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Cinecittà Istituto Luce, prende corpo il CdA della “Hollywood europea”

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Chiara Sbarigia sarebbe stata cooptata dal Ministro della Cultura Dario Franceschini alla presidenza della nascente “nuova” Cinecittà Istituto Luce? Amministratore Delegato Nicola Maccanico, attualmente Executive Vice President Programming Sky Italia. E faro sul “caso Boda”, ovvero della “gogna mediatica”.

Ieri mattina, domenica 18 aprile 2021, l’edizione online del mensile specializzato “Prima Comunicazione” con il suo scoop ha anticipato la notizia secondo la quale la Direttrice dell’Associazione dei Produttori Audiovisivi (Apa) Chiara Sbarigia sarebbe stata cooptata dal Ministro della Cultura Dario Franceschini alla presidenza della nascente “nuova” Cinecittà Istituto Luce. La notizia è stata subito rilanciata da testate specializzate come “Box Office” del gruppo e-duesse.

Silenzio da parte dell’Ufficio Stampa del Ministero della Cultura, ma la notizia segue quella di venerdì scorso 16 aprile – non smentita – della nomina ad Amministratore Delegato di Cinecittà Luce di Nicola Maccanico, attualmente Executive Vice President Programming Sky Italia, anticipata dal quotidiano “Milano Finanza” e rilanciata anche da “il Sole 24 Ore” l’indomani sabato.

Si attende di conoscere chi saranno gli altri membri del Consiglio di Amministrazione della novella Cinecittà Istituto Luce, nel suo passaggio – previsto dall’ultima Legge di Bilancio – dall’attuale status di “società a responsabilità limitata” all’imminente status di “società per azioni”, nell’economia di un “piano di rilancio” annunciato dal Ministro, ma rispetto al quale non esiste ad oggi alcuna pubblica evidenza.

Colleghiamo queste notizie ad un’altra notizia, in verità drammatica: nel pomeriggio di mercoledì della scorsa settimana, Giovanna Boda, dirigente apicale del Ministero dell’Istruzione, ha tentato il suicidio, dopo che il quotidiano “La Verità” aveva pubblicato a piena pagina, nella mattinata di mercoledì, la notizia di una indagine della magistratura per presunta corruzione.

Qual è la ragione di questo ardito nostro collegamento tra notizie che, in apparenza, non hanno una relazione diretta?!

La ragione è in quel che può essere definito semplicemente “deficit di trasparenza” nei processi decisionali dello Stato italiano, sia per quanto riguarda le nomine del top management delle imprese pubbliche sia per quanto riguarda la gestione degli appalti pubblici. Questo deficit accomuna infatti, nel bene e nel male, le due notizie.

Questo deficit di trasparenza amministrativa, questa carenza di pubblica evidenza rappresentano un’area critica della gestione della “res publica” in Italia, e riguarda anche imprese strategiche come la Rai: abbiamo segnalato, anche su queste colonne, come fosse curioso che alla presidenza della “vecchia” Cinecittà Luce, qualche mese fa (giugno 2020), venisse chiamata una dirigente della Rai come Maria Pia Ammirati, in evidente sovrapposizione di incarichi (allora era Direttrice delle Teche Rai); abbiamo segnalato come fosse anche curioso che la Capo Ufficio Stampa della Rai Claudia Mazzola venisse nominata alla presidenza della Fondazione Musica per Roma, anche in questo caso in evidente sovrapposizione di incarichi… Ancora più incomprensibile come le due dirigenti Rai mantenessero simili incarichi (a Cinecittà e a Musica per Roma) nonostante ulteriori loro progressi di carriera: Ammirati nominata Direttrice della Fiction Rai nel novembre 2020 (in sostituzione di Tinny Andreatta, emigrata a Netflix), e Mazzola Direttrice dell’Ufficio Studi Rai nel marzo 2021 (subentrando ad Andrea Montanari, nominato Direttore di Rai Radio 3). 

Se non di incompatibilità (anche per latenti conflitti di interessi), si tratta di questioni di (in)opportunità.

Riteniamo che nomine così delicate ed importanti dovrebbero essere sempre sottoposte a procedure di pubblica evidenza, con processi selettivi di comparazione meritocratica, e non restare nella totale umoralità del Ministro pro tempore

Riteniamo poi che, nel caso della Rai, la procedura del “job posting” dovrebbe essere sempre privilegiata, rispetto a pratiche di appartenenza politico-partitica e di cooptazione discrezionale da parte dell’Amministratore Delegato.

