Competenze

CDTI Forum. Intelligenza artificiale, blockchain e abracadabra digitali: ma dove stiamo nell’economia digitale?

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Serve un piano nazionale di educazione e formazione digitale in logiche interdisciplinari, per tutte le tipologie di innovazione digitale, anche normativa.

La rubrica CDTI Forum“, curata dai soci del Club Dirigenti Tecnologie dell’Informazione (CDTI) di Roma e promossa da Key4biz, si propone come un riferimento per il mondo Ict romano nell’approfondimento dei temi di maggior interesse tecnico-economico del settore. Per consultare tutti gli articoli clicca qui.

Siti, portali, piattaforme di improbabile utilità e di scarsa o assente interattività, privi di architettura dati e interfacce usabili, sprovvisti di motori di ricerca interni, estranei a servizi digitali e inottemperanti all’obbligo di pubblicazione aggiornata dei procedimenti e dei servizi amministrativi oggetto d’accesso.

Le cause dell’arretratezza digitale del sistema Paese sono molteplici: da un lato la cronica impreparazione del personale delle amministrazioni pubbliche che dal 2014 si è ulteriormente aggravata a seguito dell’accorpamento per ‘distruzione’ delle scuole di formazione pubblica comunque consolidate: SSEF, SSAI, Diplomatico, ecc.

Non esiste un piano di formazione curricolare per il personale e per la dirigenza in materia di ICT o addirittura in innovazione e trasformazione digitale.

Cosa sappiano fare con il cloud, le piattaforme ‘abilitanti’, le procedure informatizzate e da informatizzare e come possano proporre gare e progetti innovativi le amministrazioni è un mistero. Forse che una domanda ignorante facilita un’offerta talora banale, insufficiente e costosa nel mercato dell’innovazione tecnologica?  Non possiamo pensarlo, ci mancherebbe. Ché l’innovazione digitale, si badi bene, è da sempre anche giuridico-normativa ed economico-manageriale. Dove e quando si sarebbero formate le nuove competenze digitali mentre l’Europa e perfino l’AGiD sfornano liste di profili di nuove competenze digitali, talmente parcellizzate e parziali, che butterebbero fuori dal sistema, se verificate, il 90% degli addetti nelle aziende e nelle istituzioni e dei vendor.

E, dunque, a chi la responsabilità di non aver preteso che la valanga di soldi pubblici spesi nei vent’anni trascorsi fosse controllata e orientata ai servizi digitali effettivi e a una reale digitalizzazione nel pubblico? Decantare addirittura la piattaforma SPID come soluzione tecnologica di intelligenza artificiale fa piangere la ricerca e sorridere gli OTT che essendo in cima alla rivoluzione tecnologica in corso preferiscono vendere tecnologie wishful thinking al popolo degli ignari cui almeno toccherà la benedizione consolatoria della divina provvidenza.

Ciò che stupisce ieri, come speriamo non oggi, è che all’arretratezza culturale digitale nel pubblico, il mercato, con grande promozione europea, proponga soluzioni di intelligenza artificiale e blockchain che non esistono ancora per applicazioni specifiche, ovviamente essendo questi ambiti di straordinaria rilevanza nello sviluppo ma di complessa e difficile finalizzazione applicativa nei comparti e negli obiettivi di attuazione, nel pubblico come nel privato. Servono, in altri termini, progetti finanziati e finalizzati, non chiacchiere di contorno.

Nel privato, oltre alla conclamata richiesta di nuove skill da parte della UE, nel terziario come nei servizi in genere, stupisce che non siano decollati piani di formazione permanente e finalizzata, se non altro per giustificare le logiche implicite nell’Industry 4.0.

Infine, che dire del mercato del lavoro aperto per i giovani e meno giovani disoccupati nella prospettiva di competenze digitali. Altro che riduzione dei posti di lavoro: si tratta di un importante upgrading delle occupazioni, da costruire con la formazione. Ad esempio, la formazione nel reddito di cittadinanza potrebbe prevedere una seria preparazione digitale, concordata con le aziende, considerato che le università latitano nella formazione interdiscipinare digitale di base, da economia a diritto da beni culturali a territorio, ecc.

Questa drammatica situazione di sottoalfabetizzazione digitale, di cui c’è diffusa consapevolezza, alla faccia delle sciocchezze spese sul concetto di ‘nativo digitale’ per i giovani, non spiega il dubbio amletico sull’utilizzo o meno degli abracadra e dei mantra verbali quali l’intelligenza artificiale, l’Industry 4.0, la blockchain, evocati come immagini taumaturgiche della redenzione digitale necessaria e auspicata nei convegni, nelle conferenze e negli incontri di mercato.

Come soleva dire un mio conterraneo veneziano di cui ho perso traccia: “bisogna studiare”, nel pubblico come nel privato, formare la società contemporanea in prospettiva digitale interdisciplinare, riconvertire al pensiero digitale il management, pubblico e privato, e gli addetti. Ma, per il momento, soprattutto, occorre rallentare le fughe in avanti, concentrandosi su policy articolate di economia e competenze digitali serie, nel pubblico come nel privato.

Cerchiamo di non rincorrere semplicemente l’Europa che promuove programmi importanti ma fuori portata, anche in altri stati europei, e consentiamo all’Italia che è in coda a tutti nella digitalizzazione, di non essere censita favorevolmente solo per possesso di telefoni cellulari.

E dunque, serve un piano nazionale di educazione e formazione digitale in logiche interdisciplinari, per tutte le tipologie di innovazione digitale, anche normativa. A titolo di esempio, ci permettiamo di segnalare il primo Master a Tor Vergata in materia di Competenze digitali interdisciplinari in cybersecurity, cyberhtreat e privacy che vedrà la seconda edizione a febbraio prossimo. Il partenariato che lo ha espresso vede la presenza sistematica delle aziende specialiste del settore e degli ordini professionali, invitati a discutere di queste prospettive alla Conferenza del 6 novembre scorso co-promossa dal Club dirigenti delle tecnologie dell’informazione, che ha creato uno spazio apposito di studio e analisi di profili professionali in materia.

Serve una concordanza di visione pur nell’articolazione necessaria di sistema. Il nostro è un tavolo aperto, anche per il governo.

Articolo a cura di Elisabetta Zuanelli, Presidente CReSEC/Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – Consigliere CDTI