Key4biz

Cda Rai, Draghi si affida ai cacciatori di teste di Egon Zehnder per Presidente e Ad?

Come si poteva prevedere (temere?), nulla di realmente nuovo rispetto al “fronte” Rai, ovvero specificamente riguardo alla imminente (la data non è però ancora stata fissata) elezione dei 4 componenti del Consiglio di Amministrazione da parte della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, dopo la pubblicazione, avvenuta a distanza di una settimana rispetto al termine del 30 aprile 2021 per le auto-candidature (vedi “Key4biz” di venerdì scorso 7 maggio, “Cda Rai, pubblicati gli elenchi ufficiali di 194 aspiranti. Ma i requisiti?”).

Nessun esponente politico ha preso posizione netta e chiara rispetto alla procedura, che, ad oggi, continua ad essere completamente priva di una pur minima logica di pubblica trasparenza e di analisi comparativa.

Lo scenario resta immutato: almeno s’è un po’ chetata la querelle “Fedez vs Rai”, che certamente ha contribuito al marketing del rapper della premiata (dal mercato) ditta (e coppia) “Ferragnez” (Fedez + Chiara Ferragni), anche se qualcuno ha addirittura sostenuto che ci troviamo di fronte ad una nuova specie di “player” sullo scenario della “politica spettacolo”… Su “Italia Oggi” di sabato 8, Martino Loiacono, in un articolo efficacemente intitolato “La vicenda di Fedez dimostra quanto sia diventato debole il sistema politico e forti invece i social media”, ha segnalato la nascita di una nuova figura, il “social leader”, colui che è capace di dettare l’agenda politica ed al contempo promuovere il suo brand condizionando una trasversalità di pubblici. Interessante analisi: “alla luce di quanto accaduto, è doveroso notare che questi non può essere più ritenuto un cantante o influencer, ma va considerato come un social leader. Una figura capace di porre temi politici e renderli prioritari, portando la politica a schierarsi secondo una logica binaria: o con lui o contro di lui. Ma anche di lanciare una linea di smalti (NooN by Fedez) riuscendo ad attirare l’attenzione dei milioni di follower che lo seguono. Insomma, un ruolo fluido che grazie alla forte presenza sui canali social gli permette di passare dal marketing, alle questioni politico-sociali senza soluzione di continuità”. Inquietante prospettiva: in effetti, Fedez potrebbe essere eletto in Parlamento a furor di popolo…

Non è ben chiara la dinamica relativa alla proposta di bilancio dell’esercizio 2020 della Rai, ed il solito martellante esponente di Italia Viva, Michele Anzaldi, rinnova denunce a gogò, accusando Viale Mazzini di star ritardando i tempi di formalizzazione perché ciò consentirebbe al Presidente Marcello Foa ed all’Amministratore Delegato Fabrizio Salini di restare sulla plancia di comando qualche settimana o anche soltanto qualche giorno in più. Comunque, quanto ci è dato sapere, la proposta di bilancio ad oggi non è stata ancora trasmessa da Rai agli azionisti Mef e Siae. Curiosa vicenda…

In verità, crediamo che sia il Presidente sia l’Ad abbiano piena coscienza che il loro destino (a Viale Mazzini) è vicino alla fine, e non a caso Marcello Foa ha ritenuto di auto-rappresentarsi al meglio con un’intervista concessa al “Corriere della Sera” (firmata da una assai benevolente Antonella Baccaro), domenica scorsa 9 maggio.

Ci limitiamo a riportare due passaggi-chiave: “il bilancio è molto positivo: sono stati tre anni difficilissimi, con tre governi e due ondate pandemiche” e “la politica non condizioni la Rai: bisogna rispondere soltanto al Mef”. Come dire?! A Roma, s’usa dire dire “chi si loda, s’imbroda”, e, rispetto alla tesi dell’ormai quasi ex-Presidente, ci sembra trattarsi di una interpretazione veramente soggettiva e distorta: crediamo che la Rai debba rispondere anzitutto al Paese, alla collettività, e poi comunque a chi questa collettività rappresenta: il Parlamento, prima ancora del Governo. Prima ancora di rispondere – come invece teorizza Foa – ad un singolo Ministro, che rappresenta formalmente l’azionista di maggioranza, senza peraltro dimenticare che esiste anche quella quota – simbolica, ma nemmeno tanto (volendo assegnarle senso strategico) – dello 0,44 per cento delle azioni di Rai spa detenuta dalla Società Italiana Autori Editori, alias Siae.

