Il confronto

Causeries. Antitrust: le imprese Ue rischiano di più di quelle Usa

di Stefano Mannoni |

Non bisogna enfatizzare troppo le similitudini tra antitrust europeo e americano.

Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Il diritto antitrust è come il Mare dei Sargassi che, secondo la leggenda, inghiottisce i malcapitati marinai. Ciò è dovuto all’uso di concetti giuridici indeterminati e alla sua natura giurisprudenziale.

Uno dei punti più delicati è quello di interrogarsi su cosa sia un accordo anticoncorrenziale per oggetto o per effetto secondo l’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Ebbene la risposta sulla prima parte della frase disgiuntiva (“o”) sembra piuttosto semplice.

Come ha sostenuto l’avvocato generale Kokott nel caso T-Mobile Netherlands and Others (C-8/08) è sufficiente che un accordo abbia un oggetto potenzialmente anti competitivo per essere fulminato, come se si trattasse di un reato di pericolo. L’esempio che fa è calzante: in ogni paese una persona che guida in stato di ebbrezza è imputabile a prescindere dal fatto che abbia concretamente minacciato l’incolumità dei terzi.

La faccenda si complica per gli accordi che possono produrre un effetto anti competitivo.

In questo caso, la Corte di giustizia ha affermato che possono andare esenti da condanna se attratti dal comma 3 dello stesso art. 101 il quale dispensa gli accordi che migliorino l’efficienza economica, recando un beneficio tangibile ai consumatori.  E’ in questa sede, quindi, che va operato il bilanciamento tra effetto anti competitivo e beneficio (da dimostrare concretamente).

Purtroppo però l’esercizio non finisce qui.

Quand’anche si dimostrasse l’utilità dell’accordo, bisognerebbe comunque soddisfare altre due condizioni: la prima, che la restrizione alla concorrenza sia strettamente proporzionale; la seconda, che l’intesa non comprometta la concorrenza futura eliminando la naturale rivalità nel mercato.

Si tratta quindi di un test difficile da superare e non scevro da ambiguità, poiché se l’aumento dell’occupazione è stato considerato un obbiettivo legittimo, non altrettanto altri fini socialmente utili.

La conclusione è che non bisogna enfatizzare troppo le similitudini tra antitrust europeo e americano, poiché il primo non fa proprio quella “rule of reason” che consente al secondo di mettere sul piatto della bilancia con molta facilità vantaggi di efficienza, seppure minimi, per fare da contrappeso alla diminuzione della concorrenza.

Vi sono, è vero, le esenzioni per blocco che liberano liste tipiche di accordi dalla presunzione di anti competitività. Ma si tratta dell’eccezione e non della regola.

Morale della favola: le imprese europee devono stare all’erta ben più di quelle americane, perché il rischio di essere colpite è notevolmente più ampio da questa parte dell’Atlantico.