Convergenza

Causeries. Netflix arriva in Francia, vecchia Tv addio

di Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l'Università di Firenze |

Lo sbarco in Francia del servizio di Tv on demand porta scompiglio nel soporifero settore dei media transalpini. Il processo di integrazione broadband-broadcast procede inesorabile.

Parte oggi #Causeries, una nuova rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza (tlc, media contenuti) e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore Ordinario di Storia del Diritto delle Comunicazioni, Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università di Firenze. Stefano Mannoni è stato Commissario dell’AgCom dal 2005 al 2012.

La televisione di papà è finita!”.

Così titolava Le Monde di sabato scorso commentando l’evento dell’anno nel campo dei soporiferi media francesi: lo sbarco in forze di Netflix. Il quale da subito è divenuto un caso politico dopo che, avversato a gran voce dalla classe politica francese, l’impresa americana ha discretamente trovato una amichevole accoglienza in alcuni influenti settori del governo Valls.

Certo il rospo da digerire è bello grosso. Per le imprese francesi di telecomunicazioni che, come Orange, cominciano a puntare i piedi sollevando su un piatto di argento un caso da manuale di net neutrality. Per quelle audiovisive, che sono costrette a competere con la rivale americana sul campo da gioco che ha scelto lei. Per la regolazione francese, la quale rimane tenacemente arroccata a quote di programmazione europee che nel mondo online e on-demand di Netflix ben difficilmente potranno essere rispettate.

Cosa faccio”, commentava un manager di Netflix, “prendo gli spettatori per le orecchie e li costringo a vedere i film francesi?”.

Infine, la novità giunge a turbare le serene stanze del Consiglio di Stato che si interroga su uno strumento inquietante che spariglia le carte della privacy e mortifica la diversità culturale: l’algoritmo di ricerca sulle preferenze degli spettatori.

L’autorità francese, il CSA, si mostra a dir poco fredda rispetto a questo intruso nella habermasiana sfera pubblica civica di cui essa si dichiara garante.

Eppure i conti con la nuova realtà sono necessari, anche perché il pubblico francese mostra di gradire questa moltiplicazione dell’offerta.

Quali conclusioni trarne?

La prima è che il processo di integrazione broadband-broadcast procede inesorabile.

Anche se non scalza le piattaforma alternativa, ma vi si giustappone, nondimeno esso concorre a disarticolare l’audience e già solo per questo è un fattore maverick determinate.

La seconda è che la disciplina della net-neutrality, che costituisce un capitolo importante del pacchetto single market incardinato presso il Parlamento europeo, deve essere salvaguardata. Il che non sembra così ovvio viste le spiccate simpatie della nuova Commissione nei confronti delle telcos che, notoriamente, di neutralità della rete nemmeno vogliono sentire parlare.

Eppure sarebbe un errore grave ipotecare i progressi compiuti su questo terreno dal Parlamento europeo anche alla luce del fatto che la moratoria sulle frequenze 700MHz riservate ai televisivi scade nel 2020: ossia dopodomani. Nel frattempo costruire serie garanzie sulla neutralità della rete costituirebbe un forte incoraggiamento alla migrazione spontanea dell’offerta audiovisiva dalla rete hertziana a quella IP.

L’attuale braccio di ferro tra vettori e OTT sulla net neutrality dovrebbe istruire l’Europa a non mostrarsi timida ed esitante seguendo in questo la worst practice americana.