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Cina, al via il nuovo visto “K” per attrarre talenti stranieri del settore tech

Pechino ha avviato un nuovo programma di visti pensato per attrarre professionisti stranieri specializzati nel settore tecnologico. Una mossa tutt’altro che sorprendente se si considerano i piani strategici del gigante asiatico e i massicci investimenti nell’intelligenza artificiale: un ecosistema dal valore stimato di 70 miliardi di dollari, che conta oltre 4.300 aziende attive in settori chiave dell’economia.

Pur disponendo già di un’ampia base di ingegneri qualificati, l’iniziativa si inserisce nel contesto delle crescenti tensioni geopolitiche con Washington e punta a rafforzare l’immagine della Cina come Paese aperto a investimenti e talenti internazionali.

Il contrasto con gli Stati Uniti è evidente: l’amministrazione Trump ha recentemente proposto di imporre alle aziende un costo annuale di 100.000 dollari per i visti H-1B, molto utilizzati dalle tech company americane per assumere personale altamente qualificato dall’estero.

Negli ultimi mesi, al contrario, Pechino ha accelerato le aperture: maggiore accesso ai settori strategici per gli investitori internazionali e introduzione di visti agevolati o esenzioni per cittadini provenienti da gran parte dell’Europa, dal Giappone e dalla Corea del Sud.

Tempismo perfetto

In particolare, il visto K è rivolto a giovani laureati stranieri in discipline STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica). Consente ingresso, residenza e lavoro anche senza un’offerta di impiego: un vantaggio significativo per chi cerca alternative al mercato del lavoro statunitense.

Anche Paesi come Corea del Sud, Germania e Nuova Zelanda stanno allentando le regole sui visti per attrarre lavoratori qualificati.

Il principale punto di forza del visto K è l’assenza dell’obbligo di un datore di lavoro sponsor, considerato uno dei maggiori ostacoli dell’H-1B, che prevede invece sponsor aziendale, lotteria annuale e soli 85.000 posti disponibili. Il nuovo balzello rischia di scoraggiare ulteriormente i candidati.

È un’alternativa interessante per i professionisti indiani STEM, che cercano visti più flessibili e snelli”, ha detto Bikash Kali Das, studente indiano alla Sichuan University.

L’India, infatti, è stata il principale beneficiario degli H-1B nel 2023, con il 71% delle approvazioni.

Limiti e ostacoli

Nonostante il potenziale, il visto K presenta diverse criticità. Le linee guida parlano genericamente di requisiti legati a “età, istruzione ed esperienza”, senza fornire dettagli su incentivi economici, procedure di residenza permanente o ricongiungimento familiare. Inoltre, la cittadinanza cinese resta praticamente inaccessibile agli stranieri.

Altro freno è la lingua: gran parte delle aziende tech cinesi operano in mandarino, limitando le opportunità per chi non lo parla. Le tensioni politiche con l’India potrebbero inoltre influenzare il numero di professionisti indiani che la Cina è disposta ad accogliere.

Per chi è davvero il visto K?

Storicamente, i programmi di reclutamento cinesi si sono concentrati su scienziati della diaspora e professionisti di origine cinese. Negli ultimi anni sono stati offerti bonus alla firma fino a 5 milioni di yuan (circa 700.000 dollari) e sussidi per l’acquisto di case, con l’obiettivo di riportare in patria talenti STEM formati negli Stati Uniti, soprattutto in un contesto di crescente diffidenza da parte di Washington.

Immigrazione: Cina vs Stati Uniti

Gli Stati Uniti contano oltre 51 milioni di immigrati, pari al 15% della popolazione, contro circa 1 milione di stranieri residenti in Cina, meno dell’1%.

Gli analisti ritengono improbabile che Pechino trasformi la propria politica migratoria per accogliere milioni di lavoratori stranieri. Tuttavia, il visto K potrebbe comunque rafforzare la sua posizione nello scontro geopolitico con Washington.

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