Chi sta controllando se i 194 candidati al Cda Rai possiedono qualcuno dei 6 pre-requisiti di legge?

Venendo alle nomine ovvero elezioni dei 4 consiglieri, su queste colonne, venerdì scorso, abbiamo analizzato come la legge preveda di fatto dei pre-requisiti: “Possono essere nominati membri del consiglio di  amministrazione i soggetti aventi i requisiti per la nomina a giudice  costituzionale ai sensi dell’articolo 135, secondo comma, della Costituzione o, comunque, persone di riconosciuta onorabilità, prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali” (così recita l’articolo 49 del decreto legislativo n. 177 del 31 marzo 2021).

In sintesi, recita la legge: 1) magistrati (anche a riposo); 2) professori ordinari di università in materie giuridiche; 3) avvocati dopo 20 anni di esercizio; e, in alternativa, (4.) “riconosciuta onorabilità”; (5.) l’essersi “distinti” “in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale”, nonché (6.) significative esperienze manageriali”.

Abbiamo posto una domanda: il possesso di questi requisiti è stato verificato dai competenti uffici delle presidenze di Camera e Senato?!

A naso, sembrerebbe di no.

Per quale ragione?!

Perché deve essere proprio evidente e plateale che trattasi di una piccola grande farsa messa in scena dalla partitocrazia di sempre?!

Abbiamo segnalato che di fatto basterebbe una semplice attività di “fact checking”, per così dire: un tabulato con l’elenco dei 194 candidati e 6 colonne sei, nelle quali un “tag” vada ad evidenziare il possesso o meno di uno o più dei requisiti…

Temiamo che i Presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati non abbiamo provveduto ancora a chiedere ai funzionari questa verifica.

L’auspicio si rinnova: i tempi tecnici ci sono.

Se ci fosse – come s’usa dire – la volontà politica: ma la “volontà politica” c’è?!

La semplice verifica di questi pre-requisiti non determina certamente un lavorio tremendo per gli uffici di Camera e Senato.

Attendiamo fiduciosi. Anche un qualche parlamentare di Camera e Senato potrebbe semplicemente proporre questa istanza: altrimenti sarà condannato a leggere proprio tutti e 194 i cv? Non prendiamoci in giro, suvvia.

Se gli elenchi ufficiali dei 194 candidati di Camera e Senato sono stati ufficializzati nella mattinata di venerdì 7 maggio, nel pomeriggio della stessa giornata si è tenuto il convegno semi-clandestino promosso da Articolo Uno, che è stato oggetto di segnalazione giornalistica soltanto da parte di questa testata (e ciò basti, per comprenderne i limiti comunicazionali).

Il convegno di Articolo Uno di venerdì scorso: Fornaro, “un sistema duale” per la Rai, un “Consiglio di Sorveglianza” e un “Consiglio di Gestione”

Si ricordi che Articolo Uno è un partito politico fondato nel febbraio 2017, frutto di una scissione dal Pd, e fino al novembre 2018 associato elettoralmente a Liberi e Uguali (Leu). Segretario il Ministro della Salute Roberto Speranza. L’incontro di venerdì è stato veicolato su YouTube, è stato intitolato “La governance della Rai e la riforma del 2015”, ed ha visto la partecipazione di Federico Fornaro (membro della Commissione di Vigilanza Rai), Rita Borioni e Riccardo Laganà (Consiglieri di Amministrazione Rai, rispettivamente “in quota Pd” ed “eletto dai dipendenti”), Mario Morcellini (Direttore Scuola Comunicazione Unitelma Sapienza), Stefano Rolando (Professore Universitario Iulm), Giacomo Mazzone (ex Direttore Relazioni Istituzionali Uer-Ebu), Piero Latino (Responsabile Nazionale Lavoro di Articolo Uno), Bruno Somalvico (Segretario Infocivica – Gruppo di Amalfi), Vincenzo Vita (ex Sottosegretario Ministero Comunicazioni), con le conclusioni di Arturo Scotto (Coordinatore Nazionale di Articolo Uno). Ha condotto Roberto Amen.