Il “nuovo che avanza” ovvero il “governo dei migliori” diviene retorica allo stato puro, se non si modificano radicalmente (ovvero alla radice) le procedure di governo del Paese, per quanto riguarda i processi decisionali in materia di nomine e di appalti.

Il “caso Boda”, ovvero della “gogna mediatica”

Il “caso Boda”, al di là del dramma personale (la dirigente è uscita in queste ore dal coma), è anch’esso sintomatico di una correlata patologia: il mal funzionamento del Testo Unico sugli Appalti alias “Codice degli Appalti” (si tratta del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e successive infinite… modificazioni), soprattutto per quanto riguarda il deficit di trasparenza e di chiarezza nelle procedure di affidamento, a fronte di marchingegni normativo-regolamentari che si caratterizzano per testi polisemici, complessi e ridondanti, e sempre a rischio di ricorso alla giustizia amministrativa.

Le conseguenze di questo deficit di trasparenza determinano una sorta di effetto-domino: non sufficiente pubblicità, sempre latente rischio di discrezionalità del decisore politico nell’influenzare le procedure, probabilità di pratiche basse

Molte volte, anche su queste colonne, abbiamo segnalato / denunciato come spesso bandi ministeriali e regionali, avvisi pubblici e concorsi si caratterizzino per una frequente opacità, per l’assenza di basi di dati accessibili: basti ricordare che spesso, dei soggetti e progetti “vincitori”, viene data pubblica notizia in modo così ritentivo da rendere impossibile anche soltanto comprendere “cosa” è stato approvato e “chi” ha effettivamente vinto. Vale per il Ministero della Cultura così come per il Ministero dell’Istruzione, ed i dicasteri italici tutti.

Dove c’è opacità, s’alligna latente corruzione

E dove c’è opacità, s’alligna sempre il rischio di pratiche basse e finanche corruzione.

Da garantisti quali siamo, non possiamo entrare né vogliamo entrare nel merito del caso specifico di Giovanna Boda, ma vogliamo segnalare quanto la sua vicenda sia sintomatica di un’altra patologia del sistema politico e mediale italiano: la “fuga di informazioni” da parte di esponenti della magistratura determina che talvolta un indagato apprenda del proprio status dai giornali prima che da un avviso di garanzia. Un intollerabile paradosso. O della gravità della frequente dinamica per la quale informazioni che dovrebbero essere tutelate dal diritto alla “privacy” vengano rese di pubblico dominio. È una patologia gravissima, che lede diritti costituzionali, eppure si tratta di pratiche mediali ormai diffuse. La presunzione di innocenza dovrebbe essere un fondamento di un sistema giudiziario, e democratico, sano, così come il diritto a non essere sbattuti come criminali (ovvero “mostri”) in prima pagina.

La dirigente apicale del Mi (classe 1974), che guida il Dipartimento delle Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali, sarebbe stata accusata di aver beneficiato di 670mila euro che avrebbe impropriamente intascato a fronte di una serie di appalti “sotto soglia”, ovvero sotto i 40mila euro, il “tetto” sotto il quale il Codice degli Appalti consente procedure di assegnazione piuttosto semplificate rispetto ad una gara vera e propria. 

Il presunto corruttore sarebbe stato Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta ed editore della agenzia stampa nazionale Dire

Che i magistrati svolgano al meglio il loro lavoro.

E che Boda possa superare il trauma che certamente le è stato provocato da quello che alcuni hanno giustamente definito un caso eclatante di “gogna mediatica”: sabato 17, il quotidiano “il Riformista” ha giustamente titolato, in prima pagina (e a piena pagina) “Ipocriti! Non è libertà di stampa. È gogna e può uccidere”, in un approfondito articolo a firma di Gian Domenico Caiazza; su “il Foglio” (sempre di sabato scorso), Maurizio Crippa ha pubblicato un commento critico molto stimolante, intitolato “Un tentato suicidio e il ravvedimento operoso della cronaca giudiziaria”… 

Le annunciate nomine nella nuova Cinecittà…

Accantoniamo il nostro ardito… fil rouge, e veniamo a Cinecittà ed alle prospettate nomine.

La Legge di Bilancio 2021 (si tratta della Legge n. 178/2020, all’articolo 1, commi 585-588) ha previsto la trasformazione dell’Istituto Luce Cinecittà s.r.l. in società per azioni a decorrere dal 1° gennaio 2021. 

