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Causeries. L’antitrust raccontato in forma epica

antitrust

#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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All’antitrust tocca un singolare destino. Una materia così viva, che racchiude il segreto della tensione tra mercato e democrazia, viene per lo più presentata sotto una forma di arida tecnica. Istituti, regole, eccezioni, procedure: si sente odore di chiuso e di burocrazia; di  certo non vengono in mente le epiche lotte tra i trustbusters e i robberbarons.

Dove sono la logica e lo spirito? Il perché viene sacrificato sull’altare del come. La lettura ne risente, lasciando al novizio il sapore di una vaga insoddisfazione oltre che i postumi di un notevole affaticamento. Bisogna pertanto dare il benvenuto a chi restituisce a questa eccitante epopea, perché tale è quella della concorrenza, la linfa vitale che le appartiene.

 

Mario Libertini vi è riuscito con un libro che si legge con facilità e che scorre (una volta tanto!)  piacevolmente sotto gli occhi tanto del tecnico che del curioso (Diritto della concorrenza dell’Unione Europea, Giuffré, 2014).

La costruzione del testo è classica: intese restrittive, abuso di posizione dominante, concentrazioni. Ma quello che lo distingue è la capacità di dissodare il terreno, separando la gramigna dal grano.

Un esempio? Circa il private enforcement, ossia l’attuazione del diritto antitrust per via giurisdizionale Libertini formula un’osservazione critica che non si può non sottoscrivere: “ La scelta di incentivare troppo il private enforcement  mi sembra alquanto ideologica: muove dall’idea implicita che il risarcimento possa essere un efficace surrogato di giusti prezzi di mercato e che l’emersione di conflitti fra interessi privati sia il modo ottimale per giungere ad una composizione efficiente dei problemi economici”. Parole sante!

Ma ogni rosa, persino la più elegante, ha le sue spine. E lo storico ne ravvisa qualcuna nel capitolo dedicato alla “Concorrenza degli antichi e la concorrenza dei moderni”.

No, mi dispiace caro Libertini: non c’è nessun antitrust prima dell’antitrust. Così come non c’è un diritto amministrativo prima della separazione della funzione esecutiva da quella giudiziaria. Così come non vi è un costituzionalismo prima della scoperta dell’ individuo e della sovranità.

Il punto è che l’antitrust della fine dell’Ottocento non è affatto vino vecchio versato in bottiglie nuove: al contrario, sia bottiglie che vino sono entrambi nuovo vetro e nuova cuvée. Certo, molti istituti si possono rintracciare nell’antico regime che sembrano evocare il controllo pubblico sul potere di mercato.

Il problema però è che questi istituti procedevano da un  paradigma – quello dei police powers regolamentari come garanti del benessere pubblico – nel quale la distinzione tra mercato e Stato è totalmente assente.

La logica corporativa è la negazione stessa della polarizzazione tra i due protagonisti dell’antitrust: da una parte il mercato con le sue regole naturali, dall’altro lo Stato.

Senza la rottura ideologica degli Smith, Mandeville, Spencer, Cobden, che hanno totalmente rivoluzionato gli archetipi all’interno dei quali gli istituti giuridici vengono forgiati e interpretati, la svolta del 1890 è semplicemente impensabile.

Quindi vi prego: niente caccia a precursori e a precedenti. Il senatore Sherman ha davvero inventato qualcosa di nuovo, introducendo una dialettica all’interno della logica liberale che ancora oggi non cessa di suscitare interrogativi e dibattiti proprio perché rivoluzionaria rispetto al primato epistemologico del mercato autosufficiente e dell’autonomia contrattuale.

Tutto qui. Una volta concessami questa digressione da storico, non posso che concludere invitando chi nutrisse interesse per questa appassionante materia ad affidarsi alla penna sicura di Mario Libertini. Non ne rimarrà deluso.

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