Si è trattato di una occasione di confronto senza dubbio interessante (da segnalare in particolare gli interventi di Rolando e Morcellini), l’unica tenutasi nel corso degli ultimi mesi, dopo l’iniziativa della Cgil del novembre 2020  (vedi “Key4biz” del 20 novembre 2020, “Rai, la Cgil apre il laboratorio per la riforma del servizio pubblico”).

L’iniziativa di Articolo Uno è stata anche, ovviamente, una occasione per rilanciare la proposta di riforma della “governance” Rai, di cui è primo firmatario giustappunto Federico Fornaro (che è anche Capo Gruppo di Liberi e Uguali alla Camera): un punto-chiave di questa proposta è rappresentato da una logica da “sistema duale”, che prevede un “Consiglio di Sorveglianza” e un “Consiglio di Gestione”.

L’audience della kermesse è stata veramente modesta, non essendo mai stato superato – secondo i dati di YouTube aggiornati in tempo reale – il tetto dei 35 (trentacinque) spettatori: e qualcuno tra gli intervenienti ha giustamente lamentato che iniziative di questo tipo debbano essere promosse con adeguato coinvolgimento degli “stakeholder”, ovvero della società civile. Altrimenti si tratta di “quattro amici al bar”: raffinati ed intellettuali, ma sempre 4 (o 35 che siano!).

Il “deserto di idee” dei partiti, sulle tematiche della riforma della Rai, è veramente impressionante: depositate le proposte in Parlamento, nessun pubblico dibattito (a parte quello giustappunto di Articolo Uno).

“Prima dell’incardinamento”: domani si avvia realmente il dibattito parlamentare sulla riforma della “governance” Rai?

In occasione dell’incontro promosso da Articolo Uno, è giunta notizia, annunciata proprio in quelle stesse ore (curiosa coincidenza? messaggi in codice tra partiti?) per primo dal senatore Salvatore Margiotta, Capogruppo Pd nella ottava Commissione, Lavori Pubblici e Comunicazioni, che l’Ufficio di Presidenza della Commissione aveva stabilito di incardinare tra due settimane i disegni di legge sulla riforma della Rai: “si è stabilito all’unanimità” – ha precisato Margiotta – “di svolgere nella VIII Commissione, competente per materia, prima dell’incardinamento, e precisamente mercoledì 12 maggio, una discussione aperta a tutti i colleghi che, senza essere componenti della Commissione, abbiano interesse alla materia”.

Tardiva e curiosa accelerazione di un iter il cui avvio era stato annunciato per l’inizio dell’anno…

Sempre in occasione dell’incontro promosso da Articolo Uno, uno dei relatori, Giacomo Mazzone, ha fatto cenno ad un “appello”, un po’… misterioso, che sarebbe stato reso di pubblico dominio martedì 11 maggio (tenuto fino ad allora sotto “embargo” per incomprensibili ragioni).

E, verso le ore 10 di questa mattina, l’appello è finalmente stato pubblicato sulla versione web del mensile specializzato “Prima Comunicazione”: reca la firma di 119 firmatari: intellettuali, accademici, manager con esperienze a Viale Mazzini, esperti di media, persone comunque convinte che si debba valorizzare il sistema radio-televisivo pubblico nel nuovo scenario rivoluzionato dai “big tech” e dagli “over the top”.

Si tratta di un’iniziativa senza dubbio interessante, molte delle firme sono note e finanche illustri, e non deve importare se “l’età media” è discretamente alta (c’è un qualche “under 30”, nella eletta schiera?!), anche se si comprende che deve essersi trattato di un appello frutto di cooptazioni relazionali incrociate, non esattamente un appello “aperto” insomma. (Tra parentesi, le donne sono soltanto 19 su 119 firmatari: si conferma, ancora una volta, questo spiacevole squilibrio: un 16 per cento del totale, una quota percentuale curiosamente simile a quella dei candidati di genere femminile sul totale di coloro che hanno inviato il proprio cv a Camera e Senato il cv per il Cda Rai…)

Cinque le questioni poste dal documento: 1. “Funzione del soggetto pubblico”; 2. “Informazione”; 3. “Coesione sociale”; 4. “Produzione Nazionale”; 5. “Governo della Rai”.

Innovativo? Non ci sembra.

