di locali hanno commentato che si tratta di quasi una beffa…).

Questa la sintesi delle decisioni assunte da Palazzo Chigi ieri pomeriggio (come emerge dal comunicato stampa ufficiale – diramato alle 20:35 – dalla Portavoce Paola Ansuini):

Teatri, cinema, concerti

In zona bianca, per gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali o spazi anche all’aperto, la capienza consentita è del 100 per cento di quella massima autorizzata sia all’aperto che al chiuso. Inoltre l’accesso è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi Covid-19.

Discoteche

La capienza nelle sale da ballo, discoteche e locali assimilati non può essere superiore al 75 per cento di quella massima autorizzata all’aperto e al 50 per cento al chiuso. Nei locali al chiuso, deve essere garantita la presenza di impianti di aerazione senza ricircolo dell’aria.

Sport

Pubblico a eventi e competizioni sportive: la capienza consentita non può essere superiore al 75 per cento di quella massima autorizzata all’aperto e al 60 per cento al chiuso.

Musei

Nelle strutture museali è stata eliminata la distanza interpersonale di un metro.

Le nuove disposizioni, che entrano in vigore dall’11 ottobre, prevedono che, in caso di violazione delle regole su capienza e “green pass” nei settori di spettacoli, eventi sportivi e discoteche, la chiusura si applica dalla seconda violazione.

È stato precisato che l’obbligo di mascherina vige anche in discoteca, ma non nel momento del ballo (attività che è stata assimilata a quella ginnico-motoria, ovvero a quella sportiva tout-court).

Non crediamo che valga la pena dedicare molto tempo a comprendere quale… “razionalità” è alla base di queste decisioni del Cts, sia nelle procedure proposte sia nelle tempistiche di adozioni, perché da tempo siamo giunti alla conclusione che gran parte delle decisioni assunte in seno al Comitato Tecnico Scientifico siano maturate sulla base di “evidenze scientifiche” più soggettive che oggettive

Da segnalare una qualche voce dissonante, rispetto alla diffusa contentezza per i provvedimenti assunti da Draghi ieri, su pressione soprattutto – va ricordato – dei Ministri Giancarlo Giorgetti e Federico D’Incà e del Sottosegretario alla Salute Andrea Costa. La newsletter specializzata “Rockol” contesta, segnalando come sia stata ripristinata la piena capienza, ma non in stadi e palazzetti: “il Ministro della Cultura Dario Franceschini sul suo canale Twitter ha cantato vittoria – “finalmente i concerti al chiuso e all’aperto tornano al 100% della capienza” – ma, in realtà, le cose sono un po’ più complesse. Perché le decisioni prese nel corso del Consiglio dei Ministri tenuto nella serata di ieri, giovedì 7 ottobre, concedono sì a teatri e sale da concerto di riprendere gli show di musica dal vivo a piena capienza, ma impongono ai live che si tengono in stadi e palazzetti limitazioni di affluenza pari – rispettivamente – al 75 e 60%. E – si sa – quella appena iniziata è la stagione dei grandi live nei palazzi dello sport, molti dei quali – come osservato dagli stessi promoter due settimane fa a Milano – già andati sold-out. Se dall’esecutivo non arriveranno in fretta rettifiche in merito, non è da escludere che gli appelli lanciati dalla rappresentanza di settore si tramutino in proteste”

Fatto 30, il Governo avrebbe potuto fare anche 31…

Crediamo che questo ultimo passo verrà presto compiuto… e meglio tardi che mai!

Accertato che da lunedì prossimo 11 ottobre, i cinematografi ed i teatri potranno essere teoricamente pieni per intero, gli stadi per tre quarti e le discoteche per metà, questa… “liberazione” dagli irragionevoli vincoli governativi determinerà effetti di reale rigenerazione per i settori dello spettacolo e dello sport che sono ridotti allo stremo?!

Urge una campagna promozionale forte per la ripresa dei consumi culturali

Nutriamo dubbi, alimentiamo perplessità: è infatti indispensabile un’azione comunicazione e promozionale forte e robusta e di medio periodo, una campagna che parta immediatamente e duri almeno sei mesi o un anno…

Senza questa iniezione energetica, temiamo che i livelli di consumo resteranno bassi, modesti, insufficienti a consentire ai vari settori dello spettacolo una ripresa significativa.

