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Causeries. La saga della Net Neutrality investe le reti mobili

Net neutrality

#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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De te fabula narratur. La saga della net neutrality negli USA si arricchisce di un altro capitolo che dovrebbe indurre alla riflessione gli europei, alle prese a Bruxelles, praticamente per la prima volta in sede legislativa, con la questione.

La FCC ha annunciato che anche le reti mobili dovranno essere assoggettate ad alcune regole sulla non discriminazione.

Quali?

E’ ancora presto per dirlo vista l’enorme quantità di documenti che ha sommerso la FCC nel corso della consultazione pubblica aperta sul tema (780 mila commenti!).  Intanto però bisogna prendere atto che la Commissione presieduta da Tom Wheeler, notoriamente sensibile alle ragioni dei vettori, ha dovuto fare un passo avanti, con riluttanza.

Era difficile del resto che la FCC potesse ignorare il messaggio politico di Obama: non impediamo la nascita dei Google e dei Facebook del futuro, autorizzando la selezione del traffico a favore dei paganti!

Allo stato attuale l’ordinamento americano sconta due debolezze.

In primo luogo una fiacca concorrenza sull’accesso, poiché l’unbundling non ha dato i risultati sperati, mentre il cavo coassiale non è affatto tenuto ad aprire la propria rete ad altri operatori.

In secondo luogo, la qualifica di internet a banda larga come servizio della società dell’informazione e quindi libero da qualsiasi condizionamento regolamentare. Lo ha detto chiaro e tondo la Corte di Appello federale del circuito di Columbia quando il 14 gennaio 2014 ha cassato le regole sulla non discriminazione che erano state approvate dalla FCC nel 2010. Poiché gli ISP, sostiene la Corte, non sono common carriers (come le aziende telefoniche sul servizio voce, sottoposte a regolamentazione), non possono essere assoggettati a obblighi di non discriminazione.

Il punto, dicono i giudici federale, è che internet non è stata qualificata sul piano giuridico come una utility al pari dell’elettricità o il telefono e pertanto coloro che lo offrono non sono tenuti a concedere l’accesso a tutti e a ciascuno, restando liberi di stabilire le proprie strategie commerciali.

I margini a disposizione della FCC sono qui piuttosto ridotti, l’unico spazio che residua scaturendo dalla sezione 706 del Telecommunications Act del 1996 il quale concede all’autorità di intervenire allorché constati che lo sviluppo di reti di telecomunicazione ad alta velocità segna il passo – così conclude la Corte.  Restiamo allora in attesa delle prossime puntate che a Washington si annunciano eccitanti e piene di colpi di scena.

Frattanto però la nuova Commissione, che muove i suoi passi all’insegna di un certo favore per le ragioni dei grandi operatori telco, non deve commettere l’errore madornale di smantellare i risultati conseguiti dal Parlamento europeo sulla questione.

Sarebbe davvero imperdonabile che la crociata contro gli OTT americani, da qualche tempo nell’aria, si risolvesse nella archiviazione della net neutrality da cui dipende, da questa e da quella sponda dell’Atlantico, buona parte del futuro della comunicazioni All-Ip.

Il profilo aggiornato di Stefano Mannoni su Who is Who. 

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