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Cina. L’AI in parata militare con droni, robot e armi automatizzate

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Missili ipersonici e per testate nucleari, droni a guida autonoma in cielo, terra e mare, cani da guerra e soprattutto tanti armamenti dotati di soluzioni di intelligenza artificiale portati per mostrare al mondo i muscoli tecnologici dell’esercito cinese.

La Cina e il suo esercito dai muscoli tecnologici

Entro il 2030, la Cina potrà contare su un arsenale di 1.000 testate nucleari, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Ma non è l’unica brutta notizia, perché sono stati presentati anche dei nuovi missili balistici a testata nucleare che possono essere lanciati da piattaforme mobili e con una capacità di gittata di oltre 12.000 km.
In particolare, colpisce il DF-5C con una gittata massima stimata in 20.000 km.
Roma dista da Pechino “solo” 8.000 km circa, New York poco meno di 11.000.

La parata militare che la Repubblica popolare cinese ha messo in scena, per celebrare l’80° anniversario di quella che l’Esercito popolare di liberazione definisce la vittoria nella ‘Guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese’, ha colpito per dimensioni e soprattutto per il livello di innovazione tecnologica che caratterizza gran parte delle armi e dei mezzi da guerra dispiegati nel percorso.

Una manifestazione sfarzosa (secondo fonti taiwanesi sono stati spesi da Pechino circa 5 miliardi di dollari), a cui hanno preso parte 10.000 militari al passo dell’oca e che ha impressionato per lo “showroom all’aperto” delle migliori tecnologie militari in possesso della Cina (e anche in vendita).

Secondo gli analisti e gli esperti di armamenti e sistemi difensivi che hanno seguito la manifestazione, l’esercito, la marina e l’aviazione cinesi sono ormai dotate di tecnologie automatizzate, robotiche e dotate di soluzioni di intelligenza artificiale (AI) molto avanzate e in molti casi sconosciute.

Droni, robot e tanta AI

Si è visto sfilare il super drone sottomarino (di grandi dimensioni) AJX-002, lungo fino a 20 metri, impiegabile ufficialmente in missioni di sorveglianza e ricognizione, accompagnato dal nuovo drone d’attacco stealth GJ-11.

Diversi i droni a guida autonoma presentati in parata, molti dei quali dotati di sistemi AI, ma hanno subito catturato l’attenzione anche i “lupi da guerra”, i cani robot che sono utilizzabili sul campo di battaglia per attaccare o dare la caccia al nemico (umano o robot che sia), per attività di ricognizione e sorveglianza, per sminare e recuperare materiale e soldati feriti.

Ma qual è l’efficacia militare di quest’AI?

Per esaminare in maniera professionale quanto visto in parata, si potrebbe ancora ricorrere al detto “tanto fumo e niente arrosto”, vecchio quanto efficace nel descrivere certe situazioni, perché un conto è mostrare capacità, un conto è essere davvero capaci.

Oltre la capacità tattica e operativa, c’è anche da valutare quanto efficiente sia l’impiego di queste soluzioni AI nei momenti di crisi e in quelli dell’attacco o della difesa veri e propri.
Secondo Michael Raska, professore associato nel programma di trasformazioni militari presso la Nanyang Technological University di Singapore, i cinesi hanno visto dall’Iraq all’Ucraina che in guerra ormai si può tranquillamente lanciare droni addosso al nemico per ripotare successi e vittorie in sequenza.
Ma la realtà è ben più complessa.

La prontezza nella kill chain è fondamentale, in una battaglia in rapida evoluzione le decisioni devono essere prese in nanosecondi per rendere un attacco efficace e ottenere il sopravvento sul nemico”, ha spiegato Alexander Neill, ricercatore associato del Pacific Forum.

La Cina è in grado di gestire questa tecnologia e ottenere risultati sul campo soddisfacenti?”, si chiede Raska.

