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Causeries. Tlc e concorrenza: simmetria non vuol dire assenza di regole

di Stefano Mannoni |

Si moltiplicano da tempo i contenziosi davanti all’AGCOM indotti dalla convinzione di molti operatori che assenza di obblighi asimmetrici equivalga ad anomia: faccio il prezzo che mi pare, insomma.

#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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Simmetria non significa anomia.

La distinzione non pare evidente agli operatori di telecomunicazioni che si ostinano a sostenere la seguente tesi: “non sono dominante e quindi agli altri operatori impongo il prezzo che mi pare”.

Ora questa baldanzosa rivendicazione di autonomia contrattuale non fa una piega, se applicata a prestazioni volontarie, ossia di cui gli altri operatori possono fare a meno. Cozza invece col buon senso prima ancora che con il dettato del Codice quando riguarda invece servizi cui gli altri operatori non possono rinunciare.

Prendiamo la terminazione.

E’ una essential facility, collo di bottiglia concorrenziale per definizione, in quanto un operatore non può fare a meno di terminare le proprie chiamate sulle reti altrui. Senonché ove un operatore dichiarasse di pretendere cifre stellari, gli altri sarebbero costretti a pagarle, almeno stando a questa dubbia interpretazione.

Seppure meno indispensabile, vale il discorso anche per l’originazione che è un tipico servizio di accesso alla rete mobile.

Anche qui il malcapitato operatore mobile virtuale o il fornitore di servizi a valore aggiunto (il quale non può fare il suo mestiere senza appoggiarsi alle reti altrui) rischia di essere preso per la collottola e costretto a sborsare la cifra che solo l’arbitrio suggerisce all’operatore proprietario della rete.

Ebbene questa dissertazione non è per nulla teorica in quanto si moltiplicano da tempo i contenziosi davanti all’AGCOM indotti proprio dalla convinzione che assenza di obblighi asimmetrici equivalga ad anomia: faccio il prezzo che mi pare, insomma.

Eppure che non sia così lo si ricava senza difficoltà dal Codice che indica senza mezzi termini l’interconnessione quale un obbligo per tutti gli operatori e, come tale, sottoposto a un generale principio di ragionevolezza. Poiché se fossi libero di pretendere qualsivoglia prezzo il mio capriccio suggerisce, allora l’interconnessione cesserebbe di essere obbligo per divenire facoltà.

Anche l’accesso rientra tra le richieste che un operatore non può respingere in modo irragionevole. Il che significa che non può essere rifiutato accampando pretese economiche lunari.

Insomma: una cosa è l’orientamento al costo, rimedio cui certamente è sottoposto solo l’operatore dominate; altra il principio di ragionevolezza cui sono tenuti invece tutti gli operatori. Il che, ancora una volta, significa che il profitto deve essere in una relazione di proporzionalità con i costi sottostanti sostenuti dall’operatore per erogare il servizio.

Questa distinzione deve essere cristallina per evitare che la contrazione dei mercati regolamentati ex-ante, e quindi la riduzione del perimetro della dominanza, si risolva nell’esatto opposto di quanto auspicato dalla Commissione europea: ossia l’alleggerimento dell’onere regolamentare.

Il rischio è al contrario quello che scoppi una guerra di tutti contro tutti dove in sede contenziosa si assista a una sfilata dei peggiori illeciti anti competitivi, con aggravio per il mercato sia in termini di costi che di incertezza.

In questo scenario il regolatore sarebbe costretto a un costante micro-management caso per caso; mentre l’antitrust reagirebbe plausibilmente selezionando qui e là qualche istruttoria, senza garanzie di rapidità di intervento e di sistematicità.

In tempi di vacche magre si tratta, ahimè, di uno scenario tutt’altro che ipotetico, ragione per cui prima viene battuto un colpo chiarificatore, meglio è.