Spettro e Tv

Causeries. La TV generalista ha unito l’Italia, cosa succede se stacchiamo la spina?

di Stefano Mannoni |

E’ nell’aria da tempo la questione della liberazione della banda di frequenza 700 Mhz. Ma nel nostro paese sarebbe opportuno valutarne con attenzione l’impatto sociale

Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

E’ nell’aria da tempo la questione della liberazione della banda di frequenza 700 Mhz.

Il Rapporto Lamy prevedeva un possibile slittamento al 2022, ma la Commissione Europea sembra irrigidirsi.

La domanda che è sulla bocca di tutti però è: questo termine è realistico?

Per un paese come l’Italia direi di no.

Ma non è qui mia intenzione addentrarmi in questo dibattito, quanto fugare un’impressione, ormai generalizzata, che tali frequenze siano sprecate dai servizi audiovisivi generalisti. E lo voglio fare introducendo un tema che è sicuramente periferico rispetto alla questione, ma che in realtà lo tocca da vicino.

In tempi non sospetti il poeta Auden definì il XX secolo l’età dell’ansia.

E dagli anni Venti in poi il tema ansia è entrato a fare parte delle tracce di ricerca dei laboratori di mezzo mondo sotto forma di studio dello “stress” assurto a dignità scientifica (per una avvincente ricostruzione della storia scientifica si veda M. Jackson, The Age of Stress, Oxford, 2013).

E il tema continua a campeggiare nelle librerie dove si insiste che il contesto sociale contribuisce in modo determinante a creare un clima patogeno nel quale questo disturbo può prosperare (cfr. D. Becker, One Nation Under Stress, Oxford 2013).

La domanda che mi pongo è: se venisse meno l’effetto comunità e, se si vuole, il “calore” della televisione generalista, quali conseguenze questa privazione potrebbe produrre su una moltitudine che intorno al televisore lo stress lo ha combattuto, sentendosi in ogni caso meno isolata, vicina agli altri spettatori in simultanea, distratta e intrattenuta anche nei modi più banali?

In società fortemente individualiste la risposta è che questa privazione avrebbe scarso effetto.

Diverso potrebbe essere il caso dell’Italia dove i vincoli comunitari che l’industrializzazione ha spezzato si sono ricomposti, seppure in modo virtuale e certo inadeguato, intorno alla televisione.

Tribalismo televisivo?

Forse ma meglio del nulla.

Vi è poi il fattore anagrafico.

Una società non tra le più giovani ha sviluppato un attaccamento quasi emotivo al rituale della comunità virtuale audiovisiva, ai suoi appuntamenti, al suo linguaggio e scansioni.

Per adattarsi a un nuovo tipo di audiovisivo, molto più atomistico, ci vorrà tempo.

Staccare la spina di questo legame sociale repentinamente potrebbe significare amplificare il senso di solitudine, sradicamento disorientamento che è certo poco benefico per tenere a bada il male del nostro tempo.

Per concludere sarebbe opportuno valutare l’impatto sociale ed emotivo di un rivolgimento di vaste proporzioni nella fruizione dell’audiovisivo su una popolazione che intorno a esso “ha fatto comunità”.