Le azioni dell’Istituto Luce Cinecittà spa sono detenute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ed i “diritti dell’azionista” sono esercitati dal Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo ormai Mic – Ministero della Cultura, d’intesa con il Mef.

Alla spa, è assegnato un capitale pari al netto patrimoniale risultante dal bilancio di chiusura della Istituto Luce srl al 31 dicembre 2020 (bilancio ad oggi non ancora approvato).

In base allo statuto dell’Istituto Luce Cinecittà srl, il capitale sociale è di 20 milioni di euro.

Al contempo, il Mef è stato autorizzato ad incrementare questo capitale di 10 milioni di euro nel 2021. A sua volta, il Decreto Legge n. 183/2020 (articolo 7, comma 4, secondo periodo), convertito nella Legge 26 febbraio 2021 n. 21, al fine di attrarre investimenti e di supportare la realizzazione di piani di sviluppo dell’Istituto Luce Cinecittà, ha consentito alle società direttamente o indirettamente controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze di acquisire partecipazioni nel medesimo Istituto, anche mediante aumenti di capitale (vedi alla voce… Cassa Depositi e Prestiti). Inoltre, ha disposto che l’Istituto possa acquisire la provvista finanziaria necessaria agli investimenti nel settore cinematografico e dell’audiovisivo anche mediante emissioni su mercati regolamentati di strumenti finanziari di durata non superiore a quindici anni, nel limite di 1 milione per ciascuno degli anni dal 2021 al 2030.

Venendo alle nomine: ribadendo che sarebbe stato apprezzabile un “new deal” da parte del Ministro Franceschini, ovvero una “public call” per il nuovo governo degli “studios” di Via Tuscolana, la scelta di Maccanico e di Sbarigia si caratterizza – al di là della procedura non trasparente e non comparativa – per un profilo di indubbia professionalità, sebbene differenziato, essendo il primo un manager operativo di alto livello, a fronte della seconda, che ha maturato esperienza soltanto in una piccola seppur potente “lobby” imprenditoriale.

Nicola Maccanico (classe 1972), laurea in legge in diritto bancario, è entrato in Sky nel 2003 dapprima come European Affairs Manager, per poi passare nel 2004 a Warner Bros Pictures Italia come Direttore Marketing e poi come Svp and Managing Director Theatrical and Strategic Marketing, fino al 2016. Sotto la sua guida, la Warner è divenuta il primo distributore “theatrical” italiano. Ha quindi assunto l’incarico di Ceo di Vision Distribution, la società di produzione e distribuzione cinematografica nata dall’accordo del gruppo Sky Italia con cinque tra le maggiori case di produzione indipendenti italiane, ovvero Cattleya (Itv Studios), Wildside (Fremantle), Lucisano Media GroupPalomar (Mediawan) Indiana Production. Infine, a fine 2018, torna alla “pay tv” a capo della programmazione con il ruolo di Executive Vice President Programming, dedicando particolare attenzione allo sviluppo dell’offerta di serie televisive targate Sky Original. Sotto la sua guida operano le aree Business Affairs & Acquisition, Sky Branded Channels, Sky Cinema, Original Productions, Pay Per View & On Demand e Partner Channels. Da segnalare che Nicola Maccanico è anche Amministratore Delegato di Anica Servizi srl dal 2013, membro del Cda della Fondazione Musica per Roma, nonché Vice Presidente Vicario dell’Associazione Civita, che è nata per recuperare l’antico borgo di Civita di Bagnoregio, e che nel corso degli anni ha esteso il proprio campo d’azione per valorizzare il patrimonio culturale e ambientale del nostro Paese (è presieduta da Gianni Letta). Figlio del compianto – deceduto nel 2013 – Ministro repubblicano Antonio Maccanico (cui si deve la omonima legge di riordino del sistema televisivo del 1997, poi superata dalla “legge Gasparri” del 2004), Nicola Maccanico, al di là delle capacità professionali, è noto per l’eleganza dei modi. Maccanico ha dichiarato di non aver dormito due notti, quando ha ricevuto l’offerta di diventare Amministratore Delegato e Direttore Generale della nuova spa che nasce da Istituto Luce Cinecittà srl…

Chiara Sbarigia (classe 1964) è Direttore Generale dell’Associazione Produttori Audiovisivi (Apa, già Apt – Associazione Produttori Televisivi), nonché Presidente di Apa Service srl. Laureata in lettere, ha sviluppato tutta la sua carriera, dal 1994, in Apa, conoscendo al meglio il “dietro le quinte” e la intricata rete delle politiche e delle economie del sistema audiovisivo italiano. È anche Direttore operativo del Mia – Mercato Internazionale dell’Audiovisivo (iniziativa Anica + Apa). Nel dicembre 2020, è stata designata Tesoriere del Coordinamento Europeo dei Produttori Indipendenti – Cepi, presieduto da Jérôme Dechesne. È anche Consigliere di AsForCinema (ente bilaterale di formazione professionale, di matrice imprenditorial-sindacale, promosso da Anica e da Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Fistel-Cisl, e successivamente da Apt, Anec e Anem), nonché Commissario per il Master di Scrittura Seriale di Fiction, promosso da Rai Fiction e Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e lʼAggiornamento in Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia.