Ci domandiamo perché le associazioni imprenditoriali e degli autori non abbiano finora richiesto a gran voce una simile campagna, che richiede senza dubbio investimenti consistenti, nell’ordine di decine di milioni di euro per una ideazione strategica ed una pianificazione mediale serie, con un auspicabile coinvolgimento della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. Purtroppo, su questi temi, si assiste invece ad una totale assenza di iniziativa da parte della Rai.

Le potenzialità – in verità – ci sono, rispetto all’insieme dei consumi culturali: dati incoraggianti vengono dal settore librario, che pure è quello che ha paradossalmente beneficiato delle “chiusure” diffuse dei luoghi della cultura… è infatti di tre giorni fa l’annuncio del Presidente dell’Associazione Italiana Editori (Aie) Ricardo Franco Levi, secondo il quale l’editoria di “varia” registra un più 29 % nei primi nove mesi dell’anno.

Nei primi nove mesi dell’anno, il mercato italiano di varia (ovvero libri di “fiction” e “non fiction” venduti nelle librerie fisiche e online e nella grande distribuzione), ha registrato un valore di 1.037 milioni di euro, in aumento del 29 % sul 2020, anno della pandemia, e del 16,2 % rispetto al 2019 (fonte: Aie-NielsenIQ)…

Da più fronti, si auspica un confortante “ritorno alla normalità”, ma la gran parte degli osservatori sembrano dimenticare che il mercato della cultura soffre, in Italia, da molti anni, una crisi profonda e radicale ed i livelli di consumo sono inferiori a quelli dei più evoluti Paesi europei: il problema va quindi affrontato di petto, con decisione e coraggio, con un intervento robusto della “mano pubblica”…

Se le tante sovvenzioni attivate dal Ministro Dario Franceschini hanno consentito a molti operatori di sopravvivere in qualche modo nonostante la pandemia, è giunta l’ora di una nuova politica culturale, che – approfittando anche della imminente “manna” del “Recovery Plan” – sappia rivitalizzare i vari settori dell’industria culturale e creativa italiana.

Per ora, segnali incoraggianti se ne vedono pochi, anzi nessuno.

“Box office” cinematografico: settembre 2021, – 58 % rispetto al 2019, – 50 % rispetto al 2018

Basti osservare l’andamento del “box office”: secondo i dati Cinetel, dal 1° al 30 settembre 2021, i cinematografi italiani hanno incassato soltanto 21,2 milioni di euro, che rappresentano certamente un +41 % sul 2020 (prevedibile), ma un -58 % sul 2019 ed un -50 % sul 2018.

Gli spettatori sono stati 3,12 milioni, +36 % sul 2020, -58 % sul 2019, -52 % sul 2018.

Si tratta di numeri che dovrebbero far scattare un diffuso allarme sulla crisi in atto.

Ed invece oggi assistiamo a comunicati stampa che sprizzano entusiasmo ed ottimismo a gogò, da parte di Francesco Rutelli (Presidente dell’Anica), Luigi Lonigro (Presidente Unione Editori e Distributori Cinematografici Anica), Francesca Cima (Presidente Unione Produttori Anica), Mario Lorini (Presidente Anec), etcetera. Particolarmente retorico Lorini dell’Anec: “un segnale di grande spinta a tutta l’industria del cinema, che sta già dando segnali importanti di ripresa e che adesso può proseguire con grande convinzione sui temi e sulle sfide che ci aspettano”.

Quali siano questi “segnali importanti” di ripresa del cinema italiano, non comprendiamo, se non in una crescente sovrapproduzione di titoli “made in Italy” (grazie alla mano pubblica) che non riescono a trovare spazio nelle sale (e spesso vengono ignorati anche dalle piattaforme web!).

Basti osservare le quote di mercato delle varie nazionalità filmiche (dal 1° al 30 settembre 2021, sempre secondo la fonte Cinetel): la quota Usa è al 56 % (col 26 % dei film immessi nel circuito dei cinematografi), a fronte dell’Italia al 22 % (col 36 % dei film, incluse coproduzioni), Regno Unito al 13 %, Francia al 2 %…

Il cinema italiano, insomma, nelle sale, boccheggia.

A che servono queste flebo di (infondato) entusiasmo?!

Urgono azioni coraggiose ed innovative, anche a livello di marketing. In argomento, meritano essere segnalate due iniziative della Warner Italia, guidata da Barbara Salabè (che, dal novembre 2020, è anche Presidente di WarnerMedia Emea & Asia). La prima è, secondo noi, una operazione di comunicazione “camuffata”, la seconda è una iniziativa di marketing mirata.