Dirompente? Certamente no.

E finanche un po’ generico: i firmatari auspicano una Rai finanziata soltanto dal canone (il che rappresenterebbe una posizione netta e chiara)?! Non si capisce, e ciò basti.

Abbastanza chiaro ci appare invece il punto 5.): “L’esperienza estera, e sopra tutte quella inglese, dimostra che non è utopico conciliare vertici nominati dalla politica con una sostanziale stabilità ed autonomia di conduzione dell’impresa in mano pubblica. Punti essenziali sono la separazione fra le fonti di nomina e le funzioni di controllo e rendicontazione, insieme con l’adozione di banali accorgimenti nella turnazione del “Collegio” cui siano conferiti i poteri proprietari. Funziona altrove, funzionerebbe, volendolo, da noi”. Bene, giusto, anche se forse sarebbe opportuno un intervento più radicale, per “isolare” la partitocrazia dal gruppo pubblico mediale.

Cui prodest un simile appello?!

Colpisce, in particolare, la tesi finale, prima dell’elenco delle firme (in rigido ordine alfabetico): “A partire da queste osservazioni ribadiamo la nostra richiesta al Parlamento affinché, superata al meglio l’incombenza delle nomine previste dalla legge, passi alla riforma strutturale del Servizio Pubblico. Contro la fatalità della lottizzazione”.

Come diavolo si può scrivere… “superata al meglio” (?!) la “incombenza delle nomine previste dalla legge”?

Di grazia, è proprio questa… “incombenza” (sic) l’elemento determinante il futuro di breve periodo, e di medio-lungo anche, della Rai: queste nomine ed elezioni saranno quelle che andranno a disegnare la Rai futura! Se l’appello si chiude con la contrarietà alla “fatalità della lottizzazione”, sembra quasi che gli stessi firmatari siano i primi ad essere rassegnati a questa… fatalità!

Perché gli illustri 119 non hanno piuttosto richiesto a Casellati e Fico (e finanche al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella) di mettere in atto una procedura di elezione e nomina che sia trasparente e comparativa???

Basterebbe questa semplice ricetta, per ridurre il gioco occulto delle segreterie di partito!

Un altro appello, presto dimenticato, come il “Manifesto nuova Rai” del marzo 2020?

Temiamo che un appello come questo – di cui pure si deve apprezzare bontà di intenti dei promotori – sia destinato a restare inascoltato, esattamente come è avvenuto oltre un anno fa, con l’iniziativa promossa dall’ex dirigente Rai di lungo corso, Andrea Melodia, di cui siamo stati tra i pochi – su queste colonne – a dar conto giornalisticamente (vedi “Key4biz” del 5 marzo 2020. Si segnala che la petizione su change.org, ad oggi, risulta aver raggiunto 998 firme, rispetto alle “mille” auspicate). Il manifesto “Qualità della comunicazione e nuovo servizio pubblico” è stato promosso dalla Adprai (l’Associazione dei Dirigenti Pensionati) e tra i primi firmatari c’erano Stefano Balassone, Fabrizio Giuliani, Sonia Marzetti, Marco Mele, Otello Onorato, Patrizio Rossano, Celestino Spada… Alcuni di quei firmatari sono anche tra i 119 dell’“appello” odierno.

Questi appelli, queste petizioni producono semplicemente un lieve solletico sulla flaccida pancia dell’elefante partitocratico.

Sono apprezzabili operazioni intellettuali e civili, ma senza alcuna concreta ricaduta politica.

Purtroppo.

Egon Zehnder per Presidente e Ad Rai? Cosa è stato chiesto loro di cercare? E quanto costano?

Da segnalare poi che una “procedura selettiva” altra (ed alta? quanto costa, peraltro, alle casse dello Stato?!) sarebbe invece in corso per le due figure apicali, ovvero il Presidente e l’Amministratore Delegato della Rai: non è stata smentita da Palazzo Chigi la notizia che sarebbe stato incaricata la società specializzata Egon Zehnder, cacciatori di teste che dovrebbero incontrare in questi giorni alcuni potenziali candidati, sia interni alla Rai sia esterni. Anche in questo caso, trasparenza zero. Viene data per sicura una qual certa “alternanza” di “gender”: dei due, Presidente o Amministratore Delegato, uno sarà sicuramente di genere femminile.

