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Causeries. Se anche Obama parla di decoder l’Europa batta un colpo

Venerdì scorso Obama ha davvero stupito, dedicando il suo prezioso tempo a un argomento da addetti ai lavori: la creazione di un mercato libero dei decoder per la televisione via cavo.

Lo ha fatto appoggiando una progetto di delibera in tal senso della Federal Communication Commission. Strano? Niente affatto.

Resosi infine conto della asfittica concorrenza in un panorama saldamente dominato dai padroni del cavo, Obama ha dapprima appoggiato la net neutrality e ora volge le sue attenzioni ai decoder, che avendo natura proprietaria, rappresentano un collo di bottiglia significativo.

Buona fortuna, verrebbe voglia di augurargli. Spezzare l’integrazione verticale dei decoder è, per mia esperienza personale, una battaglia tra le più aspre e si può già dare per certo che proseguirà nei tribunali, dove la sorte non è mai molto propizia alla FCC.

E tuttavia si tratta di una battaglia necessaria che interessa anche gli europei.

L’interoperabilità e l’apertura degli standard rappresenta un terreno della competizione altrettanto importante di quello rappresentato dalla non discriminazione dei contenuti. Solo che si tratta del terreno in assoluto più impervio.

Innanzitutto perché la tendenza prevalente è in tutti i settori dell’ICT verso apparati proprietari chiusi.

In secondo luogo, poiché non vi è una domanda rilevante in tal senso da parte di una lobby di produttori indipendenti. La cattura da parte del principio dell’integrazione verticale e del rifiuto dell’interoperabilità è tanto dogmatica quanto efficace.

Resta però da chiedersi se, pur in assenza di una domanda dell’industria, non valga la pena avventurarsi nella creazione artificiale del mercato, proprio come è stato spinto a fare Obama dal poco brillante stato della concorrenza negli USA.

Se entrano in gioco nel ragionamento gli interessi dei consumatori, la risposta è abbastanza ovvia: i sistemi di ricezione del segnale chiusi comportano dei costi rilevanti per il consumatore, tanto in termini di switching costs da un apparato all’altro, quanto dalla impossibilità di fruire di contenuti e servizi non filtrati attraverso le maglie strette dell’integrazione verticale.

Eppure non sembra che l’argomento appassioni più di tanto in Europa. Pur pagando costantemente un tributo formale al principio dell’interoperabilità, Bruxelles non fa molto per fare sì che esso sia messo in pratica.  A livello di regolazione ex ante (per l’antitrust il discorso è un po’ diverso), l’orientamento sembra quello di tenersi alla larga da quella che appare una fonte di sicura resistenza. Di qui la maggiore propensione a trattare della net neutrality, ossia della concorrenza sui contenuti a monte, piuttosto che di quella a valle, incarnata appunto dagli apparati.

Si potrebbe obiettare certo che nel panorama della televisione in streaming il problema del set top box viene assai ridimensionato, come testimonia il fatto che Netflix ha rinunciato a suo tempo al decoder proprietario proprio per essere disponibile sul maggior numero di piattaforme possibili. Ma una rondine non fa primavera.

Se lo scenario al quale si va incontro è quello di una migrazione della televisione free-to-air verso lidi alternativi e in parte ancora ignoti, il tema delle garanzie di apertura degli apparati andrebbe affrontato, quantomeno mostrando di avere consapevolezza della questione.

Probabile che accada?

Vi sono solide ragioni per sospettare che questo non avverrà, almeno fino a quando la Commissione non sarà costretta da una pressione proporzionale allo spessore del muro di interessi che vi si oppone. Perché questa pressione non si materializzi, ha probabilmente a che fare con la focalizzazione altrove delle priorità dei consumatori, nonché di un’industria intimidita dai giganti che presidiano il fronte del no.

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