“La scuola cattolica” e la retorica sulla censura cinematografica: abile operazione di marketing della Warner Bros. Italia?!

Procediamo con ordine.

Crediamo (insinuiamo) che lo “scandalo” venuto a determinarsi per il “divieto ai minori di 18 anni” del film “La scuola cattolica” possa essere stato studiato a tavolino, come abile strategia di marketing.

Martedì scorso 5 ottobre, la Warner Italia, assieme alla società di produzione Picomedia, ha denunciato che la competente Commissione ministeriale (Mic) aveva imposto questo divieto al film diretto da Stefano Mordini, tratto dall’omonimo libro di Edoardo Albinati (“Premio Strega” nel 2016), uscito nelle sale ieri 7 ottobre… La censura viene operata su un film che racconta una storia vera, una storia di omicidio e di stupro. Quella di una grave violenza perpetrata ai danni di due donne, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, un crimine che sconvolse l’intero Paese, ancora vivo nella coscienza collettiva: il delitto del Circeo. Un divieto, che viene imposto per un film che ripercorre i fatti che hanno segnato la storia dell’ordinamento giuridico italiano, aprendo nel 1975 un dibattito che si sarebbe concluso solamente nel 1996, quando per la legge italiana la violenza sessuale passò dall’essere considerata un reato contro la morale a un crimine contro la persona. Il film era già stato presentato fuori concorso all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, lo scorso settembre, e in quella circostanza era stato classificato come vietato ai minori di 14 anni…

La ricaduta mediale dell’iniziativa è stata veramente notevole, e quindi… complimenti all’Ufficio Stampa e soprattutto alla Direzione Marketing della Warner Bros. Entertainment Italia.

La Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche incaricata dalla Direzione generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura ha così motivato la sua decisione: “il film presenta una narrazione filmica che ha come suo punto centrale la sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice. In particolare i protagonisti della vicenda pur partendo da situazioni sociali diverse, finiscono per apparire tutti incapaci di comprendere la situazione in cui si trovano coinvolti. Questa lettura che appare dalle immagini, assai violente negli ultimi venti minuti, viene preceduta nella prima parte del film, da una scena in cui un professore, soffermandosi su un dipinto in cui Cristo viene flagellato, fornisce assieme ai ragazzi, tra i quali gli omicidi del Circeo, un’interpretazione in cui gli stessi, Gesù Cristo e i flagellanti vengono sostanzialmente messi sullo stesso piano. Per tutte le ragioni sopracitate la Commissione a maggioranza ritiene che il film non sia adatto ai minori di anni diciotto”.

Le motivazioni del divieto imposto – sostengono Warner e Pico – vertono dunque tutte attorno a elementi tematici del film o a valutazioni di tipo artistico-espressivo, limitando di fatto la stessa libertà artistica e di espressione degli autori. Ciò è accaduto sebbene il Dpr 11/11/1963 n. 2029 (“Regolamento di esecuzione della Legge 21/4/62 n. 161 sulla revisione dei film e dei lavori teatrali”) all’articolo 9 elenchi in modo chiaro gli elementi scenico/narrativi che possono determinare l’applicazione del divieto di visione ai minori, e tra i quali non è di certo inclusa la tematica di un film (anche quando la stessa risulti incentrata su valutazioni teologiche o filosofiche). Una decisione in netta contrapposizione con quanto affermato lo scorso aprile dal Ministro Dario Franceschini che, alla firma del decreto che istituì la nuova Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche, commentò: “abolita la censura cinematografica, definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti”.

Non vogliamo qui entrare nello specifico del “caso”, ma osserviamo che tanta polemica è stata sicuramente efficace per lanciare il film.

Purtroppo nessuno ha rilanciato la questione della contraddizione di un sistema “censorio” ancora arcaico per quanto riguarda i lungometraggi cinematografici distribuiti nelle sale, ed un sistema audiovisivo che non è sottoposto a controlli di sorta, in una anarchia normativa che è – questa sì – scandalosa, perché nessuna istituzione dello Stato italiano sembra vedere l’oceano di porcherie cui possono accedere liberamente i minori in Italia, grazie ad un web senza regole.

Sull’argomento, rimandiamo al nostro intervento su “Key4biz” del 7 aprile 2021, ancora perfettamente attuale, “Abolita la censura cinematografica. Ma il vero problema è cosa circola sul web”: tra l’altro, va segnalato che il nuovo sistema di (non) censura cinematografica voluto dal Ministro Dario Franceschini non è ancora operativo, e quindi si resta nell’arcaico-arcaico…

Marketing d’avanguardia: le “stanze della rabbia” per il lancio di Venom – La Furia di Carnage”

Seconda abile iniziativa del marketing Warner: Sony Picture presenta la “Rage Room” di “Venom: La Furia di Carnage”, che uscirà nelle sale italiane giovedì prossimo 14 ottobre.