Tra i consulenti della multinazionale Egon Zehnder più noti, per quanto riguarda la filiale italiana, si segnala Aurelio Regina (nominato due settimane fa Presidente di Fondimpresa, il fondo interprofessionale per la formazione continua di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil).

Alcuni sostengono che Mario Draghi stia pensando per Rai ad un Amministratore Delegato di alto profilo professionale, che abbia dimostrato di sapere “sistemare i conti” di gruppi di dimensioni economiche notevoli, e che abbia maturato magari una pur breve esperienza anche diretta nelle vicende economico-finanziarie della Rai. Chi redige queste noterelle ha in mente una persona che può vantare questi pre-requisiti, ma non ci piace partecipare al gioco del toto-nomine. Ci piacerebbe leggere di contenuti, di “idee” possibili per la Rai.

Sarebbe interessante sapere “cosa” il Presidente del Consiglio ha chiesto ai cacciatori di teste come requisiti per la scrematura delle candidature: è una pretesa un po’ marziana, la nostra? Non crediamo.

Riteniamo però che, chiunque verrà chiamato a guidare la Rai, dovrebbe assumere un impegno pubblico di fronte al Paese, al Parlamento anzitutto, oltre che nelle ovattate stanze di Palazzo Chigi: un impegno che definisca al meglio il profilo identitario di Viale Mazzini. Quale Rai vuole guidare, e verso quali futuri possibili.

Non basta un “tecnocrate” che metta a posto i bilanci: serve un manager di alto livello che abbia una cultura da servizio pubblico. Insomma, sia consentito: Rai è una impresa pubblica con delle caratteristiche lievemente più delicate di Cassa Depositi e Prestiti… Sono indispensabili, per Rai, sensibilità culturali ed umanistiche particolari. Un mix di “senso dello Stato”, visione culturale lungimirante e convincimento profondo nella funzione di coesione sociale della tv pubblica.

L’appello di #CambieRai per una tv pubblica che superi i modelli “razzisti, sessisti, etnocentrici, cattocentrici ed eteronormativi”

A proposito di… appelli, e a proposito di una auspicabile Rai aperta e plurale, merita essere segnalata una notizia che è stata data soltanto dal sito web “Gli Stati Generali”, che però è rimbalzata sulle pagine del quotidiano britannico “The Guardian” di domenica 9, ed è stata ripresa ieri da Dagospia, con una titolazione come sempre ad effetto. Scrive Roberto D’Agostino: “la Rai finisce sul Guardian. Il prestigioso quotidiano britannico ha raccolto la voce di un gruppo di attivisti che si battono contro il razzismo, l’omofobia, l’antisemitismo e il sessismo e che hanno inviato una lettera di protesta all’emittente pubblica italiana. Titolo: “Italian public broadcaster asked to stop promoting ‘intolerable’ content” (Alla tv pubblica viene chiesto di smettere di promuovere contenuti “intollerabili”)”.

Scrive più accuratamente Chiara Zanini, venerdì scorso 7 maggio, su “Gli Stati Generali”: “non era mai successo prima: la Rai ha accettato di parlare con due attiviste antirazziste. L’ha fatto nel corso del convegno annuale del Dams di Roma Tre, che quest’anno ha per titolo ‘Migrations, Citizenships, Inclusivity. Narratives of Plural Italy, between Imaginary and Diversity Politics’. La tavola rotonda, moderata dal professor Leonardo De Franceschi e da chi scrive, prevedeva diversi ospiti chiamati a raccontare esempi di buone pratiche e azioni positive per favorire pluralismo e diversity, ma è stata l’occasione anche per far dialogare Roberto Natale della direzione Rai per il sociale con due attiviste della campagna #Cambierai, lanciata lo scorso aprile per chiedere un cambio di rotta alla televisione pubblica e a tutti i media”. L’episodio più recente contestato da #CambieRai è stato nella trasmissione “Da noi… a ruota libera” di Rai1, in cui l’attrice Valeria Fabrizi aveva commentato una propria foto usando la cosiddetta “N word” (“sembro una n**a”): la conduttrice Francesca Fialdini non aveva espresso alcuna parola di condanna, lasciando passare il messaggio che si possa fare…

Si ricorda che #Cambierai è campagna promossa da collettivi e persone “razzializzate”, sostenuta da persone che si occupano di antirazzismo, lotta alle discriminazioni, diritti umani e inclusività. L’iniziativa è nata dalla stesura di una lettera indirizzata ai vertici Rai, oggetto di un… “mailbombing”, che ha coinvolto oltre un migliaio di persone. L’appello è promosso da “chi non accetta più la normalizzazione del razzismo nella tv pubblica”.