Non sono ancora noti i nomi degli altri membri del Consiglio di Amministrazione della Cinecittà che verrà, la cui composizione passa dagli attuali 3 a 5 membri.

Attualmente, il cda di Cinecittà Luce (nominato il 12 giugno 2020 e teoricamente in carica per tre esercizi fino al 31 dicembre 2022) vede Ammirati come Presidente, il politico Goffredo Maria Bettini e l’organizzatrice culturale Annalisa De Simone come consiglieri. Alcuni avevano ipotizzato che fosse Bettini il “designando” alla presidenza (dopo l’eventuale fuoriuscita di Ammirati), ma le dimissioni di Nicola Zingaretti da Segretario del Partito Democratico (Bettini è una sorta di suo alter ego) avrebbero indebolito questa prospettiva. 

Alcuni prevedono peraltro che, con il nuovo Cda di Cinecittà ed il venir meno di Ammirati nel ruolo di Presidente, si apra per la manager Rai (che pure dirige un’area centrale dell’economia della tv pubblica, qual è la fiction) una prospettiva ancora più ambiziosa, ovvero la presidenza di Viale Mazzini… Il suo nome è tra i più accreditati, assieme a quella della sua predecessora Tinny Andreatta, andata a guidare la produzione italiana di Netflix dal giugno 2020.

Il piano di rilancio di Cinecittà (col sostegno di Cassa Depositi e Prestiti) resta misterioso

Ignoto, almeno ai più, è invece il “piano di rilancio” di Cinecittà. 

Si ha soltanto notizia di quel che il Ministro Franceschini ha annunciato, ovvero il coinvolgimento intenso di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), anche al fine di raddoppiare gli spazi degli “studios”.

Si tratta della seconda inedita “liaison” tra Cpd (guidata da Fabrizio Palermo) e Mic, in parallelo all’esperienza controversa della neo-costituita ItsArt (= “Italy is Art”), ovvero “la Netflix italiana della cultura”, che resta ancora misteriosa creatura (il suo lancio è stato rimandato, di mese in mese, ed è ora atteso per inizio maggio: vedi “Key4biz” del 15 aprile 2021, “Netflix, artisti al Governo: “Limitare strapotere Ott. Niente equo compenso con lo streaming”).

Alcuni osservatori sostengono che la scelta di Nicola Maccanico sarebbe stata codeterminata anche dal riassetto che il gruppo Sky sta mettendo in atto in queste settimane, a fronte di una probabile crisi: dopo l’ingresso prepotente di Dazn nel business del calcio televisivo italiano (dopo 18 anni di diritti tv della “serie A” detenuti ininterrottamente da Sky, dalla prossima stagione – e per almeno tre anni – tutte le partite del campionato di calcio saranno trasmesse da Dazn), si prospetta un ridimensionamento della forza-lavoro, con il rischio di taglio di un quarto di coloro che – tra dipendenti diretti ed indotto – lavorano per il gruppo (alcuni stimano circa 2.500 persone su un totale di circa 11.000 addetti). 

Per quanto riguarda Chiara Sbarigia, alcuni osservatori sostengono che la manager rappresenti comunque una sorta di “longa manu” degli uomini che guidano le due più potenti lobby del settore, ovvero giustappunto Apa (produttori televisivi), Giancarlo Leone, ed Anica (produttori cinematografici), Francesco Rutelli

Si tratta comunque di una nomina che – correlata a quella di Nicola Maccanico – evidenzia una indubbia volontà del Ministro Franceschini di imprimere una svolta “aziendalista” a Cinecittà, in una prospettiva di “mix” tra pubblico e privato. Si ricordi che sia Apa sia Anica aderiscono a Confindustria, e sia Maccanico sia Sbarigia sono di fatto loro espressioni.