Dall’8 al 14 ottobre, presso il Centro Commerciale “Porta di Roma” sarà possibile partecipare …a “The Chaos Room”, una “rage room” ispirata al film “Venom – La Furia di Carnage”.

Le “stanze della rabbia” sono spazi anti stress creati appositamente per permettere alle persone di dare libero sfogo alla propria “furia”, distruggendo, in assoluta sicurezza, tutto quello che trovano intorno. La “temporary experience” di “Carnage” sarà uno spazio personalizzato con elementi del film “Venom – La Furia di Carnage”. Le persone che vorranno partecipare saranno messe in sicurezza: i partecipanti potranno anche portare oggetti personali (ad esempio: una foto del capo, il regalo di una ex, la propria sveglia, il libro di un esame…) da introdurre nella stanza per distruggerli insieme al resto degli oggetti all’interno. Tutti gli oggetti personali introdotti dall’esterno dovranno essere prima vagliati dal personale di sicurezza. Ogni partecipante avrà 5 minuti per dare sfogo al “Carnage” che è in lui e scatenare la propria furia all’interno della stanza. 

Questo è – senza dubbio – marketing d’avanguardia, un esempio al quale dovrebbero guardare i dirigenti del Ministero della Cultura ed i rappresentanti dell’industria (Anica ed Anec Agis), se si volesse finalmente mettere in cantiere una campagna promozionale seria per il rilancio del consumo di cinema in sala…

Assenza di studi approfonditi sullo stato di salute dell’industria culturale italiana: non bastano Federculture e Censis…

Va anche osservato come lo Stato (né l’industria) non abbia ancora deciso di dedicare risorse allo studio accurato delle reali condizioni di salute del settore: nessuna ricerca è stata realizzata, incredibilmente, per analizzare le dinamiche “pre” e “post” pandemia.

Anche il comunque utile studio presentato ieri l’altro, mercoledì 6 ottobre, dal Censis, ovvero il “Diciassettesimo Rapporto sulla comunicazione”, intitolato quest’anno “I media dopo la pandemia” (edito per i tipi di Franco Angeli), non consente di comprendere a fondo le dinamiche della crisi in atto.

Peraltro, questo rapporto Censis non prende in considerazione il cinema, la musica, lo spettacolo dal vivo, i videogames, come se questi settori non facessero parte di un “universo multimediale” che deve essere considerato anche nella sua interezza e nelle interazioni tra i vari settori e comparti…

Crisi profonda e radicale che – ribadiamo – è antecedente al Covid-19.

E non aiuta granché a comprendere la crisi nemmeno un altro strumento di informazione, qual è il “Rapporto Annuale Federculture 2021”, giunto anch’esso alla 17ª edizione, quest’anno intitolato “Impresa Cultura. Progettare e ripartire” (edito per i tipi di Gangemi Editore), presentato il 7 luglio scorso a Roma.

E questo studio, a sua volta, sembra sostanzialmente ignorare la dimensione dell’habitat digitale e le sue infinite correlazioni con il sistema culturale.

Come dire?! Una sorta di errore “speculare”, da parte di Federculture, rispetto all’errore del Censis.

Al di là della “parcellizzazione” di questi studi, va notato come le analisi finora sviluppate si caratterizzino per un approccio che definiremmo conservativo-inerziale.

Si guarda infatti al passato (come se fosse eccellente!) evocando una possibile “normalizzazione”, allorquando sembra sfuggire che il “sistema” (nel suo complesso, tra investimenti dei privati e sostegni del pubblico) non era in condizioni granché… normali anche prima della tempesta pandemica. Se con “normalità” si intende un sistema sano, equilibrato, ben temperato.

Sarebbe necessaria l’elaborazione di un “libro nero” sul sistema culturale italiano. E sappiamo che qualcuno ci sta intelligentemente pensando…

Clicca qui, per la “Sintesi per la stampa” del 17° “Rapporto sulla comunicazione” Censis, presentato a Roma il 6 ottobre 2021

Clicca qui, per la “Sintesi dei dati principali 2020” del 17° “Rapporto Annuale Federculture 2021”, presentato a Roma il 7 luglio 2021.