Attraverso tre “sit-in” (Roma, Milano, Torino) e una copertura mediatica che ha incluso il “New York Times”, ed attraverso uno specifico “hashtag”, #CambieRai si pone come iniziativa di condanna dei modellirazzisti, sessisti, etnocentrici, cattocentrici ed eteronormativi”, che questi attivisti riscontrano nella tv pubblica. Allo stesso tempo, si pone come appello a tutti i media perché non normalizzino forme di razzismo e di discriminazione.

L’attivista Selam Tesfai (dell’associazione “Non Una di Meno”) ha ricordato che la Direzione Rai per il Sociale, rappresentata al convegno dal giornalista Roberto Natale, ha il compito di essere un punto di ascolto, anche di associazioni e terzo settore, “per non lasciare indietro nessuno” (come si legge nel sito dedicato). Rispetto al linguaggio utilizzato, Selam ha ricordato come nella società attuale questo sia assolutamente mutevole, pertanto, se lede la dignità di qualche persona, deve poter essere modificato, in modo mirato e tempestivo: per evitare nuovi errori, basterebbe non escludere dai tavoli di lavoro i diretti interessati.

Kwanza (#CambieRai): “la Rai contribuisca a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3 della Costituzione)”

Proseguendo, Kwanza Musi Dos Santos di #CambieRai ha voluto citare la Costituzione, perché la Rai, in quanto tv pubblica, dovrebbe assomigliarle, specialmente nell’articolo, il terzo, per il quale è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Va segnalato che la Rai ha risposto – seppure con mesi di ritardo – ad una lettera di altre associazioni che invitavano a non adottare più la pratica razzista del “blackface, sostenendo che non lo farà più, mentre a quest’ultimo appello non ha risposto, perché, secondo quanto ha dichiarato il Direttore di Rai per il Sociale Giovanni Parapini ad Associated Press, “significherebbe che la Rai in tutti questi anni non ha fatto nulla per l’integrazione”. E ciò, certamente, non è vero. Qualcosa è stato fatto, ma ancora poco. Troppo poco.

Sostiene Chiara Zanini che “gli attivisti di #CambieRai non devono essere ‘integrati’, e questo lessico, così povero, ha davvero stancato. Ma oggi a partecipare era Natale, e non è andata molto meglio”. Natale ha in effetti citato prodotti d’eccellenza del servizio pubblico, come “Radici” su Rai3 o “Labanof. Corpi senza nome nel fondo del Mediterraneo”, il primo podcast originale prodotto interamente da Rai Radio3, vincitore del “72° Prix Italia, premio internazionale per le produzioni radiotelevisive nella categoria “Radio Documentary and Reportage”. E ha sostenuto che il “blackface” nel programma “Tale e quale show” (un altro dei “casi” denunciati dagli attivisti) non sarebbe mai stato “denigratorio”.  

Zanini (Gli Stati Generali): “ripensare l’intero servizio pubblico”

Secondo la giornalista e ricercatrice, si è trattato però di un “un intervento totalmente autoassolutorio, e Natale sbaglierebbe, anche perché ha sostenuto che sono emerse ultimamente “nuove sensibilità”. Però, contesta Zanini, “non sono i bianchi a poter dire se il blackface è razzista, e gli afroamericani lo spiegano almeno dagli anni Sessanta: basterebbe mettersi in ascolto, studiare, o come hanno insistito le attiviste presenti, assumere persone più competenti in grado di evitare al servizio pubblico altri guai”. Ed aggiunge: “formare i colleghi, soprattutto. Bisogna insomma ripensare l’intero servizio pubblico, perché davvero non escluda nessuno”.

Conclusivamente Zanini ha proposto: “meglio ancora, far scrivere ai soggetti interessati una trasmissione in prima serata, in cui affrontare il problema numero uno: il razzismo sistemico, che non è solo nei fatti di Macerata, ma nella vita quotidiana di tante persone, e le due cose sono correlate”.