L’approccio “top down” e il modello di innovazione “fusione civile-militare”

A livello operativo, secondo gli esperti, gli Stati Uniti hanno un vantaggio che va ben oltre l’innovazione tecnologica: in ogni situazione, le unità sul campo sanno che in momenti di emergenza (come nel caso di impossibilità delle comunicazioni tra reparti e con il comando) devono provvedere a muoversi in autonomia (caratteristica tipica delle legioni romane che tanto ha affascinato il militare moderno).

I cinesi invece (a quanto pare) non sono capaci: se non arrivano comandi dall’alto, le truppe del dragone ancora non sanno che fare sul campo. Un modello culturale prima ancora che militare che si ritrova anche nel progresso tecnologico che ha caratterizzato la Cina.

Pechino oggi sta applicando un modello sistematico e aggressivo per la modernizzazione delle sue forze armate, il People’s Liberation Army (PLA), e il segreto è la “fusione civile-militare“, sempre frutto del modello top down.

Integrare conoscenze scientifiche universitarie nell’apparato militare

Questo concetto, promosso direttamente dal leader Xi, mira a superare i confini tradizionali del settore della Difesa, attingendo direttamente alle innovazioni e alle competenze del mondo civile, in particolare nel campo dell’intelligenza artificiale. L’obiettivo, si legge in un articolo di Josh Chin per il Wall Street Journal, non è semplicemente acquisire tecnologie, ma integrare profondamente la ricerca e lo sviluppo di università e aziende private nelle strategie e nei sistemi militari.

Le università non sono più solo centri di ricerca teorica, ma partner attivi nella progettazione e nello sviluppo di soluzioni militari concrete. Un caso emblematico è quello della Shanghai Jiao Tong University. In un solo anno, l’ateneo ha firmato ben 14 contratti di difesa legati all’AI, dimostrando il suo ruolo centrale in questa strategia.

Il progetto più significativo emerso dai dati di ricerca di Georgetown University è un sistema di “kill webs” automatizzate, capace di coordinare droni, navi e missili in tempo reale durante i combattimenti in mare. Questo sistema, basato sulla teoria statunitense della “decision-centric warfare” è stato concepito e testato dai ricercatori dell’università, che hanno simulato scenari di attacco missilistico, dimostrando la capacità del sistema di generare opzioni tattiche in meno di tre secondi.

Questo esempio chiarisce il modello: la ricerca accademica e gli studi teorici vengono rapidamente convertiti in progetti con applicazioni militari immediate, colmando il divario tra il settore della difesa e l’innovazione civile.

Un sistema di appalti per la Difesa rapidi e aperti alle imprese

A differenza di altri paesi, la Cina ha scelto di aprire parte dei suoi appalti della Difesa a offerte pubbliche, creando un canale diretto per le aziende private e le università per contribuire. I dati analizzati da CSET (Center for Security and Emerging Technology) rivelano l’efficacia di questa politica: su quasi 3.000 bandi di gara relativi all’AI tra il 2023 e il 2024, oltre 300 fornitori hanno vinto contratti multipli.
La maggioranza di questi, l’85%, sono entità non tradizionalmente parte dell’industria della Difesa statale, come giovani startup e atenei civili.

Aziende come iFlytek Digital, un’entità spin-off della società di riconoscimento vocale iFlytek Co. (già sanzionata dagli USA), e Sichuan Tengden Sci-Tech Innovation, produttrice di droni come il “Twin-Tailed Scorpion“, sono tra i principali vincitori di questi appalti.

Ciò dimostra che la Cina sta creando un vasto ecosistema di fornitori che accelerano la modernizzazione militare, rendendo più difficile per i paesi occidentali, come gli Stati Uniti, limitare in qualche modo la sua ascesa tecnologica.

In un’epoca in cui i conflitti militari potrebbero essere decisi non dalla potenza di fuoco, ma dalla velocità di calcolo e dall’efficacia dei sistemi autonomi, l’approccio cinese “top-down” che coinvolge attivamente università e settore privato potrebbe rivelarsi la chiave per un possibile quanto pericoloso vantaggio tecnologico e militare.

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