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Causeries. Il rapporto fra tecnologia e fattore umano nella guerra a distanza

Droni Pakistan

#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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Chi ha visto il film Fury con Brad Pitt? Uno dei momenti più drammatici del film è lo scontro tra un plotone di carri Sherman americani contro un carro Tigre tedesco che viene infine messo fuori combattimento perché, con tempestiva manovra, viene colpito sul retro, insieme alla corazza laterale, il punto più debole di quella possente arma.

Fantasia? Nemmeno per idea! Durante il passaggio del fronte a Cecina nel 1944 avvenne uno scontro analogo dove il Tigre tedesco commise il fatale errore di esporre il fianco allo Sherman che ne approfittò con prontezza.

Un altro esempio? Su Youtube potete osservare le drammatiche immagini di uno scontro nella città di Colonia nel 1945 tra un Panther, forse più temibile dello stesso Tigre, contro uno Sherman e un possente Pershing, il carro più pesante di cui disponessero gli americani a quell’epoca. Esito: lo Sherman viene colpito con morte del comandante e di  un altro membro dell’equipaggio. Ma il Pershing pareggia i conti, per lo stesso errore tattico tedesco – allineato lateralmente senza esporre la possente corazza frontale – nonché per l’abilità del carrista americano di sparare in movimento grazie a un sistema giroscopico che consentiva (con molto addestramento) di sparare in movimento.

Perché questi aneddoti? Semplice: l’addestramento tattico più che la macchina hanno la meglio. Di nuovo sorge la domanda sul rapporto tra tecnologica e fattore umano che da qualche tempo questa rubrica solleva, interrogandosi su quale sia il disegno – diciamo pure la strategia – per combinare il talento personale del soldato con la robotica a distanza.

L’esperienza suggerisce prudenza. Un giornalista inglese, Robert Fisk, che di Medio Oriente se ne intende, noto per non essere affatto tenero con gli occidentali in quella tormentata regione, tributa un solitario riconoscimento. A chi? Al Generale Franco Angioni, capo della prima spedizione negli anni ‘80 dell’esercito italiano, allora di leva, in una missione internazionale nientemeno che nel Libano dilaniato dalle fazioni.

Ebbene di quella esperienza l’inglese ricorda la capacità del generale italiano di comprendere i giochi, di possedere equilibrio e di dialogare con tutte le parti. In una parola: di comprendere il contesto e di agire con cautela e fermezza laddove necessario. Mi ricordava un ufficiale della Folgore che i loro sottufficiali con durezza ma anche con nervi saldi e ascendete, tenevano a bada le pattuglie delle fazioni in lotta. Quando sarebbe bastato lo scatto di un otturatore per scatenare la tragedia.

Domanda: i droni guidati a distanza possono sostituire la sensibilità, l’intelligenza situazionale di un ufficiale sul campo e dei suoi sergenti? Mi piacerebbe avere una risposta. Il mio istinto propende a un certo scetticismo: ma l’istinto non è razionalità. Resta il fatto che la dottrina militare non si improvvisa; richiede a monte una visione politica non dogmatica e a valle una grossa cultura militare, che è diversa da un indottrinamento meccanico.

A volte è mancata la visione politica. Prendete Henry Kissinger, bravo come pochi a fare di se un monumento vivente, o meglio un icona. Orbene, ossessionato dalla concezione realista della politica, trascina la neutrale Cambogia in una tragedia che si è saldata con un olocausto, per una mossa di cui i militari non erano convinti vi fosse assoluto bisogno.

Altre volte è la parte militare e deludere: tattiche inadeguate e conformismo mentale possono compromettere un’operazione. E allora: si può davvero fare a meno degli uomini sul campo, forzandoli ad abdicare al loro giudizio per seguire passivamente un protocollo scritto a tavolino da qualche esperto a migliaia di distanza?

O non è forse il soldato al fronte che può misurare più realisticamente la realtà, talvolta irriducibile a schematismi manichei?

Se una nuova dottrina militare è stata elaborata dagli Stati Maggiori sulla base delle potenzialità aperte dalla tecnologia, mirata a minimizzare le perdite sul campo e il disagio politico per i caduti, sarebbe ora di saperlo. Visto che in ballo vi sono parecchi valori cui una società democratica non può essere insensibile: dalla distinzione tra combattenti e non; dalla gestione delle guerre asimmetriche le quali esigono una finesse particolare, per finire con l’interrogativo fondamentale: anche le scelte politiche che guidano i passi dei militari dovranno essere compiute a distanza? Senza feedback da chi si trova in trincea?

Confidiamo di comprendere se ciò cui ci accingiamo ad assistere è una rivoluzione militare, del genere di quelle che hanno scandito la storia dell’Occidente, o una scorciatoia per scongiurare le perdite sul campo e schivare gli imbarazzi politici che da esse scaturiscono nelle democrazie. Il quesito è più che legittimo, poiché riguarda un valore che a noi cittadini europei da qualche tempo sta molto a cuore: la sicurezza. Se qualcuno battesse un colpo, gli saremmo davvero grati.

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