Quando i “chairs” della tavola rotonda hanno chiesto a Natale un impegno scritto, un comunicato stampa con cui mettere nero su bianco la promessa di organizzare gli incontri continuativi chiesti da #CambieRai, il giornalista ha così reagito: “se non succederà, vorrà dire che vi ho preso in giro”.

Selam, dopo la diretta, ha commentato: “questo non è stato un incontro con la Rai, ma un dibattito pubblico cui ha partecipato anche un esponente di Rai per il Sociale. Stiamo puntando molto più in alto e sappiamo quindi riconoscere quando le cose a cui partecipiamo sono vincolanti e quando performative o comunque simboliche. Le porte di Rai sono chiuse, ma le apriremo”. Così, mentre Netflix produce una serie come “Zero”, destinata a rimanere uno spartiacque culturale, il servizio pubblico ha ancora tanta strada da fare… Si ricordi che “Zero” è una serie televisiva online da fine aprile, codiretta da Paola Randi, Ivan Silvestrini, Margherita Ferri, Mohamed Hossameldin, realizzata da Fabula Pictures e Red Joint Film per Netflix, liberamente ispirata al romanzo “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano (per i tipi di Mondadori). Alcuni analisti considerano “Zero” una ennesima riprova della “distrazione” (o comunque del ritardo) Rai su tematiche innovative, dal punto di vista sociale oltre che linguistico…

Per quanto le tesi delle attiviste e degli attivisti di #CambieRai possano essere tacciate di un qual certo integralismo e radicalismo, il senso del messaggio, della lamentazione, della protesta è assolutamente condivisibile. Anche rispetto alla necessità di una nuova “idea di Rai”.

Quel che è avvenuto venerdì scorso in occasione del convegno promosso dall’Università Roma 3 evidenzia, ancora una volta, come Rai debba dimostrare maggiore coraggio, nell’aprirsi verso la società civile. Senza dubbio apprezzabile la creazione della Direzione Rai per il Sociale, ma essa deve caratterizzarsi per un ruolo più incisivo nella complessiva “economia semantica” della televisione pubblica.

Rai per il Sociale può essere, deve essere l’elemento identitario della televisione pubblica, deve essere dotata di budget adeguato ed intervenire in modo significativo anche nella produzione editoriale, trasversalmente rispetto a reti, direzioni, strutture. Quel che è stato fatto finora è commendevole, ma ancora troppo timido: serve una disseminazione semantica diffusa.

L’Amministratore Delegato che Draghi andrà a scegliere avrà queste sensibilità… “sociali” o sarà semplicemente un raffinato “ragioniere” che confermerà la scellerata deriva mercatista della Rai?!

Infine, la mobilitazione di Usigrai: “fino ad oggi si è parlato solo di nomi, poltrone e casacche” e chiede un confronto aperto e pubblico

Infine, va segnalato che qualche ora fa, l’Usigrai ha annunciato per domani mattina, mercoledì 12, alle ore 15, presidi davanti alle sedi della Rai in diverse città italiane, per chiedere “un Cda autonomo, indipendente e di alto profilo. E per sollecitare il Parlamento a dare una corsia preferenziale ai disegni di legge di riforma della governance”.

Si tratterà di piccoli presidi, simbolicamente in rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori della Rai. A Roma, sarà davanti alla sede di Saxa Rubra, ma già si annunciano presidi in contemporanea in diverse città: le “piazze” saranno collegate su una piattaforma virtuale come segnale di “unità” di tutti i dipendenti Rai, nel chiedere una svolta per il servizio pubblico. Denuncia il sindacato dei giornalisti Rai (che ha confermato il proprio sostegno al candidato Riccardo Laganà, come rappresentante dei dipendenti in Cda): “fino ad oggi si è parlato solo di nomi, poltrone e casacche”. La richiesta invece è di far precedere la nomina del nuovo CdA da un confronto aperto e pubblico sui fini, la missione, gli obiettivi del servizio pubblico: “noi daremo il nostro contributo con idee lanciate sotto l’insegna de #LaNostraRai. E prima di ogni cosa #LaNostraRai deve essere libera dai partiti e dai governi”.

Un confronto aperto e pubblico, come invoca da sempre la società civile.

Se son rose fioriranno…

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