Nessuna presa di posizione da parte dei sindacati dei lavoratori o delle associazioni degli autori, rispetto alle nomine di Maccanico e di Sbarigia: tace la triade CgilCislUil; tace la triade Anac100autoriWgi… 

Nicola Borrelli (Dg Cinema e Audiovisivo Mic): su Cinecittà “è tutto in costruzione”

Va ricordato che, poco più di un mese fa, l’Associazione degli Autori Cinematografici (Anac), presieduta da Francesco Ranieri Martinotti, aveva promosso un convegno, intitolato “Cinecittà bene comune del cinema italiano” (clicca qui per la registrazione del webinar, sulla piattaforma AnacKino), in occasione del quale il Direttore Generale della Dg Cinema e Audiovisivo del Mic Nicola Borrelli aveva evidenziato come il piano di rilancio fosse ancora sottoposto a variabili piuttosto aleatorie: “è tutto in costruzione. Cinecittà è tornata completamente in mano pubblica. Si è riusciti a conservare le professionalità ed è stato un miracolo, perché il Ministero ha fatto il suo anche quando Cinecittà Studios era in mano privata, quindi una parte del merito per aver conservato le professionalità che ancora ci sono in questo momento, e ce le teniamo strette, va dato in parte anche al Ministero che ha sempre fatto il possibile e l’impossibile, esponendosi anche a critiche, per evitare la dispersione del patrimonio anche professionale di Cinecittà, e il passaggio in mano pubblica è stato un momento conclusivo che ha tolto via alcune incoerenze, alcune incongruità che, nel corso dei decenni, il percorso di privatizzazione ha dimostrato”. Il Dg, in occasione del convegno del 13 marzo, ha precisato che “la legge di bilancio interviene su Cinecittà, prevede una governance diversa, la trasforma in società per azioni e dispone un aumento di capitale sociale di 10 milioni, legato a una progettualità e un piano industriale che deve essere, quanto più possibile coerente e credibile”. Questa sarebbe la fase di breve periodo: “in contemporanea, c’è l’ipotesi di inserire un progetto di investimento complessivo nel piano nazionale e nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, rispetto al quale bisogna dire due cose: cioè che si tratta ancora di un’ipotesi e che il tema vero non è tanto il coinvolgimento del governo, perché anche con il nuovo governo c’è la piena sintonia e la piena volontà di portare al termine il percorso, ma c’è il tema generale legato agli aiuti di Stato, che deve essere contrattato con la Commissione Europea. In questo momento, il problema principale è la mancanza di spazi, di studi. Alcune produzioni non possono essere ospitate a Cinecittà per mancanza di spazi”.

300 milioni di euro, dal “Recovery Plan”, per il rilancio di Cinecittà

Si ricorderà che, rispetto al “Pnrr”, è stata proprio questa testata a segnalare tra i primi la decisione di Dario Franceschini di allocare 300 milioni di euro del “Recovery Plan” agli “studios” di via Tuscolana (vedi “Key4biz” del 15 gennaio 2021, “Recovery Plan, 300 milioni per il rilancio di Cinecittà”), come da bozza del documento approvato dal Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2021. 

Il 19 novembre 2020, il Ministro aveva comunque già annunciato: “l’ipotesi su cui stiamo lavorando è che il gruppo Cdp entri in Cinecittà. Questo consentirà di conferire a Cinecittà un’area grande come quella attualmente occupata dagli studios. Un’area di proprietà di Cdp, che confina con Cinecittà e che consentirebbe di raddoppiarne gli spazi e allo stesso tempo di far entrare un partner industriale, ovvero Cdp o le sue società. Stiamo costruendo le condizioni per un salto di qualità assoluto: una grande operazione industriale per l’Italia e per Roma. Non è fuori luogo parlare di Hollywood europea”. 

In audizione di fronte alle Commissioni Cultura di Camera e Senato, Dario Franceschini, a metà marzo, ha confermato questa prospettiva, nell’economia dei 5,6 miliardi di euro destinati allo sviluppo del sistema culturale nazionale: “abbiamo pensato a un ampliamento di Cinecittà nella zona attuale e stiamo pensando di rafforzare il suo ruolo e fare un grande investimento nel settore del cinema e dell’audiovisivo”. 

Manteniamo perplessità su questo grandioso annuncio di Cinecittà come novella “Hollywood europea”, ma attendiamo di conoscere l’ancora oggi misterioso “piano di rilancio” di via Tuscolana, sperando di poterci ricredere.

Anche su questo tema, va invocata maggiore trasparenza e magari anche una condivisione con la comunità culturale nazionale.