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Chip, gli USA investono 52 miliardi di dollari. Pronti ad attaccare il mercato cinese

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Washington potenzia l’industria nazionale dei chip

Gli Stati Uniti sembrano intenzionati a muoversi su due fronti per ricavare un vantaggio diretto e immediato sul mercato globale dei chip: da una parte aumentare la produzione interna con nuovi investimenti miliardari, dall’altra infastidire in ogni modo possibile i fornitori cinesi.

Secondo quanto riportato in un articolo pubblicato dalla Reuters, il Governo americano è seriamente intenzionato a percorrere entrambe le strade.

Per potenziare l’offerta interna di chip il Congresso ha approvato un piano di investimenti di circa 52 miliardi di dollari, parte integrante del CHIPS and Science Act da 280 miliardi di dollari votato per rafforzare l’innovazione scientifica e tecnologica degli Stati Uniti.

Obiettivo primario del provvedimento è sostenere e facilitare il lavoro dei produttori di chip per una vera e propria filiera “made in America”, che garantisca una crescente fabbricazione di semiconduttori direttamente su territorio nazionale.

Questo significherebbe una minore dipendenza dalle supply chain globali, soprattutto dai fornitori cinesi e asiatici in generale, ma anche più posti di lavoro (tema centrale per la campagna elettorale in corso in vista delle elezioni di mid term a novembre).

Il problema è che dopo il voto del Congresso, manca solo la firma del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, per la sua conversione in legge.

L’attacco ai produttori cinesi

Fin qui il potenziale industriale americano, che potrebbe anche aumentare con il passare degli anni, ma non abbastanza secondo gli analisti per dominare la scena globale.

Riguardo il mercato mondiale dei chip e dei semiconduttori, il ragionamento di base riportato dall’articolo è il seguente: se non puoi fare meglio dei tuoi rivali, almeno cerca di dargli fastidio e di ridurre il loro vantaggio.

Così Washington potrebbe ridurre, se non bloccare in determinate condizioni, le forniture di componenti chiave ai produttori di chip dell’area di influenza cinese, come ad esempio soluzioni di storage basate su tecnologia Nand che sono centrali per le memorie basate su semiconduttore SSD (drive a stato solido, sostitutivi degli hard disk tradizionali) e altri storage flash (tecnologia a stato solido che utilizza chip di memoria flash per la scrittura e l’archiviazione dei dati)

Si tratta di strumenti tecnologici avanzati e utilizzati per creare chip con 128 strati, fino a 176 e oltre.

Il mercato mondiale parla asiatico

I produttori americani Micron e Western Digital rappresentano oggi poco più del 23% dell’industria mondiale di Nand, mentre a dominare con il 35% è la coreana Samsung.

Più in generale il mercato mondiale dei semiconduttori vede la taiwanese Tsmc sul podio più alto con il 54% del totale, seguita da Samsung con il 17% e un’altra taiwanese la Umc con il 7%. L’americana GlobalFoundries si piazza al quarto posto con quasi il 7%, seguita dalla Smic al quinto con il 5%.

Sempre secondo la Reuters, il Governo americano sarebbe intenzionato a ridurre sensibilmente queste forniture tecnologiche ai grandi produttori di chip cinesi come la Semiconductor Manufacturing International Corporation (Smic) o la Yangtze Memory Technologies Company (Ymtc), colpendo indirettamente anche Samsung che produce stabilmente in Cina.

La resistenza di Pechino

Il problema è che gli altri non rimangono fermi ad aspettare. Ad esempio, nonostante le sanzioni commerciali americane, Smic sta sviluppando dei nuovi chip di 7 nanometri modellati sul progetto del concorrente di taiwanese Tsmc.

Ymtc nel frattempo ha ricevuto finanziamenti per 24 miliardi di dollari da Pechino per implementare ed innovare la produzione di chip cinese.

Sall’altra sponda del Pacifico, Micron ha risposto con un nuovo chip Nand a 232 strati che potrebbe portare a SSD da 200 TB.

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